Like a bridge over troubled water

per Eli

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    Erik T. Lancaster » Vampire
    La carrozza si muoveva leggera e veloce lungo il panorama boschivo delle campagne di Londra. Le immagini che correvano veloci fuori dal finestrino scandivano un paesaggio che ormai era divenuto per me incredibilmente familiare. Conoscevo a memoria quei boschi e quelle campagne, conoscevo ogni angolo del territorio che circondava Londra e questo iniziava a stancarmi. Non avevo mai amato molto rimanere troppo a lungo nello stesso posto, tendeva ad annoiarmi e a rendermi intrattabile. Non mi sentivo cittadino di nessun luogo, non sentivo di appartenere neppure al luogo che avrei dovuto chiamare casa e per questo ogni volta che ne avevo l’occasione me ne andavo, il più delle volte senza una meta particolare, soltanto per cambiare aria e non essere più costretto a vedere sempre le stesse persone, sempre gli stessi luoghi. Mi ero allontanato dal castello per due giorni quella volta senza dire niente a nessuno perché avevo avuto un impegno improvviso da sbrigare. Non parlavo mai alla mia famiglia dei miei viaggi, non lo avevo mai fatto perché non eravamo mai davvero riusciti a creare uno stretto legame tra fratelli e sorelle, tanto meno tra padre e figli. Per questo ognuno aveva sempre pensato soltanto a se stesso, tenendo gli altri alla larga e facendo il possibile perché non scoprissero nulla sul proprio conto e sui propri piani. Io, ad esempio, da quando la nostra famiglia era salita al potere, ma in realtà già ben prima, avevo iniziato a tessere una fitta rete di amicizie e alleanze, che avrebbero potuto aiutarmi ad ottenere ciò che volevo. Ed era stato proprio uno di loro a chiamarmi in quell’occasione. Le alleanze andavano coltivata se si voleva che gli altri fossero pronti ad agire al momento debito, e la mia richiesta non sarebbe stata affatto facile da portare avanti. Io volevo ciò che era di mio padre, ogni cosa, e presto o tardi lo avrei ottenuto, a qualunque costo. Se per farlo avrei dovuto uccidere lui e ogni altro membro della mia famiglia, lo avrei fatto senza alcun rimorso, questo era poco, ma sicuro.
    Non ero mai riuscito a comprendere coloro che parlavano dei propri padri come di uomini leggendari, persone entusiasmanti con cui era piacevole trascorrere del tempo. Mio padre era, in fin dei conti, un uomo abbastanza leggendario, colui che era riuscito, con una ribellione del popolo dell’oscurità, a rimettere gli esseri umani al proprio posto, ma questo non era sufficiente per poter affermare che avrei volentieri trascorso del tempo con lui. C’erano troppe ferite nel nostro passato, troppi errori che non sarei mai riuscito a perdonargli. Perché lui non c’era mai stato per me nei miei primi anni di vita, non c’era stato per assistere ad ogni mio passo avanti, ad ogni nuovo strumento che imparavo a suonare, non era mai stato testimone di alcunché. Quindi perché io avrei dovuto onorarlo della mia presenza senza alcun secondo fine? Trascorrevamo del tempo insieme, più che altro per necessità, per mostrare al resto del mondo la famiglia unita che non eravamo mai stati, per far credere loro che avevamo tutto sotto controllo, mentre in realtà la discordia scorreva amara tra di noi, ognuno tramava alle spalle degli altri, pronto a colpire nel momento più opportuno. Ci saremmo distrutti con i nostri dissidi interiori, riguardo ciò non avevo alcun dubbio. Ma se anche fossi rimasto l’ultimo della mia famiglia, sarei riuscito a portarne avanti una nuova, a dare origine ad una stirpe ancor più spietata, che non avrebbe avuto proprio niente a che fare con mio padre e i miei fratelli e sorelle. Questo voleva certamente dire che avrei dovuto trovare una compagna degna di quel nome, ma su questo avrei lavorato con il tempo. Non avevo alcuna fretta di sposarmi, avevo davanti a me tutta l’eternità e avevo già iniziato a stringere alcuni accordi diplomatici riguardo a probabili matrimoni che avrebbero potuto assicurarmi l’alleanza di una delle altra famiglie nobili di vampiri. Mio fratello Niklaus, povero illuso, pensava che fosse mio padre a spingere per quei matrimonio, manovrandomi come un burattino nelle sue mani, ciò che il mio adorato fratello non sapeva era ciò che io gestivo nell’ombra, senza che nessuno di loro si accorgesse di nulla, assicurandomi un terreno morbido sul quale cadere se avessi avuto qualche genere di problema.
    I miei occhi cercavano ogni occasione, ogni opportunità, immersi in quell’ombra che gli era sempre stata estremamente congeniale. Non avevo alcun problema a camminare sotto il sole con il mio anello stregato, non mi creava alcun fastidio, né era in grado di mettermi in soggezione con tutta quella luce, ma la notte, quello era per me il momento migliore di tutta la giornata, quello in cui sapevo esprimere al meglio le mie capacità e il mio modo di essere. Ed era il più delle volte durante la notte, in preda al brivido dell’eccitazione della caccia, che la parte più oscura e instabile di me si risvegliava, mostrando ai poveri malcapitati che mi incontravano in quel momento un lato diverso del principe Erik, sempre così rigido e controllato, sempre così freddo e distaccato, quasi impossibile da raggiungere per chiunque. Ma in quell’occasione c’era un mostro diverso a guardare attraverso i miei stessi occhi blu come il mare più profondo, una bestia inarrestabile che neppure io ero in grado di controllare. Una parte di cui neanche io andavo molto fiero, o di cui, forse, avevo un po’ paura anche io. Detestavo ciò che non riuscivo a controllare o a comprendere, come potevo quindi apprezzare una parte di me stesso che agiva come se avesse una vita propria, completamente estranea a quella che vivevo io ogni giorno?
