We have a problem

per Darren

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    Anastasia I. Shakelova » Human/scientist
    Fastidiosa, ecco come trovavo l’ultima imposizione di David. Ero d’accordo sul fatto di non sapermela cavare completamente da sola nel caso di uno scontro, o anche di un semplice attacco sorpresa, ma da questo all’essere costantemente sorvegliata, da un tizio che oltretutto aveva tutta l’aria di volersene andare il prima possibile, ci passava in mezzo un mondo intero. Era stata colpa mia, me ne rendevo conto. Avrei dovuto tenere la bocca chiusa e non raccontargli del mio scontro con un vampiro e di come fossi riuscita a darmela a gambe per un pelo, ma era la verità, ed era l’unica spiegazione che potessi dargli per il mio ritardo, quindi non me l’ero proprio sentita di mentire. Le bugie il più delle volte non portavano da nessuna parte, soprattutto all’interno di un gruppo in cui era la fiducia a mantenere le cose a posto e a permettere che tutto filasse liscio. No, non avrei potuto mentirgli, non per una cosa importante come quella, ma questo non voleva dire che non me ne fossi comunque pentita. Mi piaceva lavorare in solitudine, per mantenere al meglio la concentrazione e perché il mio laboratorio era per me un posto quasi sacro, dove non volevo che entrasse qualcuno mentre lavorava, invece ora mi ritrovavo ad avere Darren Jackson che mi seguiva come un’ombra silenziosa. Non mi piaceva avere della gente intorno, tanto meno avere qualcuno con la faccia perennemente arrabbiata. Ero stata una persona gentile e amichevole una volta, di quelle a cui piaceva trascorrere il proprio tempo in compagnia e che cercavano sempre di animare le situazioni, ma quello era successo un’intera vita prima e io non più quella bambina allegra e sorridente che correva in giro per Minsk e per il suo circondario con il desiderio di vedere il mondo ad accenderla. Erano passati anni dall’ultima volta che avevo avuto la possibilità di sfiorare quella bambina e troppe cose erano cambiate da allora, a cominciare dalla mia famiglia. L’incubo della loro trasformazione, in volto rabbioso e affamato di mio fratello nell’intento di nutrirsi del mio sangue, riempivano le mie notti giorno dopo giorno e probabilmente lo avrebbero fatto per sempre, o almeno fino a che non fossi riuscita a rimettere a posto le cose. Era stato proprio quello a spingermi ad agire, a cercare in giro per il mondo qualunque indizio in grado di offrirmi una possibilità di cambiare le cose, di invertire quel processo terribile e farli ritornare umani. Solo allora sarei riuscita a darmi pace, solo allora avrei potuto mollare la presa. La guerra e il fatto che tante persone avessero sofferto per colpa dei vampiri era stato soltanto un incentivo in più, il motivo che mi aveva spinta ad unirmi ai ribelli e continuare la mia ricerca al loro fianco, ma non era stata l’unica cosa. C’erano sempre stati i demoni del mio passato ad alimentare la mia determinazione, a tenermi sveglia per giorni, senza neanche preoccuparmi di mangiare, pur di riuscire a concludere un piccolo pezzetto dell’insieme che mi avrebbe portata verso la cura. Lavoravo da sola, rivolgendomi agli altri scienziati soltanto per un confronto sui passi avanti che riuscivamo ad ottenere e soltanto per metterci in pari con il lavoro, ma non avevo mai voluto un compagno fisso. Dopo quello che era successo, dopo la notte in cui la mia famiglia si era irrimediabilmente spezzata e tutto il mio mondo era cambiato, non ero più riuscita ad aprirmi davvero con qualcuno e ad accettare la compagnia di qualcuno che non fosse Viktor, il vecchio domestico che mi aveva salvato la vita e che mi aveva portata via con sé. Era a lui che dovevo tutto quanto ed era con lui che continuavo a vivere, nonostante gli anni fossero passati, considerandolo però ormai più come uno zio amorevole che come il domestico che era stato, nonostante lui continuasse a rivolgersi a me come Signorina Shakelova. Gli avevo detto tante volte di non farlo, che non c’era davvero più nulla di nobile in me e che ormai ero semplicemente Ania, ma lui non voleva arrendersi. Era l’unico a cui permettessi di preoccuparsi per me e di darmi dei consigli, l’unico a cui permettessi di starmi accanto.
