Give Me a Second Chance

Adam x Samantha

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    On my way to you

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    ADAM HARRISON» Umano/Ribelle


    It is sadder to find the past again and find it inadequate to the present than it is to have it elude you and remain forever a harmonious conception of memory.
    (F. Scott Fitzgerald)




    Miss Montgomery,
    vi ho mandato questo dono senza pretese, volevo solamente farmi perdonare per il mio comportamento durante il nostro primo incontro. So che molto probabilmente non sarete propensa a darmi una seconda opportunità, ma io vorrei fortemente rivedervi. Vi prometto che se mi concederete questo onore, vi lascerò libera di andarvene in ogni momento non appena riterrete che il mio atteggiamento vada oltre i limiti che voi stessa porrete.
    Se accetterete il mio invito, potremmo incontrarci venerdì attorno alle 16.00 vicino alle sponde del Tamigi, proprio davanti al “Black Dream” – una locanda che si trova nei paraggi – vi attenderò lì.
    Vi porgo i miei saluti sperando di rivedervi presto.
    Sinceramente vostro
    Adam Harrison


    Questo era il biglietto che accompagnava un pacco incartato un po’ grossolanamente, era evidente che era stato impacchettato a mano da Adam, il quale non aveva chiesto aiuto a nessuno perché non voleva condividere con altri ciò che era successo pochi giorni prima con Samantha. Era stato un duro colpo per lui e non si sentiva pronto a parlarne ad alta voce, ma più di ogni altra cosa voleva gestire la situazione da solo, non voleva che qualcuno s’intromettesse nelle sue questioni di cuore. Da quando era entrato tra i Ribelli, Adam si sentiva meglio e aveva stretto diverse amicizie grazie al suo carattere estroverso, con loro aveva passato dei bei momenti e si erano sostenuti vicendevolmente nei momenti difficili, ma Samantha era un argomento tabù tra di loro. Aveva parlato di lei solamente a due persone, a sua cugina Julia e a un ragazzo di nome Evan con cui aveva un legame molto forte, tutti gli altri erano all’oscuro di quella parte della sua vita e non voleva che le cose cambiassero proprio ora che aveva ritrovato Samantha.
    In quel momento Adam era in camera sua, si rimirava in un frammento di quello che una volta era un grande specchio, aveva appeso al muro quel pezzo per potersi radere la barba da solo. Non era mai andato da un barbiere e ne era fiero. Aveva appena finito di togliere gli ultimi ciuffi in eccesso, aveva lasciato un accenno delicato di peluria sul suo volto, si piaceva di più così perché sembrava più uomo. Voleva presentarsi a Samantha così com’era, non voleva mostrarle una versione migliorata di se’ e il suo comportamento insensato dell’altra volta ne era la prova concreta.
    Adam lanciò un’ultima occhiata furtiva al suo riflesso prima di avvicinarsi all’armadio, aprì le ante scure che presentavano diverse scrostature sugli angoli, prese una camicia bianca e dei pantaloni marroni, poi le richiuse e gettò i vestiti sul letto. Si tolse gli abiti che aveva usato a lavoro lanciandoli a terra, girava per la stanza completamente nudo cercando di ricordare dove aveva messo l’unico paio di scarpe decenti che possedeva. Si ricordò di averle riposte nel baule che stava nel corridoio, quello era uno dei pochi oggetti della sua famiglia che si era salvato durante la guerra. Adam ci si avvicinò e prese ciò che cercava, poi tornò in camera per vestirsi. Non riusciva a pensare ad altro se non all’imminente incontro con Samantha, sempre che lei avesse deciso di presentarsi, non aveva la certezza assoluta che avrebbe accettato il suo invito, anzi era convinto che lo avrebbe declinato con fermezza. Non si era comportato da vero uomo l’altra volta, si era lasciato sopraffare dalle emozioni e aveva rovinato ogni cosa con lei, ma in quel momento non era stato in grado di agire diversamente. In tanti si domandavano se l’amore potesse far impazzire le persone; Adam aveva provato sulla sua pelle che era assolutamente possibile perdere la testa per colpa di quel sentimento intangibile, eppure così forte da poter essere percepito con ogni singolo senso.