    Scesi dalla carrozza senza rivolgere neppure un’occhiata al mio cocchiere, che mi rivolse un inchino per poi dirigersi velocemente verso le stalle, forse timoroso che io potessi avanzare qualche nuova richiesta, o, peggio ancora, che fossi stranamente più affamato del solito. Sentii il suo cuore accelerato allontanarsi con velocità abbastanza sostenuta per un essere umano, sorridendo divertito all’idea che, se soltanto avessi voluto, avrei potuto raggiungerlo in un solo istante e annientare la breve distanza che lui aveva messo tra di noi con così tanta fatica. Che sciocchi erano gli esseri umani a pensare di potersi davvero difendere dalla nostra specie, di avere ancora qualche carta da giocare per metterci in profonda difficoltà. Ma in fondo stare a guardarli era divertente proprio per questo motivo. Non avrebbero mai imparato la lezione, avrebbero sempre mantenuto saldi i loro ideali, il loro cuore avrebbe continuato a battere frenetico fino al loro ultimo istante di vita e sarebbero rimasti sempre sfacciatamente orgogliosi di quella loro inutile natura.
    Attraversai il parco con lunghe falcate, guardandomi distrattamente attorno, senza andare alla ricerca di nulla di particolare. Erano tante le persone che si muovevano all’interno della corte, tante le persone che prestavano servizio alla mia famiglia, eppure non erano molte quelle che potessi dire di conoscere a fondo. Conoscevo i nomi di tutti loro, conoscevo i loro volti, ma capitava raramente che io mi intrattenessi con qualcuno di loro al di fuori delle faccende politiche o lavorative. Mi fermai quindi per un momento, riflettendo attentamente su che cosa fare, quando vidi la giovane Elisewin Salazar nel parco. Non sapevo molte cose sul suo conto, ma avevo compreso che si trattava di una donna solitaria, che si norma preferiva trascorrere il suo tempo lontana dagli altri, che preferiva persino portare a termine le sue missioni da sola quando ne aveva la possibilità. Lasciai che il mio sguardo si posasse su di lei per qualche momento, prima di decidermi a muovere alcuni passi nella sua direzione, con andamento lento e tranquillo. Sapevo come essere quasi impercettibile quando il caso lo richiedeva a come evitare che qualcuno mi individuasse, ma in quel caso non lo feci. Non avevo nulla e nascondere ed ero anche abbastanza curioso di vedere come lei avrebbe reagito ad un mio avvicinamento. Avanzai con calma, e solo quando fui a pochi metri da lei pronunciati le mie prime parole nella sua direzione. -Giornata incantevole, non trovate?!! - chiesi, sollevando lo sguardo verso il cielo limpido sopra le nostre teste. Avevo parlato senza guardarla e attesi qualche altro secondo prima di rivolgere di nuovo a lei il mio sguardo, aspettando di cogliere una reazione da parte sua. -Spero di non aver interrotto nulla, attendevate qualcuno? - chiesi, e lasciai che la curiosità tingesse quella mie semplici parole, mentre ancora tenevo lo sguardo fisso su di lei. In molti durante i miei viaggi mi avevano detto che il mio sguardo sapeva metterlo a disagio: troppo freddo, troppo distaccato, eppure di un blu impossibile da non guardare. A Londra però tutto era diverso, perché se nei miei viaggi ero soltanto Erik, nella capitale inglese ero il principe ereditario e questo faceva una grande differenza nel modo in cui la persona si rivolgevano a me. Nessuno si sarebbe sognato di disobbedire ad un mio ordine, nessuno, di norma, mi parlava apertamente, preferendo piuttosto cercare di compiacermi. ! -Miss Salazar, volete farmi l'onore della vostra compagnia per una passeggiata? - domanda i ancora, guardandola dritta negli occhi e accennando l'ombra di un sorriso sul mio volto serio. Suonava come una gentile richiesta, ma non lo era del tutto e lei mi sembrava abbastanza brillante e riuscire a comprenderlo da sola.