    Invece, da pochi giorni a questa parte, mi ero ritrovata costretta a doverlo permettere anche Darren, nonostante tutte le mie proteste. Non volevo una guardia del corpo, non volevo qualcuno che mi stesse con il fiato sul collo e che mi facesse pesare, anche semplicemente con la sua presenza, la mia totale inabilità con le armi. Avrei voluto imparare a difendermi meglio soltanto per poterlo allontanare, ma purtroppo non ero mai stata brava con quel genere di cose. Ero più una donna d’intelletto che d’azione, insomma, l’esatto contrario di quello che lui sembrava ad una prima occhiata, tutto muscoli e voglia d’azione. Io stavo bene nel mio laboratorio, immersa nella tranquillità e nel silenzio, ma persino questo mi era stato sottratto ormai. Sospirai esasperata nel sentire i suoi passi, chiudendo gli occhi per un momento e cercando di non pensarci. Era per questo che odiavo avere delle persone attorno: in un modo o nell’altro facevano sempre rumore e mi deconcentravano. -Hai davvero intenzione di seguirmi per tutto il tempo? – chiesi, piuttosto sarcastica, senza però spostare lo sguardo dal foglio che mi trovavo davanti, sul quale avevo scritto sin troppo velocemente nell’ultima ora. Non mi aspettavo davvero una risposta da lui, non mi era mai sembrato un tipo di molte parole, ma la sua presenza silenziosa alle mie spalle, che si muoveva avanti e indietro per il mio laboratorio, riusciva a darmi seriamente sui nervi. Mi rendevo conto che rimanere in attesa, mentre io facevo dei calcoli e cercavo di arrivare a delle soluzioni, non doveva essere la cosa più divertente del mondo, ma non ero stata io a chiederglielo e non ero di certo io a volerlo lì. Tentai di riprendere il filo del calcolo, ma non ci riuscii, ritrovandomi a sospirare di nuovo, con aria irritata, per poi voltarmi verso di lui. -Senti, io non ti voglio qui tanto quanto tu non vuoi esserci, quindi perché non vai a fare qualcos’altro? Non penso proprio che un vampiro irrompa di soppiatto qui dentro e cerchi di uccidermi. – dissi, inarcando appena le sopracciglia mostrando un gesto di stizza. Ok, non ero la persona più simpatica del mondo, ma che cosa ci potevo fare se la sua presenza mi innervosiva? -Nessuno si accorgerà che non sei qui a controllarmi e di certo non sarò io ad andare a dirlo a David. – dissi, come se fosse la cosa più normale del mondo, mantenendo lo sguardo nel suo per qualche momento, sperando vivamente che accettasse, ma chiaramente sarebbe stata una cosa troppo bella per essere vera.-No, eh? – chiesi infatti, poco dopo, rendendomi conto che non aveva alcuna intenzione di venire meno alla richiesta di David, non quando sarebbe stato quello a determinare l'idea che il nostro capo si sarebbe fatto di lui. Gli scienziati erano importanti e andavano quindi protetti. Certo, come no, come se questo non volesse dire renderci la vita impossibile! Era questo che mi aveva detto come giustificazione, ma sapevo che non si trattava soltanto di qullo e che aveva intenzione di approfittare di quell'occasione per capire se poteva fidarsi di loro e se erano uomini di parola. -Ottimo! – dissi quindi, quasi esasperata, lasciandomi andare ad un altro verso infastidito. Se prima ero rimasta in totale silenzio per ora, adesso avevo iniziato a sproloquiare come se non ci fosse un domani il che, probabilmente, era anche peggio.