    Ci mise poco il ragazzo a vestirsi, era leggermente in anticipo, ma era così in fibrillazione che non sarebbe stato in grado di rimanere a casa seduto in attesa che arrivasse l’ora di uscire. Così, Adam decise di andare a fare una passeggiata, deviando il percorso per giungere a destinazione per poter allungare un po’ i tempi. Aspettare a casa o vicino al Tamigi che differenza faceva?
    Adam le aveva dato appuntamento in un luogo dove non sarebbe stato un problema per nessuno dei due andare, lui non poteva avvicinarsi troppo alla corte, ma non voleva nemmeno farla allontanare troppo a sua volta. Il pensiero di non poterla scortare nel tragitto dal castello al “Black Dream” lo innervosiva, non era sicuro per una ragazza andare in giro da sola, ma non poteva fare altrimenti. Se lo avessero scoperto a corte sarebbero stati guai per lui e avrebbe potuto dire addio a Samantha per davvero, stavolta.
    Il ragazzo era riuscito a far giungere il suo dono a destinazione grazie a un infiltrato dei Ribelli che lavorava a corte, era uno dei cuochi, lo aveva incontrato a Camden Town mentre faceva la spesa per la cena e lo aveva supplicato di recapitare il suo pacchetto a Samantha Montgomery. Lì per lì il giovane non aveva compreso chi fosse la ragazza di cui parlava, non conosceva nessuna con quel nome, ma poi quando Adam gli rivelò anche il cognome il suo amico comprese: ”Parli di Elizabeth, la protetta di Julian?”. Anche in quel caso il sangue gli arrivò al cervello quando udì quelle parole.
    Era la sua protetta? Dio, che rabbia! Gli veniva voglia di prenderlo con le sue mani e strangolarlo, peccato che non gli avrebbe fatto nulla senza un paletto di legno. Quell’essere rivoltante credeva davvero di potersi curare della sua Samantha? Dei brividi causati dall’ira che si era impossessata di lui, gli scendevano veementi lungo la schiena.
    Julian.
    Ci volle un po’ affinché Adam smaltisse la rabbia e riuscisse a consegnare il pacco al suo amico dandogli delle indicazioni precise, non doveva farsi scoprire da nessuno a corte e doveva assicurarsi che il regalo giungesse alla donna in questione e a nessun’altra.
    Se lo avesse consegnato per sbaglio a qualcun’altra? Valeva la pena di correre il rischio.
    Infatti adesso eccolo lì, lungo le strade di Londra in un pomeriggio fresco, ma poco ventilato. Adam camminava lentamente guardandosi di rado intorno, la sua mente era concentrata sul suo appuntamento e a fatica si accorgeva dei bambini che gli correvano intorno giocando con una palla rovinata che a malapena rotolava sul suolo; l’atmosfera attorno all’uomo era serena malgrado fosse difficile vivere bene da quando c’era stata la guerra, eppure ciascuno se la cavava come poteva, come per esempio quelle donne ciarliere che poco lontano lavavano i loro panni sulle rive del Tamigi ridendo delle ultime avventure dei loro figli; ancora qualche metro più avanti un paio di uomini stavano parlando di caccia mentre mandavano giù una birra appena stillata. Il mondo piano piano si era ripreso e a modo suo continuava ad andare avanti anche nella miseria, Adam lo sapeva perfettamente, lui era uno di quelli che era stato costretto a lottare con tutte le sue forze per non farsi buttare giù dallo sconforto. Aveva vinto lui contro la disperazione, ma a caro prezzo e ancora adesso a volte si ritrovava a pensare a come sarebbe stata la sua vita se non ci fossero stati i Lancaster. Di certo sarebbe stato più felice e non avrebbe conosciuto un dolore così forte da essere paragonabile alla morte, ma non sarebbe diventato l’uomo forte e maturo che era adesso.