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    Elisewin Salazar » Vampire
    La sua vita stava prendendo ritmi anche troppo frenetici per i suoi gusti. Era ben consapevole di ciò a cui sarebbe andata incontro una volta accettato il ruolo di comandante delle flotte navali ma mai e poi mai avrebbe previsto una cosa del genere. Tra riunioni e missioni varie, era ben poco il tempo che poteva utilizzare in qualcosa che non riguardasse la protezione della famiglia reale o il rintracciamento di potenziali nemici. Fortunatamente, l'assemblea generale richiesta da Nikolaj si era conclusa con una buona mezz'ora di anticipo, lasciandole così il tempo di vagabondare un po' nel palazzo. Sbadigliando abbandonò l'opulente sala del consiglio per uno dei tanti corridoi della reggia imperiale. Dopo solamente un paio di metri, svoltando bruscamente a destra, si ritrovò attorniata da una marea di persone. Nonostante fossero le prime ore del pomeriggio e la luce diurna fosse ancora fastidiosamente intensa, il numero di frequentatori del palazzo non aveva alcuna intenzione di diminuire. Sotto i suoi occhi, eleganti esponenti di numerose razze conversavano amabilmente tra loro, seguiti ovunque dai propri schiavi umani. La donna restò momentaneamente abbagliata da quell'insieme di colori vividi, di stoffe lucenti e delicatamente decorate, di gioielli sfavillanti. Era un tripudio di splendore nonostante in certi aspetti rasentasse l'opulenza. L'insieme, però, era tutt'altro che sgradevole ed Elisewin si divertì immensamente ad osservarne i dettagli più insignificanti. Una spilla fuori posto, una macchia d'inchiostro sulla cute. Ecco ciò che le interessava. Piccoli difetti che rendevano le persone attorno a lei più...umane. Non più fredde statue riccamente adornate ma esseri viventi capaci di provare emozioni. E di sbagliare ad appuntarsi una spilla sul vestito. Sorridendo si passò la mano candida tra i capelli color grano, lasciandoli cadere in modo disordinato sulle proprie spalle. I capelli erano sicuramente l'attributo più femmineo che possedeva al momento se si tralasciava la fisionomia prettamente femminile. Elisewin odiava qualsiasi accessorio femminile, dagli orecchini ai vestiti di seta, passando per le scarpette di raso. Qualsiasi elemento rietrasse nei dettami della moda attuale la disgustava ed infastidiva allo stesso tempo. Riconosceva con una certà sincerità che esistevano donne splendide adatte a vestire in tale modo. Semplicemente, non lei. Per lei, una camicia candida ed un paio di pantaloni dal taglio maschile erano un abbigliamento più che consono. Poco importava se fossero minuziosamente decorati o se portassero la firma di qualche noto stilista. L'unico compito che dovevano assolvere era quello di assecondarla in qualsiasi movimento. Se per uno sfortunato caso succedesse qualche cosa a palazzo, non sarebbe certamente una gonna foderata di pietre preziose a salvarle la vita. Elisewin sorrise ricordandosi le reazioni iniziali provocate dalla sua introduzione a corte. Per un paio di mesi il suo modo di vestire aveva fatto letteralmente scalpore, facendo sì che il suo nome fosse su tutte le labbra,ma adesso le uniche reazioni che otteneva erano occhiate sorprese e timorose. Continuando a percorrere l'ampio corridoio che l'avrebbe successivamente condotta ai giardini reali, non poteva fare a meno di osservare le espressioni dei numerosi nobili che la circondavano. Dietro quei sorrisi ippocriti si celavano sicuramente un gran numero di traditori, pronti a distruggere la famiglia reale non appena questa possibilità passasse loro tra le mani. Con saltelli eleganti percorse in fretta l'ampia scalinata marmorea che separava il palazzo dai suoi splendidi giardini. La luce solare non le dava particolarmente fastidio ma dovette sbattere più volte gli occhi per riuscire a tollerarla al meglio. Con una nota di rammarico, ripensò al breve periodo umano della sua vita e alle lunghe giornate passate sotto il sole, beandosi del calore che esso diffondeva sulla sua pelle. Ma ricacciò indietro pochi secondi dopo quel pensiero, rinchiudendo nuovamente nell'angolo dei ricordi da dimenticare assolutamente. Nonostante il numero di cortigiani fosse molto diminuito, vi era comunque una notevole parte di essi intenta a frequentare i giardini. Pochi erano i vampiri temerari che trovavano il coraggio di uscire quando la luce era ancora in pieno possesso della volta celeste ma il gran numero di streghe, stregoni, esseri umani e lycan compensava questa mancanza. Desiderosa di trascorrere al meglio il poco tempo libero che le era stato concesso, si allontanò di qualche metro dal gruppetto di persone intente a parlottare tra di loro. Non aveva grandi pretese, le bastava sdraiarsi un poco nell'erba, all'ombra di un possente albero. E parlando di alberi, una maestosa quercia aveva già attirato l'attenzione della donna. Fece un paio di passi verso l'albero ma un improvviso rumore di ruote lignee grattate dalla ghiaia del selciato e schiacciate con furia dagli zoccoli di quattro scalpitanti cavalli l'esortò a fermarsi. Dietro di lei, solo silenzio. Le persone che fino a pochi secondi fa animavano i giardini con la loro voce si erano improvvisamente zittite, gli occhi fissi sulla persona intenta a scendere dalla carrozza. Elisewin seguì il loro sguardo, ritrovandosi così ad osservare l'elegante figura del principe Erik, primogenito dei Lancaster, futuro erede al trono. Nonostante frequentasse il palazzo tutti i giorni, non aveva mai avuto la possibilità di incontrarlo e - magari - di scambiarci un paio di parole. La figura di Erik Lancaster era sempre stata, fin dal suo primo giorno a palazzo, un qualcosa di astratto. Un nome associato ad un volto dall'espressione spesso malinconica, un esponente della famiglia che si impegnava a proteggere. L'uomo per lei era tutto questo, nulla di più. Ciònonostante, non si sorprese più di tanto vedendolo avvicinarsi a lei. -Giornata incantevole, non trovate?!! furono le prime parole che il principe le rivolse. Con lo sguardo rivolto allo stesso cielo