    Riportai la mia attenzione sulla pila di fogli di carta, cercando di ignorare completamente la presenza di Darren e si ricominciare con il mio lavoro, per quanto possibile. Avevo le mani che tremavano per il nervosismo e la mia testa continuava ad andare nella direzione sbagliata. Riuscivo a pensare soltanto ai più piccoli rumori che lui faceva: il rumore del suo respiro, i suoi passi che facevano cigolare le assi di legno; tutto era davvero insopportabile. Chiusi gli occhi di nuovo, cercando di escludere tutto quello che avevo intorno, ma tutto quello che riuscivo a fare era provare fastidio nei confronti della sua presenza. Terminai il calcolo, dovendo far fronte ad un notevole sforzo per non riprendere a sproloquiare, ma quando finalmente ci riuscii mi sembrò di aver scalato un’intera montagna a mani nude. Il che era assurdo considerando che non lo avevo mai fatto e che fare calcoli e pensare non mi era mai pesato così tanto. -Per quanto pensi che dovrà andare avanti questa cosa? – chiesi quindi, di punto in bianco, sperando che almeno lui avesse una risposta a quella domanda dato che David non mi aveva fornito un numero di giorni. Quello sarebbe stato decisamente utile. Sapere che c’era una data di scadenza, che quell’incubo sarebbe terminato, prima o poi, mi avrebbe certamente resa più tranquilla, ma avevo come l’impressione che lui dovesse saperlo. -Ragionevolmente parlando questa situazione sarebbe decisamente più accettabile e meno fastidiosa se imparassimo a convivere, in qualche modo, in maniera civile. – dissi, anche se sapevo perfettamente di essere stata io la prima a tenermi ben lontana dal cercare un punto di incontro con lui. -Detesto avere qualcuno intorno mentre lavoro, i rumori mi danno fastidio, anche quello dei tuoi passi, non sei affatto silenzioso quanto credi. – continuai, alzando gli occhi al cielo al solo pensiero di quanto mi innervosisse quel rumore. Va bene, forse stavo un po’ esagerando, ma no sopportavo l’idea di perdere tempo. -Mi piace il mio lavoro e vorrei davvero riuscire a trovare questa maledetta cura il prima possibile, quindi ti sarei davvero grata se tu non cercassi di rovinare tutto. – dissi, forse parlando in maniera un po’ troppo chiara e diretta, ma non potevo farci nulla, ero fatta così, detestavo gli inutili giri di parole e ritenevo che essere diretti, in molti casi, fosse la soluzione migliore. -Quindi la mia proposta è questa: o riesci a stare seduto da una parte, fermo e in silenzio, o vai a farti un giro da qualche parte, oppure ti rendi utile, in qualche modo, dandomi una mano con quello che potresti saper fare. – terminai, continuando a guardarlo, trattenendo tra le labbra un’implicita domanda: c’era qualcosa che era capace di fare al di fuori del tenere un’arma tra le mani? -Ti starai sicuramente annoiando molto più di me, quindi, come te la cavi con i calcoli? Sai riconoscere qualcuna delle sostanze all’interno di quello scaffale? Ci sono le etichette, per la cronaca. Sai usare un bilancino? – chiesi, fermandomi soltanto dopo quella carrellata di domande, dandogli finalmente l’opportunità di darmi una risposta.

    These wounds won't seem to heal,
    this pain is just too real
    There's just too much that time cannot erase

    « swän » code esclusivo del London gdr. Non usare senza il mio permesso.



    Edited by 'spencer - 6/3/2016, 21:18
     
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    DARREN COLE JACKSON » Umano Ribelle


    Il silenzio tra di loro era diventato insostenibile, non si rivolgevano la parola da quando erano stati presentati da David e Carver qualche giorno prima. Era possibile non sopportarsi senza sapere altro se non il nome dell’altro?
    Darren camminava spazientito avanti e indietro per la stanza, non era abituato a stare con le mani in mano senza fare nulla se non supervisionare qualcuno. Forse Carver lo odiava al punto che aveva pensato che affidandogli quella missione si sarebbe liberato di lui. Eppure le parole dell’uomo gli avevano fatto intendere tutto il contrario: tenere sotto controllo la scienziata di David era una missione importante che richiedeva una persona leale e affidabile. Si trattava di un test per Carver e i suoi uomini, in quanto David voleva essere certo di poter riporre in loro la sua fiducia per il futuro. Per essere i capi dei Ribelli quei due avevano tralasciato un “piccolo particolare”: Darren era un ex assassino e avvicinare a lui le parole leale e affidabile era impensabile. Doveva ammettere, però, che da oltre un anno non esercitava più il suo vecchio mestiere, anche se di tanto in tanto andava a caccia di animali per placare i vecchi istinti che a volte si facevano risentire. Forse i due uomini non avevano tutti i torti, in fondo lui non era mai stato uno che si lasciava andare alle emozioni e all’irrazionalità, per cui non poteva essere altro che una di quelle persone estremamente razionali e ligie al dovere. Di conseguenza lo avevano fregato! Proprio per quei difetti che quei due consideravano qualità.