    Adam arrivò a destinazione con un quarto d’ora d’anticipo, si andò a sedere su una panchina a pochi metri da dove aveva dato appuntamento a Samantha, e chiuse gli occhi per un istante. Aveva bisogno di rilassarsi se voleva evitare di comportarsi di nuovo in maniera sconsiderata, non poteva permettersi di mandare a monte tutto perché lei non gli avrebbe dato una terza possibilità di riscattarsi, ne era certo.
    Mentre il suo corpo cominciava a lasciare andare la tensione, qualcosa lo colpì sulle gambe. Aprì di scatto gli occhi e vide un bambino sdraiato ai suoi piedi. Poteva scorgerne il profilo delicato, i capelli castani arruffati e gli occhi verdastri spalancati, in allerta.
    ”E’ tutto okay, ragazzo?” Quel piccoletto non aveva più di dodici anni, se ne rese conto quando si rimise in piedi e poté finalmente guardarlo bene in faccia.
    ”Si, signore. Mi scusi.” Le sue parole erano neutre, ma il suo tono di voce era tremolante e intaccato da una nota di timore.
    ”Sei sicuro? Mi sembri agitato, hai bisogno di una mano?” Adam cercò di mostrarsi accomodante nei suoi confronti per fargli capire che poteva fidarsi di lui se aveva qualche problema. Se si fosse trattato di un adulto molto probabilmente la sua reazione sarebbe stata differente – o forse no, perché era sempre stato troppo buono – ma davanti a se’ aveva un bambino con l’aria terrorizzata dipinta sul volto e non si sentiva di lasciarlo in balia di qualsiasi fosse la sua paura.
    ”No, posso cavarmela da solo. Grazie.” Nonostante le sue parole spavalde, il ragazzo non si mosse di lì. Perché dirgli che era in grado di gestire la situazione da solo e poi rimanere al suo fianco? Adam iniziò a domandarsi se in realtà non fosse un caso che quel giovane fosse ruzzolato ai suoi piedi. E se fosse voluto?
    Si guardò intorno con aria guardinga, ma non c’era nessuno di sospetto nei dintorni, nemmeno un’ombra fuori posto. Non c’era nulla che desse da pensare a qualche imboscata, infondo non c’era motivo per coinvolgerlo in qualcosa di losco perché nell’ultimo periodo non si era cacciato in nessun tipo di guaio. Per un attimo si era lasciato prendere dalla paranoia. ”Non mi sembri molto convinto.”
    Tempo di dire quelle parole vide un uomo con un grembiule da fabbro avvicinarsi verso di loro, aveva l’aria severa dipinta in volto e dalla somiglianza col ragazzo, Adam avrebbe scommesso che si trattava del padre. Non si intromise quando diede uno schiaffo in pieno volto a quello che doveva essere il figlio, lo ascoltò sgridare il ragazzo per avergli rubato delle monete e per avergli rotto un attrezzo in bottega. Ora si spiegava perché era così spaventato, sapeva che suo padre gliele avrebbe suonate di santa ragione una volta che lo avesse trovato.
    Adam si alzò in piedi rendendosi conto che molto probabilmente il quarto d’ora di anticipo era già passato da un po’ e si mosse verso il “Black Dream”, si guardò intorno con aria speranzosa, pensando che l’intromissione di quei due sconosciuti lo aveva aiutato a non pensare all’imminente incontro. Puntò lo sguardo verso la strada che da lì conduceva al castello, era pieno di donne, ma non ne scorgeva una che somigliasse a Samantha. Sospirò e col cuore trepidante si fermò davanti alla locanda.
    Arriverà?