che sembrava affascinarlo tanto, rispose. Si, direi che non c'è male. Ma nulla è più incantevole del cielo notturno, a mio parere. La luce diurna, seppur luminosa, mi infastidisce spesso ammise pacatamente la giovane donna sfiorando con le dita affusolate l'anello argenteo al quale affidava la totalità della sua esistenza. -Spero di non aver interrotto nulla, attendevate qualcuno? Elisewin spostò lo sguardo dall'azzurro quasi accecante del cielo all'azzurro profondo degli occhi del principe. Aveva sentito numerose storielle riguardo al colore degli occhi del suo interlocutore. Occhi gelidi, che paiono leggere direttamente nella tua anima sentenziavano quei racconti, passati di bocca in bocca e giunti fino a lei. Eppure, ella non trovava niente di strano in essi. Essendo lei stessa una persona abituata a creare un muro che la tenesse distante dagli altri, rivede nel suo sguardo un sentimento già conosciuto e sperimentato numerose volte. Non distoglie lo sguardo da quell'azzurro così intenso e quasi doloroso. Secondo lei, gli occhi sono lo specchio dell'anima di ogni essere vivente. Proprio per questo, sono pochi coloro capaci di conversare con i propri interlocutori guardandoli dritti negi occhi. Perchè spesso, lasciarsi guardare negli occhi equivale e cedere informazioni sul proprio modo di essere ad una persona esterna, simile ad una resa momentanea. E' quasi un sentimento di impotenza, la lettura dell'anima. Affatto, mon prince. Ad essere onesta, stavo decidendo come passare al meglio il poco tempo libero che mi è stato concesso mormorò sorridendo divertita mentre gli anni passati in Francia prendevano il sopravvento sul formale inglese adoperato a corte. Distogliendo momentaneamente lo sguardo da quello del principe si spostò di un paio di metri, non sopportando la prolungata esposizione al sole, e andò a rifugiarsi sotto le fresche fronde della quercia. -Miss Salazar, volete farmi l'onore della vostra compagnia per una passeggiata? Seppur la richiesta fosse stata pronunciata con una certa cordialità, Elisewin percepì la sfumatura di ordine che si celava dietro quelle parole. Le sue labbra si schiusero in un sorriso malizioso Sarò più che lieta di accompagnarla, mio signore. Sussurrò quelle ultime parole allegramente, rimanendo ad osservarlo.
    It is often in the
    darkest skies that we
    see the brightest stars

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    Erik T. Lancaster » Vampire
    Avevo sentito dire che quel giorno ci sarebbe stata una riunione tra i membri più importanti del nostro esercito, se così si poteva chiamare, una riunione a cui mio padre avrebbe preso parte e che io invece avevo preferito evitare. Avrei potuto comunque ascoltare qualunque cosa si dicesse lì dentro, se lo avessi voluto, soltanto mantenendomi alla giusta distanza e facendo un po’ di attenzione, ma non lo feci, quel giorno non avevo intenzione di preoccuparmi di quel genere di affari e avevo invece preferito prendere il largo per qualche ora, per occuparmi dei miei personalissimi affari. Era stata una settimana lunga e lo sarebbe stata ancora dato che gli impegni e le questioni da sbrigare non mancavano mai ma, per quanto fosse possibile per uno come me, quello che volevo quel giorno, una volta terminati gli incontri necessari, era soltanto passare qualche ora in tranquillità. Non avevo mai amato molto le occasioni mondane, anche se avevo sempre avuto cura di mascherarlo. Erano quelle le occasioni in cui si potevano conoscere delle persone e iniziare dei legami che sarebbero potuti essere fruttuosi, ma era necessario riuscire a scavare sotto tutta quella marmaglia che si recava a quegli eventi soltanto per farsi vedere e spettegolare, riuscendo a trovare quel poco di buono che poteva nascondersi in mezzo a tutto il resto. E non era così semplice, ancora meno quando si era il cosiddetto principe ereditario e quindi tutti quanti speravano di ottenere un saluto da parte tua. Quel giorno tuttavia non avevo alcuna voglia di perdere tempo e rimanere per delle ore intere immerso in quel fastidioso chiacchiericcio, quindi quel viaggio durato soltanto alcune ore era stato la scusa eccellente per sfuggire a quella noia insopportabile. Il castello era un luogo soffocante, da cui preferivo tenermi lontano per tutto il tempo possibile, anche se sapevo che, prima o poi ci sarei dovuto tornare. Scesi dalla mia carrozza e lasciai che il sole illuminasse il mio volto per qualche momento, mentre le persone si zittivano e spostavano il loro sguardo nella mia direzione, improvvisamente preoccupati. Per lungo tempo gli umani avevano negato la nostra esistenza e per altrettanto i pochi temerari in grado di credere a tutte quelle leggende sul nostro conto avevano creduto che ci fosse concesso uscire soltanto la notte, lontani dalla luce del sole che ci avrebbe ucciso all’istante. In effetti non avevano tutti i torti, se non avessimo portato con noi un cimelio incantato la luce del sole sarebbe stata oltremodo nociva per noi, ma non sapevano, gli uomini, del nostro patto con le streghe, di quell’incantesimo che ci avrebbe permesso di apparire molto più umani di quanto fossimo davvero. Io, ad esempio, umano non lo ero mai stato. Ero nato vampiro e non avevo mai conosciuto tutti quei dettagli di cui parlavano gli esseri umani, quelle piccole sensazioni che solo alle creature umane erano concesse. Noi potevamo vivere in eterno, potevamo avere la forza e la velocità, il potere, ma non avremmo mai potuto apprezzare i piccoli dettagli della vita, né la sua fugacità. Questo lo avevo imparato nei lunghi secoli che mi ero lasciato alle spalle, ma non mi aveva comunque convinto a cambiare vita, a risparmiare tutti gli umani, perché non c’era niente di più bello, ai miei occhi, del vedere scorrere quella vita sino a svanire, nel pallore della morta che, presto o tardi, avrebbe raggiunto tutti quanti. Perché anche se all’apparenza noi potevamo sembrare immortali, anche se nessuna causa naturale avrebbe mai potuto porre fine alla nostra esistenza, potevamo comunque essere uccisi, come tutti.