    Anastasia, così si chiamava la sua protetta, sospirò per l’ennesima volta proprio mentre i pensieri dell’uomo toccavano l’apice della frustrazione. Quelli erano gli unici suoni che lasciavano la bocca della donna da una quantità indefinita di ore. Da quanto tempo erano ormai lì dentro Darren neanche se lo ricordava più, sapeva solo che quella ragazza era rimasta seduta da quando avevano messo piede lì e non si era mai alzata nemmeno per andare in bagno; se lo avesse fatto se lo sarebbe ricordato perché sarebbe stata la prima occasione di vedere un posto diverso dal laboratorio. Non solo Anastasia non accennava ad avere bisogni fisiologici come alzarsi o andare in bagno, ma non dava il minimo segno di avere fame, mentre Darren sentiva una voragine aprirsi lentamente nel suo stomaco. Lui sapeva perfettamente che il compito di quella ragazza era trovare la cura al vampirismo, ma era davvero un fardello ingrato se prevedeva l’immobilità completa, il silenzio inviolabile e il digiuno. Quello non era un ruolo adatto a lui, non avrebbe mai potuto passare le sue giornate a quella maniera, bastava pensare che già si sentiva mancare l’aria per l’assenza di cose da fare. In quel momento avrebbe preferito trovarsi alla bottega del vecchio Ray e ascoltarlo parlare delle sue avventure giovanili mentre lavoravano il legno piuttosto che stare lì a fissare il vuoto mentre ripercorreva per la milionesima volta gli stessi passi. Chissà che a forza di fare avanti e indietro non sarebbe finito col consumare così tanto il pavimento da lasciarci una fossa nella quale sarebbe lentamente sprofondato per la noia.
    Un altro sospiro e poi accadde l’impensabile, Anastasia gli rivolse la parola. Dal suo tono di voce era chiaro che era frustrata e insoddisfatta tanto quanto lo era lui, nessuno dei due avrebbe voluto trovarsi in compagnia dell’altro.
    Darren arrestò i suoi passi per guardare il retro della nuca della donna che non si era nemmeno degnata di alzare lo sguardo su di lui, infatti poteva vedere solo la sua lunga chioma ramata che arrivava dolcemente a lambire la sua schiena. Già erano arrivati al punto di non guardarsi in faccia, ma quando era successo?
    Non che a Darren interessasse molto di stringere amicizia con quella tipa, lui non era mai stato una persona amichevole e solare, anzi gli unici amici che aveva a Londra gli dicevano sempre che doveva togliersi la scopa dal cu*o perché era troppo freddo nei confronti degli altri. Era perfettamente cosciente di non essere una buona compagnia, infatti da quando era approdato a Londra aveva due soli veri amici e non aveva cercato rapporti sentimentali con le donne del posto, questo non voleva dire che non aveva avuto compagnia femminile, solo che prediligeva relazioni brevi ma intense (possibilmente da terminare entro l’alba del nuovo giorno).
    Il viso di Darren era inespressivo di fronte alle parole della ragazza, la quale aveva appena dato voce ai suoi stessi pensieri. Almeno su qualcosa andavano d’accordo: perché perdere tempo a quella maniera, quando entrambi potevano applicarsi su cose ben più utili alla società e a loro stessi?
    Finalmente gli occhi verdastri della giovane andarono a incontrare i suoi, erano colmi di un sentimento di frustrazione repressa che stava iniziando ad uscire allo scoperto attraverso le sue parole piene di stizza. Gli stava addirittura proponendo di venire meno al suo patto con David e di andare a trovarsi altro da fare che non fosse starle dietro col fiato sul collo. In tutta risposta al suo sproloquio Darren inarcò un sopracciglio con la tipica aria di superiorità di chi aveva appena sentito una proposta davvero ridicola. Se lui avesse lasciato il suo posto lì con lei non solo avrebbe avuto sia David che Carver contro, ma avrebbe perso il suo posto tra i Ribelli e sarebbe rimasto da solo in una Londra dove l’unica scelta per un essere umano era diventare schiavo dei Lancaster o stare tra le fila dei Ribelli per mantenere la propria dignità. Darren odiava i Lancaster e tutta la specie dei vampiri, quindi aveva un’unica opzione di sopravvivenza e non aveva intenzione di deludere in un colpo solo entrambe le figure di riferimento dei Ribelli perché gli avevano affidato un incarico odioso, anche se si trattava di una delle missioni più strane di tutta la sua vita. Non era la prima volta che gli veniva affiancata una ragazzina, in passato aveva avuto a che fare con giovani fanciulle come sue pari collaboratrici, mentre questa volta la situazione era un po’ diversa: ”Prenditi cura di Anastasia.” gli avevano detto quando gli avevano spiegato in cosa consisteva il suo nuovo incarico e Darren aveva mentito spudoratamente rispondendo con un semplice ”Lo farò.”, ma lui non sapeva cosa significasse prendersi cura delle persone perché nessuno lo aveva mai fatto con lui e chi ci aveva provato aveva incontrato la sua totale resistenza. Il passato di Darren era fatto di aridità e violenza, difficilmente aveva incontrato il calore umano nella sua vita e quelle rare volte che era successo lui stesso aveva mandato tutto a monte perché non era in grado di gestire quella strana cosa chiamata Amore.