    It’s only after
    we’ve lost everything
    that we're free to do anything

    « swän » code esclusivo del London gdr. Non usare senza il mio permesso.



    Edited by Aruna Divya - 4/5/2016, 17:25
     
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    Elizabeth "Samantha" Montgomery » human
    Era stato strano per me ricevere una lettera da parte di Adam e in un primo momento non ero riuscita ad aprirla. L’avevo presa e l’avevo portata nella mia stanza, dove l’avevo lasciata per qualche ora mentre terminavo di svolgere le mie mansioni giornaliere all’interno del castello. Avevo cercato di non pensarci, di prendere una decisione forse sin troppo rigida e di non leggerla nemmeno, eppure non ero riuscita a fare nessuna delle due. Mi sentivo in torto nei suoi confronti, ma non c’era nulla che potessi fare per migliorare quella situazione. Non sapevo niente di lui, non lo conoscevo ed era proprio perché non sapevo di lui e di quello che avevamo passato insieme che il mio cuore aveva iniziato a provare qualcosa per il principe ed era per quello stesso motivo che ora non riuscivo ad avere a che fare con quel ragazzo. Era evidente che per lui io non dovevo essere solo qualcuno che apparteneva al suo passato, che lui voleva che io facessi parte anche del suo presente, ma purtroppo non potevo sapere se io ne sarei stata in grado. In quei giorni mi era capitato spesso di pensare a quello che mi aveva detto, a tutto quello che mi stavo perdendo del mio passato e mi era capitato in certe occasioni che il suo volto riempisse la mia mente, un volto un po’ più giovane e più spensierato di quello che avevo incontrato, un volto che doveva appartenere a quei ricordi sopiti ed era stato forse questo a farmi cedere e farmi sedere sul letto con la lettera tra le mani, una volta arrivata alla fine della mia giornata. La lettera era stata accompagnata con un piccolo pacchetto, probabilmente un regalo, qualcosa che sicuramente non pensavo di meritare. Perché lui era stato onesto con me, o almeno tutto mi suggeriva che lo fosse stato, mentre io non ero riuscita ad esserlo, non avevo potuto, perché farlo avrebbe probabilmente voluto dire spezzargli il cuore più di quanto non stessi già facendo. Avevo visto la forza con cui sembrava odiare i vampiri e come avrei potuto dirgli che uno di loro, quello che mi aveva salvata e che si era preso cura di me, aveva anche preso il suo posto all’interno del mio cuore? No, sarebbe stato troppo. Eppure allo stesso tempo sapevo che nasconderglielo era altrettanto sbagliato e che non avrebbe portato nulla di buono. Aprii la lettera e un’espressione più seria mi comparve sul volto quando lessi che aveva pensato di farmi quel regalo per farsi perdonare per il modo in cui si era comportato in precedenza e che anche se dubitava che io avrei acconsentito lui voleva rivedermi e che se avesse di nuovo superare i miei limiti sarei potuta andare via in qualunque momento. Mi avrebbe atteso sulle rive del Tamigi, di fronte ad una locanda che ovviamente non conoscevo, sperando che io mi sarei presentata. Sospirai, posando la lettera sul letto e buttandomici a mia volta, senza sapere che cosa fare. Qualunque cosa io avessi deciso sarebbe stata probabilmente sbagliata. Forse sarebbe stato meglio restar al castello, lasciare andare, lasciare che trovasse un modo anche lui per dimenticarmi dato che io non ero certa che sarei riuscita a trovare una via per ricordarlo, ma allo stesso tempo era giusto lasciarlo andare così? Lasciar andare l’unica persona che ancora poteva tenermi aggrappata alla persona che ero stata? Qualcuno a cui avevo voluto bene, qualcuno che la mia mente lottava per permettermi di ricordare nonostante non riuscisse ad ottenere ottimi risultati. Eppure qualcosa c’era, qualcosa doveva esserci nella mia testa e se avessi deciso di rinunciare, di non presentarmi, se fossi davvero riuscita a ricordarlo probabilmente me ne sarei pensata. Mi lasciai andare ad un lungo sospiro mentre cercavo di rifletterci lucidamente e trovare una risposta. Fu a quel punto che il mio sguardo cadde sul piccolo pacchetto un po’ stropicciato che avevo lasciato intatto fino a quel momento. si vedeva che chi lo aveva confezionato doveva averci messo un certo impegno anche se fare i pacchetti no doveva