    Ma non era il momento di lasciarsi andare alla malinconia, a ricordi che non avrebbero mai abbandonato la mia mente e che mi avrebbero soltanto fatto perdere la calma e la pazienza troppo in fretta. Mi mossi quindi per il parco, senza prestare troppa attenzione alle persone che avevo intorno, rivolgendo soltanto qualche leggero saluto senza neanche curarmi dei volti. Mi sorprese soltanto il riconoscere il volto di una delle donne che aveva la posizione più importante all’interno del nostro esercito, colei che tanto aveva fatto parlare di sé per il suo modo di vestirsi così poco consono ad una donna. Io avevo trovato invece molto interessante quella sua scelta e il suo temperamento che mi aveva fatto subito comprendere che non si trattava di una ragazzina arrendevole, una bambola facilmente plasmabile, tutto il contrario, era una donna con una sua forte personalità, qualcuno che sarei stato curioso di conoscere e di comprendere meglio. Fu proprio per questo motivo che mi avvicinai a lei, con una scusa qualunque per iniziare una conversazione. L’accenno di un vago sorriso, appena visibile, curvò le mie labbra quando mi fece presente che lei preferiva il cielo notturno perché spesso la luce sapeva infastidirla. Onesta, diretta, non era rimasta in silenzio soltanto per compiacermi ma, al contrario, aveva cercato di dare il suo contributo alla conversazione ed era una cosa che apprezzavo. -Per qualcuno la notte è sinonimo dei pericoli più terribili. Ditemi, Miss Salazar, siete un pericolo che si annida nell’ombra? – chiesi, e neanche l’ombra del sorriso o dello scherzo colorò il mio volto, come invece quella frase avrebbe fatto sembrare. Rimasi semplicemente serio, a guardare la sua reazione ad una domanda apparentemente così sciocca, che però poteva nascondere ben altri significati. Erano tanti i traditori che si nascondevano nel castello, lo sapevo bene, così come sapevo che chiunque avrebbe negato, anche di fronte all’evidenza, ma qualche volta mi divertivo comunque ad osservare le reazioni di coloro che mi circondavano. Mantenni lo sguardo fisso su di lei, anche quando la donna lo ricambiò, prima di dirmi che non avevo interrotto nulla e che stava semplicemente decidendo come trascorrere il tempo libero che le era stato concesso. In realtà quindi avevo probabilmente interrotto la sua quiete, uno dei pochi momenti che avrebbe potuto e voluto trascorrere in solitudine, ma questo non lo avrebbe potuto ammettere. Acconsentì invece con un sorriso alla mia richiesta di compagnia per una passeggiata, una prima occasione per conoscerci in cui non mi sarei sicuramente risparmiato delle domande. Allungai la mano nella sua direzione per aiutarla a rialzarsi, anche se ero perfettamente consapevole che potesse farlo da sola vista la posizione che aveva raggiunto e quell’abbigliamento che non faceva che urlare al mondo la sua indipendenza. Il mio fu un semplice gesto di cortesia e probabilmente non avrei avuto da ridire se lei avesse deciso di rifiutare anche se probabilmente non lo avrebbe fatto, più per rispetto che per altri motivi.
    Inizia a camminare verso la parte più rigogliosa del giardino, tenendomi al suo fianco, attendendo giusto qualche momento prima di iniziare a parlare. -Mi sono perso una riunione particolarmente entusiasmante? – chiesi, rivolgendole una leggera occhiata con la coda dell’occhio, riferendomi all’incontro a cui doveva essersi recata poche ore prima e a cui avrei dovuto presenziare anche io se non avessi avuto altri impegni. -Come vi trovate qui a Londra? So che non siete di queste parti. – continuai poi, rivolgendole una domanda forse un po’ più personale. Non ricordavo esattamente da dove provenisse, ma ricordavo che fosse un luogo ben più caldo e isolato di quello in cui si trovava ora e se persino io non riuscivo a sentirsi davvero a mio agio in quel luogo, in cui tutto sommato ero nato e cresciuto, mi chiedevo come dovesse sentirsi lei. -Vi manca la vostra casa? – chiesi ancora, mentre andavamo avanti, ormai sempre più lontani dal castello e dal suo trambusto, finalmente immersi nel silenzio della natura.

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    Elisewin Salazar » Vampire
    ◆ All we are is dust in the wind.
    ◆ It's better to burn out, than to fade away.


    Elisewin, tu credi ai vampiri?