    Un paio di passi verso la ragazza e poi Darren si fermò di nuovo. ”A quanto pare su una cosa siamo d’accordo: nessuno dei due vorrebbe trovarsi qui. Peccato che non abbiamo scelta… sai, guardarti mentre stai tutto il tempo seduta non è una delle cose più interessanti che abbia fatto nella mia vita.” L’uomo incrociò le braccia al petto, s’intuiva che erano molto muscolose anche se erano nascoste dalle maniche lunghe di una camicia bianca molto semplice. Non serviva un occhio esperto per capire che sotto l’abbigliamento un po’ trasandato si celava un corpo agile e atletico: il suo vecchio lavoro lo obbligava a mantenersi in forma per non soccombere ai nemici. Nonostante avesse smesso da più di un anno di occuparsi di missioni estremamente impegnative a livello fisico, Darren non aveva perso l’abitudine di allenarsi quotidianamente, per lui esercitarsi all’aria aperta era anche uno sfogo e un modo per non dover reprimere completamente tutto ciò che era stato fino a poco tempo addietro. Da quando aveva deciso di stabilirsi a Londra la sua vita era cambiata radicalmente e anche il suo modo di essere stava subendo delle trasformazioni, alcune obbligate e altre per scelta. Per una persona abituata a vagabondare, senza alcun luogo da poter chiamare casa e senza affetti da cui tornare dopo un lungo viaggio, non era semplice mettere radici in una sola città e avere una sola identità. Darren cambiava nome e nazionalità ad ogni nuova missione, era abituato ad indossare l’identità di qualcun altro così come una donna è abituata a portare ogni giorno un abito diverso. In ogni luogo che aveva visto il suo passaggio aveva lasciato un’immagine diversa di se’ e una scia di morte che gli aveva impregnato l’anima.
    E adesso?
    Adesso stava ricominciando tutto daccapo… adesso era solo Darren Cole Jackson, uno scozzese trapiantato a Londra che si era aggiunto alle fila dei Ribelli. Infatti eccolo lì alle prese con quella ragazzina che gli stava ricordando quanto le fosse sgradita la sua presenza e la cosa era assolutamente reciproca.
    ”Ti avevo sottovalutata, per essere una scienziata sei davvero intelligente: hai capito da sola che non me ne andrò da nessuna parte. I miei complimenti, ragazzina.” La sua voce roca era pregna d’ironia, mentre il suo viso non lasciava trasparire emozione alcuna, la sua espressione era completamente neutra. Darren lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e riprese a camminare avanti e indietro quando Anastasia posò nuovamente la sua attenzione sui fogli sparsi davanti a lei sulla sua scrivania. Quella nuova assenza di parole era come una carica pronta ad esplodere da un momento a un altro, l’elettricità vibrante si poteva respirare nell’aria insieme all’ossigeno.
    Stavolta il silenzio durò molto di meno e fu nuovamente Anastasia a rompere quel tacito vuoto tra di loro, mostrando i primi segni di rassegnazione con le sue domande. Non l’avevano scelta loro quella convivenza, quindi l’unica cosa da fare era accettarla e trovare un compromesso per renderla il meno astiosa possibile. La ragazza pareva aver capito il concetto senza che Darren esprimesse i suoi pensieri a parole, in fondo il loro modo di pensare non era poi così differente a quanto pareva, però rimaneva il fatto che avevano due stili di vita opposti e che molto probabilmente non avevano molto in comune per passare bene quelle giornate insieme.