essere la cosa che gli veniva meglio e per questo immaginai che dovesse averlo fatto lui. tentai di immaginarlo mentre cercava di tirare fuori un pacchetto decente e la cosa mi fece soltanto stare più male. Lo afferrai, portando anch’esso sul letto e continuando a fissarlo senza riuscire a decidermi. Sentivo di non meritare un regalo, di non avere davvero il diritto di aprirlo, anche solo per curiosità, eppure non riuscii a stare fermo, avevo bisogno di capire, di vedere che cosa pensava che potesse piacermi. Lo aprii con cautela, come se la cosa mi spaventasse, trovando al suo interno una penna bellissima, con una lunga piuma blu sul retro. Chissà quanto doveva essersi impegnato per trovarla e quanto doveva averci speso. Avrei voluto restituirgliela, rimettere tutto in un pacchetto e riportargliela, ma immaginavo che la cosa lo avrebbe fatto stare male e io non volevo ferirlo. Anche se in questo momento lui per me poteva essere un estraneo, non avevo comunque intenzione di fargli del male, in alcun modo.
    Quella notte non riuscii a dormire e anche nei giorni successivi non riuscii a togliermi quel pensiero della testa, tanto da decidere infine che solo se ci fossi andata avrei potuto risolvere almeno alcuni dei miei dubbi e capire se rivederlo era la cosa giusta da fare oppure no. Rimasi a fissare il mio armadio per qualche ora, cercando di decidere quale sarebbe stato l’abbigliamento corretto per un’occasione come quella, come mi sarei dovuta vestire per evitare di illuderlo, ma anche per evitare di risultare troppo scortese. Non ero brava in quel genere di cose, non avevo memoria di occasioni in cui avevo trascorso un pomeriggio con qualcuno e da quando mi ero risvegliata nulla del genere mi era mai successo. Avrei potuto chiedere consiglio a qualcuna delle altre serve del castello, ma poi mi sarei ritrovata costretta a rispondere delle domande, tante, troppe, a cui non avevo davvero voglia di dare una risposta, perché neanche io le sapevo davvero. Alla fine optai per un abito semplice, anche perché non avevo davvero una grossa varietà di cose, ma soprattutto perché non avevo intenzione di cercare di mettermi addosso un’aria troppo costruita, qualcosa di forzato che mi avrebbe fatta sentire ancora più a disagio. Non sapevo cosa lui si aspettasse, cosa la ragazza che lui conosceva avrebbe fatto, ma io non ricordavo nulla di quella ragazza e provare a scavare nella mia memoria solo per quello sarebbe stato oltre modo sciocco. Rimasi a guardarmi allo specchio per qualche momento, incerta sul da farsi. Per tutto il tempo ero stata tentata di rimanere al castello, di evitare altre situazioni imbarazzanti, altri problemi, ma dopotutto anche io con lui non mi ero comportata nel migliore dei modi con lui. Soltanto a mente lucida, dopo qualche giorno, avevo capito davvero quanto lui potesse essere stato male per quello che era successo e quanto male ora dovesse fargli il fatto che io non lo riconoscessi, che non potesse semplicemente gettare un colpo di spugna su ogni cosa e riprendere da dove la sua vita si era arrestata. Eppure voleva comunque rivedermi, per qualche motivo. Non gli avrei detto di quei piccoli sprazzi di memoria, del fatto che il suo volto dovesse davvero essere ancora lì da qualche parte, solo che non sapevo esattamente dove. Temevo che la cosa lo avrebbe soltanto lasciato con ancora più dubbi e speranze e fino a che non sarebbe stato qualcosa di certo non sarebbe stato giusto da parte mia coinvolgerlo in quella parte della faccenda, anche se avrei davvero avuto bisogno di qualcuno con cui poterne parlare in maniera onesta e aperta. Ma lui si stava già sforzando abbastanza, e anche se probabilmente avrebbe voluto che io lo coinvolgessi completamente in quella storia, in ricordo del rapporto che avevamo avuto e che lui sperava ancora potessimo riacquistare, dal mio punto di vista non era giusto chiedergli anche quello, non ancora per lo meno. Ci sarebbe stato tempo forse, un giorno, se le cose tra di noi fossero andate meglio e sapevo che purtroppo quello dipendeva principalmente da me.