    Quell'inaspettata domanda risuonò improvvisamente nell'aria attorno alla chiassosa combriccola radunata attorno al falò. La domanda, rivolta alla bella sedicenne seduta su uno di quei candidi tronchi trasportati e corrosi dall'acqua marina, rimase lungamente senza risposta. Fissando intensamente il padre, si lasciò andare ad una risata divertita. Che domanda assurda era? Aveva sempre avuto una grande ammirazione per quell'uomo capace di domare il mare e viaggiare per tutto il mondo, ma ultimamente si stava comportando diversamente. Era sempre all'erta, preoccupato di qualcosa che solo lui sembrava riuscire a vedere. Farneticava di un "pericolo imminente", di un "avvento delle tenebre". Ben presto venne considerato instabile, quasi pazzo. Era stata la madre a proporre di passare la serata in riva al mare, stretti in calde coperte di lana, gli occhi rivolti alle brillanti fiamme che sorgevano dal falò. La prima parte di quella serata era passata tranquillamente, complice una squisita cenetta a base di frutti di mare appena pescati. Eppure, eccolo lì, a fissarla silenziosamente aspettando da lei una risposta. Elisewin si rese conto che il padre non si sarebbe accontentato di una mera risata come risposta. Prese un lungo respiro per poi iniziare a pensare ad una risposta oltremodo accettabile. Niente, non riusciva a trovare niente da dire. Alla fine decise di optare per la carta della sincerità. Sinceramente? No, papà. Mi dispiace. La risposta suscitò un tripudio di reazioni diverse. La sorellina, sedutasi sulle gambe del padre, boffonchiò un "io invece ci credo, papi. Puoi contare su di me!", la madre sorrise tristemente mentre il padre sospirò abbassando improvvisamente lo sguardo. Non riuscendo a sopportare oltre la compagnia della propria famiglia per quella sera, si alzò dal tronco e, dopo essersi tolta la sabbia dai vestiti, annunciò loro che sarebbe andata a fare una passeggiata. Non aspettatemi. Andate via quando volete, tanto conosco la strada. Si, starò attenta, potete fidarvi di me. furono le ultime parole che la famiglia udì prima di perderla di vista. Mezz'ora dopo, seduta a gambe incrociate sul bordo di un promontorio, alzò lo sguardo al cielo contemplando la luna piena. VAmpiri eh? Anche se esistono, non mi fanno paura. Io sono forte, molto forte. Se provano a fare qualcosa di male alla mia famiglia, li ammazzo tutti! Li ammazzo tutti... urlò alla luna una sedicenne, inconsapevole del fatto che non sarebbe riuscita a mantenere quella promessa.


    Elisewin odiava quando veniva investita dai frammenti di quei ricordi che desiderava inutilmente sopprimere. In quei momenti era come paralizzata, non poteva reagire. Poteva solo essere una spettatrice passiva di quegli avvenimenti. Quelli che nella realtà erano al massimo pochi minuti le apparivano come ore infinite. Mordendosi infastidita il labbro inferiore, decise di rivolgere nuovamente l'attenzione alle persone che la circondavano. In quel momento era piuttosto lontana dalla folla ma poteva vedere chiaramente gli sguardi curiosi che le gettavano nobili e servitori, facendo scorrere il loro sguardo da lei al principe. Tsk, che sparlassero pure. Non sarebbero stati certo un paio di velenosi pettegolezzi a guastarle l'umore. Discretamente, infilò le mani nelle ampie tasche dei suoi pantaloni, mille volte più comodi paragonati a quelle scomode ed ingombranti gonne femminili. Eppure le graziose signorine che le volteggiavano leggiadramente attorno sembravano non aver alcuna voglia di provare a cambiare stile vestimentario. Si sorprese a chiedersi se, in un futuro molto remoto, le donne sarebbero finalmente riuscite ad indossare un paio di pantaloni senza dover per forza vedere lo stupore dipinto nelle facce degli uomini. Magari un giorno sarebbero stati gli uomini ad indossare le gonne. Le labbra pallide si schiusero in un sorriso divertito a quell'idea. Guardando il principe, lo vide piacevolmente colpito dalla sua risposta. L'onestà era di sicuro una delle sue più grandi qualità come uno dei suoi più grandi difetti, a seconda della situazione in cui era coinvolta. Non che non sapesse mentire, solo che preferiva annunciare una verità sgradevole piuttosto che celarla con parole il più delle volte inopportune. -Per qualcuno la notte è sinonimo dei pericoli più terribili. Ditemi, Miss Salazar, siete un pericolo che si annida nell’ombra? A quelle parole la ragazza non riuscì a trattenere un sorriso. Il mio essere o non essere un pericolo dipende da chi mi sta attorno. Chi è al centro di complotti, alleanze o peggio...eventuali tradimenti potrebbe solamente avere più paura di altri. La paura può essere una delle più potenti armi, se usata con saggezza. Arma utilizzata da sempre dai potenti che desideravano tenere a bada il popolino. Molte monarchie sono nate in questo modo. I sudditi venivano così incatenati alle loro stesse paure e così si evitavano rivolte. Eppure c'erano volte in cui questo sistema crollava. La paura, accumulata per secoli, esplodeva