    ”Non mi hanno dato una scadenza, ma io credo che sarà una questione di mesi, sempre che tu non combini qualche altro danno. In quel caso potrebbero essere anni.” Darren si fermò di fronte alla porta del laboratorio e vi si addossò con la schiena, poi sollevò la gamba sinistra fino a portare il piede a toccare il portone. Ancora quell’aria d’indifferenza dipinta in volto, che molto spesso veniva scambiata per strafottenza o arroganza e causava a Darren non poche liti con chi aveva voglia di attaccare briga. Di solito quell’aria scanzonata attraeva problemi con gli uomini e moine con le donne. Chissà perché la faccia da str*nzo funzionava sempre col sesso femminile, non che Darren dovesse impegnarsi molto per avere quell’espressione, la natura gliel’aveva donata sin dall’infanzia ed era diventata la sua dannazione e la sua benedizione.
    Darren stava soppesando le parole della ragazza che stava davvero iniziando a esagerare: le dava fastidio il rumore dei suoi passi perché lui non era abbastanza silenzioso. Quella tipa aveva davvero qualche problema! ”Dipende se per civile intendi dire che non devo nemmeno respirare perché altrimenti potrei disturbarti. I tuoi discorsi sono un po’ monotematici, Anastasia. Non fai altro che dire io, io, io e ancora io. Ah no, scusa, hai parlato anche del tuo lavoro. Ce l’hai una vita al di fuori di questa stanza?” Aveva esagerato, Darren se ne era perfettamente reso conto, ma Anastasia non gli stava rendendo la vita facile. La situazione era già difficile così com’era e la ragazza non faceva altro che dettare condizioni in base a ciò che faceva comodo solo a lei e al suo lavoro, sempre che stare seduta per ore davanti a dei fogli potesse definirsi lavoro.
    ”Non ho nessuna intenzione di sedermi in un angolo ogni singolo giorno finché non terminerà questa convivenza forzata e sai perfettamente che non posso andarmene, quindi non chiedermelo un’altra volta.” Si diede la spinta col piede per avvicinarsi alla giovane con pochi passi rapidi e ben calibrati, poi appoggiò entrambe le mani sulla scrivania avvicinando il suo viso a quello di Anastasia per guardarla dritto negli occhi. Non c’era esitazione nel suo sguardo e tanto meno nelle parole che seguirono il suo gesto. ”Non so fare i calcoli come te, ragazzina, ma so riconoscere le sostanze nei tuoi scaffali senza bisogno di etichette. Adesso, però, vorrei porre qualche condizione anche io visto che questa storia andrà avanti più a lungo di quanto vorremmo.” Involontariamente Darren avvicinò ancora il suo viso a quello di Anastasia, ma non si scompose minimamente per quella insolita vicinanza, era così abituato a parlare ad un palmo dal naso delle persone per sembrare più minaccioso durante le missioni, che in quel momento non pensò minimamente all’effetto che avrebbe potuto fare alla giovane donna. Teneva i suoi occhi di una tonalità indefinita tra il grigio e l’azzurro fissi in quelli di Anastasia, sentendo il suo respiro sul volto per quanto era ridotta la distanza tra di loro. Darren trasse un respiro profondo e oltre agli olezzi degli ingredienti presenti nella stanza, gli arrivò alle narici un sentore floreale molto piacevole, eppure non c’erano fiori lì dentro…forse era il profumo della pelle di Anastasia. Darren si schiarì la gola, come se così facendo avrebbe potuto allontanare da se’ quell’istante di distrazione che era arrivato così inaspettatamente.
    ”So fare molte più cose di quel che credi, Anastasia, ma non è nel mio interesse renderti partecipe della mia vita, non sono cose che ti riguardano. Sappi solo che me la cavo piuttosto bene nel miscelare sostanze per ottenerne di nuove. Detto ciò dovremmo trovare un accordo anche su ciò che va al di là del tuo lavoro, come i pasti, il bagno e dove dormire. Ti dovrò sorbire in ogni aspetto della giornata, quindi cominciamo dal cibo perché io sto morendo di fame!” Detto ciò, Darren si allontanò dalla ragazza e si appoggiò alla scrivania con la parte più bassa della schiena, senza distogliere lo sguardo da lei. Quegli occhi verdi sdegnati gli ricordavano una persona del suo passato, ma non voleva aprire quel capitolo nella sua mente, altrimenti sarebbe andato troppo oltre. Mantenne il controllo e non si permise di lasciarsi andare ad alcun tipo di vagheggiamento sul suo passato. ”Oltre a lavorare, ti nutri anche o hai intenzione di farmi digiunare? Sappi che detesto rimanere troppo tempo senza mettere qualcosa sotto i denti.” Le fece il verso, ancora una volta la sua voce sapeva d’ironia, ma il suo volto era indecifrabile. La sua anima aveva un colore che raramente arrivava a pitturare il suo viso.