    Lasciai il castello con un po’ di anticipo, non sapendo esattamente quanto tempo avrei messo nel trovare il luogo che lui mi aveva citato nella sua lettera e considerando che non gli avevo fatto ricevere alcuna risposta, perché ero stata indecisa sino all’ultimo momento, non volevo neanche farlo aspettare troppo, o probabilmente avrebbe pensato ad un rifiuto da parte mia. Raggiunsi il Tamigi dal lato più vicino al castello e da lì iniziai a camminare, guardandomi attorno, cercando di individuare la locanda del biglietto, il luogo in cui probabilmente avremmo trascorso un po’ di tempo, o forse no, forse era un luogo come un altro dove incontrarsi, un luogo forse molto famoso che si aspettava io potessi trovare in fretta, da cui poi saremmo partiti. Ad essere onesta avrei preferito stare un po’ di tempo all’aria aperta, fare magari una passeggiata piuttosto che trascorrere altro tempo al chiuso, dentro altre quattro mura come facevo per la maggior parte del mio tempo al castello. Forse pensandoci bene avrei potuto chiedere indicazione almeno al ragazzo che mi aveva consegnato la lettera, ma ormai non potevo più tornare indietro e andare a cercarlo, dovevo giusto prestare attenzione e trovarlo da sola. Fu più semplice del previsto alla fine, dato che mi fu più semplice riconoscere lui, seduto su una panchina, piuttosto che trovare quella famosa insegna, ma aveva poca importanza, ero un po’ in ritardo, ma alla fine ero riuscita ad arrivare e lui era ancora lì. -Adam? – lo chiamai, quando fui a solo qualche metro di distanza da lui ormai, per fargli capire che ero arrivata e che non ero più così arrabbiata dato che lo stavo chiamando per nome e non volevo quindi che lui mi chiamasse Miss Montgomery, come aveva fatto nella lettera, né volevo che si rivolgesse a me in tono così formale. -Scusami, sono in ritardo. Non conoscevo questa locanda quindi ho trascorso tutto il viaggio a cercarla. Avrei dovuto chiedere aiuto a qualcuno ma la mia testa dura mi ha fatto preferire cercarlo da sola.- dissi, con l’accenno di un vago sorriso sul volto, che voleva semplicemente chiedergli di perdonarmi per quel ritardo. -Non sono molto pratica di ciò che sta fuori dal castello, non esco quasi mai. – continuai, cercando di dargli una spiegazione migliore per quanto era appena accaduto. -Oh e non perché non mi sia permesso, nel caso in cui tu te lo stia chiedendo, semplicemente non ho mai avuto qualcuno con cui farlo. – aggiunsi, subito dopo, perchè non volevo che pensasse che fossi in qualche modo prigioniera all’interno del castello, semplicemente non avevo mai avuto molti amici e nessuno me lo aveva mai proposto. In qualche modo era come dirgli che mi ero decisa ad uscire solo perché era stato lui a chiedermelo, ma questo non lo dissi esplicitamente. -Scusami, sto parlando troppo. – dissi poi, accorgendomi di avergli riversato addosso un intero fiume di parole e rivolgendogli un sorriso vagamente imbarazzato. Quello che mi aveva rivelato la volta precedente mi faceva sentire un po’ a disagio nel trovarmi lì, con lui, sapendo che lui doveva avere determinate aspettative nei miei confronti, ma mi sforzai di non pensarci troppo. -Ti ringrazio del regalo è… molto bello, anche se non avresti dovuto, sul serio. – dissi poi, ed ero assolutamente sincera. Non volevo che pensasse di dovermi fare dei regali, o di dover fare chissà cosa per me. -Non devi scusarti, ho capito perché lo hai fatto, ed è ok. – continuai, sorridendogli in maniera un po’ più aperta e tranquilla. -Com’è andata la tua giornata?- chiesi poi, dimostrando di avere tutta l’intenzione di fare un po’ di conversazione, di conoscerlo, se così si poteva dire, sempre che lui fosse disposto a farsi conoscere di nuovo. -Avevi delle idee particolari per oggi? – domandai ancora, e mi accorsi di stare dimostrando maggiore iniziativa della volta precedente, senza tuttavia chiedermi come lui avrebbe potuto prenderla. -Preferirei non stare all’interno della locanda, se per te non è un problema. Preferirei fare una passeggiata, o se sei stanco possiamo stare comunque seduti da qualche parte, ma preferirei non stare al chiuso, ho trascorso tutto il tempo dentro il castello, ho davvero bisogno di stare un po’ all’aperto. – dissi ancora, con un sorriso, sperando che per lui non fosse un problema accettare quella mia piccola richiesta.


    Don't want your hand
    this time I'll save myself
    Maybe I'll wake up for once

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