in pochi secondi generando una sommossa. La paura è molto potente ma può facilmente rivelarsi un'arma a doppio taglio. Per questo semplice motivo, preferisco evitare di utilizzarla. Per quanto mi riguarda, rapporti basati su di un rispetto reciproco sono molto più potenti e duraturi rispetto a quelli basati sulla paura. Comunque, tornando alla vostra domanda, sta a voi decidere se temermi o no concluse la ragazza sorridendo maliziosa. Accettò la mano tesa del principe con un misto di sorpresa e divertimento e si rialzò velocemente da terra. Elisewin restò ad osservare l'uomo pensierosa per alcuni secondi, per poi sussurrare in sua direzione Può pensare quello che vuole di me ma la mia fedeltà, una volta conquistata, è eterna. Lasciando quelle enigmatiche parole volteggiare nell'aria tra di loro si mise in marcia, affiancandolo. Si stavano dirigendo verso la zona più rigogliosa di quel vasto giardino, costellata da innumerevoli fiori delle più svariate categorie. Le sue conoscenze di botanica erano piuttosto limitate ma riuscì comunque a distinguere un paio di rose, qualche camelia ed una splendida pianta di orchidea dalla moltitudine di fiori. -Mi sono perso una riunione particolarmente entusiasmante? le chiese il principe osservandola con la coda dell'occhio. Elisewin si lasciò andare ad una smorfia. Uhm..sinceramente no. Non vi siete perso niente di nuovo. Sono sempre gli stessi problemi ai quali purtroppo trovare una soluzione è sempre più dura. Ed i numerosi fallimenti non migliorano di certo l'umore della gente affermò ripensando al clima teso di quella mattina. -Come vi trovate qui a Londra? So che non siete di queste parti. – Quell'inaspettata domanda la sorprese ma decise di rispondere sinceramente. Londra è indubbiamente una delle più belle città in cui abbia mai vissuto. Eppure...ci sono giorni nei quali desidererei scappare lontano ammise Elisewin osservandolo. -Vi manca la vostra casa? – Elisewin si morse con forza il labbro mentre l'espressione si tramutava da rilassata a tesa. Senza volerlo, il principe aveva toccato un punto dolente. Prendendo un profondo respiro, si sforzò di sorridere per mascherare il proprio turbamento interiore. Affatto. Ormai non ho più un posto da chiamare "casa". Quell'isola in mezzo al mare non è altro che un mero cimitero. Non ho più niente da fare laggiù... Evitava di ripensare a quell'isoletta portoghese per paura di rivivere i ricordi della sua vita umana, che aveva la ferma decisione di cancellare dalla sua memoria. E lei, mon prince, ama la sua casa?

    It is often in the
    darkest skies that we
    see the brightest stars

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    Erik T. Lancaster » Vampire
    Non avevo mai amato troppo essere circondato da troppe persone. Era divenuta un’abitudine per me a causa del nome sin troppo pesante e famoso della mia famiglia, ma anche se all’apparenza sapevo risultare perfettamente a mio agio in situazioni come quelle, avevo sempre preferito atmosfere più calme e silenziose. Non ero come mio fratello Niklaus, lui che voleva sempre essere al centro dell’attenzione, sempre al centro dei pettegolezzi e degli sguardi di tutti, lasciandosi andare ad azioni avventate e sin troppo plateali solo per quei motivi: per far parlare di sé, per non rimanere nell’ombra, perché nessuno scordasse il suo nome. Io invece avevo sempre preferito agire in silenzio, osservare, circondarmi soltanto di persone che ritenevo degne di tale ruolo evitando di trascorrere con loro troppo tempo perché gli altri non potessero comprendere a fondo la natura del nostro rapporto. Portare un nome come quello dei Lancaster era un impegno continuo e non era mai consentito abbassare la guardia, non se non si voleva rischiare di vedere mandati in fumo i propri piani. E così era sempre stato per me, sin dal primo momento. Avevo imparato a guardarmi le spalle, a non fidarmi di nessuno, a studiare attentamente ogni persona, perché chiunque poteva dimostrarsi un pericolo o un ostacolo, anche chi a prima vista sembrava assolutamente innocuo. Quindi osservai anche lei, senza preoccuparmi di risultare invadente o insistente, perché nessuno si sarebbe mai sognato di rimproverare una cosa simile ad un membro della famiglia Lancaster. Non sapevo ancora che cosa pensare di lei, di quella giovane vampira che teneva tra le sue mani la gestione delle flotte della nostra famiglia e che avrebbe quindi potuto muovere un esercito di pirati e marinai se lo avesse voluto. Invece sembrava preferire la solitudine. Non ricordavo di averla mai vista in compagnia dei suoi uomini al di fuori delle sue missioni e questa era una cosa che ancora non riuscivo ad interpretare. Non capivo se fosse una semplice questione caratteriale, se effettivamente non amasse molto la compagnia di chiunque, o se piuttosto quella distanza nascondeva invece qualcosa. Non era difficile pensare ad un tradimento dietro ogni angolo nel nostro ambiente, ma lo era invece confermare i propri dubbi o smentirli.