    ”Siamo rimasti così tanto tempo qua dentro che non so nemmeno se fuori è già notte. Potremmo fare una pausa e magari anche una breve tregua all’aria aperta, ci stai?” Darren si ritrovò a sperare fortemente che Anastasia non fosse una di quelle ragazze schizzinose che non sopportano di uscire perché rischierebbe di sporcare la sua delicata scarpetta con la terra o altre cose del genere. La sua domanda era in sospeso in attesa di una risposta che avrebbe potuto portare un po’ di luce in quella situazione così buia.

    I became a man of
    violence and hate
    but still there’s some good in me

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    Edited by Aruna Divya - 22/3/2016, 19:29
     
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    Anastasia I. Shakelova » Human/scientist
    Era da tempo che avevo smesso di essere una persona amichevole e di buona compagnia, qualcuno con cui era piuttosto piacevole trascorrere il proprio tempo e non avevo alcuna intenzione di tornare ad essere quella ragazza. Non volevo avere legami, non volevo aprirmi di nuovo con qualcuno perché sentivo che non sarei stata in grado di reggere un’altra perdita e non volevo neanche tentare la sorte. Stavo bene da sola, avevo lentamente imparato a non avere bisogno di niente e di nessuno ed era esattamente così che volevo che le cose rimanessero, senza che qualcuno cercasse di cambiarle. Per questo ero così infastidita dalla presenza di Darren all’interno del mio laboratorio. Passare molto tempo a contatto con qualcuno offriva la tentazione di chiacchierarci, ti dava la possibilità di avvicinarti a lui più di quanto volessi e io non ero pronta ad accettare una cosa come quella e mi sarei opposta sino alla fine per evitare che una cosa come quella potesse accadere. La cosa positiva era che neanche lui sembrava un gran chiacchierone, uno particolarmente ben disposto a fare la mia conoscenza e trascorrere del tempo con me e questo avrebbe dovuto aiutarmi ad accettare la cosa con più tranquillità, ma non ci riuscivo comunque. Io ero abituata a lavorare da sola e quell’invasione all’interno del mio territorio non mi piaceva. Non avevo ancora dato completamente di matto soltanto perchè era stato David e porre quella condizione, ma se fosse andato avanti ancora per molto allora nulla mi avrebbe impedito di andare a fargli visita per rendergli ancora più esplicito il mio punto di vista. Detestavo il fatto che lui avesse deciso che io necessitassi di una balia perchè, sebbene non fossi particolarmente brava con le armi, dato che non avevo mai avuto occasione di imparare, questo non voleva dire che non sapessi cavarmela da sola. Io e Viktor non avevamo avuto bisogno di nessun altro da quando eravamo stati costretti ad andarcene dalla nostra terra natia e speravo che lui mi avrebbe dato man forse in quell’occasione e che mi aiutasse a convincere il Capo dei ribelli che tutte quelle premure non erano necessarie. Certo, un vampiro era quasi riuscito a mordermi, ma questo non voleva dire che ero in pericolo di vita ogni volta che uscivo dal covo e ancora meno che necessitassi di essere tenuta sotto osservazione persino all’interno del mio laboratorio. Nessuno era mai riuscito a trovare quel luogo, eravamo sempre riusciti a tenerlo nascosto, quindi perché mai ora le cose sarebbero dovute essere diverse? Non c’era ragione, ecco, doveva essere soltanto un bizzarro modo di urtare i miei nervi.