    Osservai quindi la sua figura, stretta in abiti maschili che poco si addicevano ad una donna secondo i canoni della nostra società, che però lei portava con fierezza, come se il giudizio altrui non fosse in alcun modo in grado di scalfirla. Lei voleva vestire in quel modo, e questa era l’unica cosa di cui si curasse. Forse mia sorella Mary avrebbe potuto obbiettare qualcosa a riguardo, lei che doveva apparire la migliore tra tutte e che forse avrebbe potuto prendere come un’offesa un simile modo di vestire che faceva chiacchierare troppo di Elisewin, ma per me invece questo non sarebbe mai stato un problema. Non era soltanto dal modo di vestire che si poteva giudicare qualcuno, ed era ben altro ad interessarmi. Avevo sempre apprezzato in qualche modo l’onestà. Preferivo le persone in grado di prendersi le responsabilità delle proprie azioni, quelli che dopo aver fatto una scelta la portavano avanti a testa alta, piuttosto che quelli che avrebbero inventato qualunque storia, anche quelle meno credibili, pur di sfuggire alla giustizia. Sorrise quando lei chiese se anche lei non era altro che un pericolo nella notte e mi disse che lei era un pericolo per chi era al centro di complotti o tradimenti e che loro avrebbero dovuto avere paura di lui. Ero onestamente curioso di sapere dalla parte di quale membro della famiglia si sarebbe schierata nel caso in cui lo scontro che da sempre aleggiava nell’aria si fosse palesato di fronte ai nostri occhi. Avrebbe visto come tradimento il tentativo di un figlio di prendere il posto di suo padre? Oppure anche lei avrebbe preferito un cambiamento di regnante? Di certo era una domanda a cui non avrei potuto ottenere risposta quel giorno. Rimasi in silenzio mentre lei si lasciava andare ad un discorso sulla paura, su quante monarchie in passato l’avessero usata e su quanto essa sapesse essere un’arma a doppio taglio e per questo lei preferiva non utilizzarla, preferendo il rispetto alla paura, per poi aggiungere che stava a me decidere se temerla o meno. L’ombra di un sorriso colorò il mio volto a quel punto perché, no, non la temevo, era raro che io fossi in grado di temere qualcuno, ma questo non voleva neanche dire che mi fidassi di lei, non ancora per lo meno. E il mio sguardo si fece più incuriosito quando disse che la sua fedeltà era eterna, una volta conquistata. Questa poteva essere una cosa interessante sul suo conto, una cosa da tenere bene a mente. -Una volta conquistata. – ripetei io, con un tono vagamente enigmatico, come a dire che ancora non ero sicuro che la sua fiducia fosse stata conquistata, soprattutto per quanto riguardava me, ma li limitai soltanto a pronunciare quelle parole, senza aggiungere nient’altro, come se avessi voluto semplicemente ripeterle per fissarle nella mia mente e ricordarle. Una cosa inutile ovviamente, dato che io non dimenticavo mai nulla.
    Mi disse che la riunione non era stata molto interessante e che si era parlato dei soliti problemi che non avevano ancora ottenuto soluzione e che i fallimenti degli ultimi tempi avevano solo reso tutti più irrequieti. -Mio padre troverà certo una soluzione. – dissi, con lo stesso tono neutro che avevo usato in precedenza perché, sì, lui trovava sempre una soluzione, il problema è che spesso le sue idee non tenevano in considerazione ciò che gli altri avrebbero dovuto passare per le sue scelte, ma questa era un’altra storia, qualcosa di cui non avrei di certo potuto parlare con lei, che probabilmente doveva aver riposto in lui tutta la sua fiducia. Erano in molti a farlo, affascinati da una figura così solida, così apparentemente perfetta, non avrebbero potuto fare una scelta più sbagliata. Eleazar Lancaster agiva soltanto per se stesso e la sua fedeltà non era mai stata rivolta verso nessuno. Evitai però di mantenere troppo a lungo il discorso su mio padre e su quelle riunioni, preferendo invece puntare su domande un po’ più personali, che avrebbero potuto farmi sapere di più sul conto della vampira. Londra le piaceva, ma qualche volta sapeva essere insopportabile e potevo capirla. Non mancai di cogliere la sua espressione farsi più seria quando le chiesi della sua casa, segno che non doveva essere un argomento molto piacevole per lei, tanto che mi disse che non aveva più un posto da chiamare casa perché nel luogo in cui era nata non le rimaneva più nulla, prima di girare a me una domanda molto simile. -Non sono mai stato un tipo molto sentimentale a dire il vero. – iniziai, con tutta tranquillità, perché non c’era niente di più vero che potessi dirle, anche se non era solo per questo che non riuscivo ad amare Londra. -Sono più il tipo che preferisce viaggiare e non avere una casa fissa, ho sempre voluto visitare tutto il mondo, credo sia per questo che non mai rimanere qui troppo a lungo. – dissi, rivelando volontariamente quella notizia forse troppo personale sul mio conto perché non potevo aspettarmi che lei fosse sincera e mi rivelasse delle cose sul suo conto se io non avessi fatto altrettanto. -Voi dovete aver visto molti luoghi durante i vostri viaggi. – dissi, in quella che suonò molto più come un’affermazione che come una domanda, dato che mi sembrava una cosa scontata visto che aveva una nave a sua disposizione. -C’è qualche posto in particolare in cui vi piacerebbe tornare? – chiesi, facendo una piccola pausa prima di proseguire. -Io credo di essere rimasto in qualche modo legato all’India, ai suoi colori, ai suoi profumi, è stato uno dei viaggi di cui ho maggiore memoria. – rivelai, facendo il primo passo in quel breve scambio di opinioni sul mondo. Anche lei, come me, sembrava una persona che amava particolarmente viaggiare e forse quello sarebbe potuto essere un punto di contatto tra di noi, qualcosa da cui iniziare. Avevo in mente di fare presto un nuovo viaggio, ma per il momento tenni la cosa per me. Ancora non avevo deciso cosa pensare sul suo conto e non sapevo se lei sarebbe stata disposta ad accompagnarmi, anche se avrei potuto tranquillamente sfruttare una delle sue prossime missioni e decidere di invitarmi sulla sua nave.

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