    Sospirai con aria scocciata più volte mentre l’uomo continuava a fare avanti e indietro per la stanza, facendo scricchiolare le assi di legno del pavimento. Detestavo quel rumore ed era anche per quello che di solito non permettevo a nessuno di restare con me all’interno del mio laboratorio: le persone non sapevano stare ferme. Avevamo trascorso ore senza rivolgerci neanche la parola e forse avrei fatto meglio a continuare su quella strada, ma quando il pavimento scricchiolò di nuovo, facendomi perdere ancora la concentrazione, non riuscii più a trattenermi. L’espressione inespressiva che mi rivolse lui mi fece inarcare il sopracciglio con maggiore stizza, davvero non c’era nulla che lui avesse da dire? Cavolo, avrei davvero avuto voglia di mettermi ad urlare a quel punto. Non fece una piega quando gli offrii di coprire la sua assenza, limitandosi ad inarcare il sopracciglio e a guardarmi come se avessi detto la cosa più sciocca del mondo. Gonfiai appena le guance, cercando di trattenermi ed evitare di inveire senza più ritegno nella sua direzione. Davvero a lui le cose stavano bene così? Iniziavo davvero a pensare che non fosse capace di parlare, anche se avevo già sentito la sua voce ore prima quando David ci aveva costretto a presentarci, convinto che quello sarebbe stato un ottimo primo passo per una splendida collaborazione. Inutile sottolineare l’occhiata scocciata e scettica che gli avevo rivelato e che aveva fatto immediatamente comprendere quanto poco fossi d’accordo con quella sua sciocca trovata. Fu quasi un sollievo comunque sentirgli pronunciare alcune parole, nonostante la gentilezza non sembrasse essere di casa neanche da lui. mi sembrava abbastanza evidente che a pelle nessuno dei due sopportasse l’altro e non fu quindi affatto strano sentirlo affermare anche da lui mentre notava che almeno su una cosa sembravamo trovarci d’accordo, una soltanto a quanto pare. Inarcai maggiormente il sopracciglio quando disse che non era divertente rimanere a fissarmi mentre stavo seduta, per poi scrollare appena le spalle con aria disinteressata. -Puoi sempre guardare da un’altra parte. – fu la mia risposta a quel punto, anche se sapevo benissimo che non era a quello che si stava riferendo. Rimasi a fissarlo per qualche momento, decidendomi soltanto allora ad osservarlo con maggiore attenzione. Era alto, decisamente troppo alto per starmi vicino considerando che a malapena gli sarei potuta arrivare all’attaccatura delle braccia e che vederlo da quella prospettiva mi avrebbe probabilmente messa un po’ a disagio. Non ero mai stata particolarmente alta e mi era sempre andato bene così, eppure in certi casi le persone più alte di me sapevano mettermi un po’ in soggezione, soprattutto quando erano così scontrose. E oltre ad essere alto sembrava anche abbastanza muscoloso, altra cosa che a me mancava dato che trascorrevo sin troppo tempo chiusa là dentro. Ero sempre stata una ragazza atletica, ma da tempo ormai avevo smesso di ritagliarmi un piccolo spazio per coltivare quel piacevole passatempo. Avevo altro a cui pensare, altre cose da fare, non potevo permettermi simili distrazioni. La sua vita doveva essere stata certamente diversa, ma non avevo alcuna intenzione di approfondire quel genere di discorsi.
    Gli lanciai un’occhiataccia quando fece quel commento sulla mia intelligenza che ero abbastanza certa non fosse un complimento, sbuffando di nuovo quando affermò che davvero non sarebbe andato da nessuna parte, esattamente come avevo capito da sola. Il modo in cui si rivolgeva a me, come se non fossi altro che una ragazzina, mi dava decisamente sui nervi e mi maledissi in fretta di aver iniziato quella conversazione dato che era più che evidente che quando se ne stava ferma e in silenzio sapeva essere ben più simpatico di quando apriva bocca. Tentai di lasciarlo perdere, cercando di concentrarmi, ma non voleva davvero saperne di stare fermo e non tardai quindi a lamentarmi di nuovo, cercando tuttavia di trovare un compromesso. Lavorare in quel modo, continuando a guardarci e parlaci con astio, sarebbe stato davvero pesante e snervante e non sarei riuscita a concludere nulla, quindi era meglio che ci confrontassimo e che trovassimo dei punti in accordo per cercare quanto meno di convivere. Strabuzzai gli occhi quando mi disse che neanche a lui era stato dato un tempo preciso ma che si aspettava che si trattasse quanto meno di mesi, avanzando che potessero diventare anni se io avessi combinato qualche guaio. Feci finta di non avere neanche sentito l’ultima parte per evitare di arrabbiarmi più del dovuto, soffermandomi soltanto sulla parola mesi. -Mi prendi in giro non è vero? – chiesi, aspettandomi che da un momento all’altro si mettesse a ridere, sempre che ne fosse capace, e che dicesse che era stato solo uno scherzo di pessimo gusto. -Pensavo che si trattasse di una sciocchezza di qualche giorno e già così era particolarmente fastidioso, ma… mesi? No, non credo proprio di potercela fare. – dissi, infine, scuotendo poi il capo per rendere la cosa ancora più sentita. Non avrei trascorso interi mesi in quel modo, a sopportare di essere trattata come una stupida ragazzina che non sapeva cavarsela da sola. Ripresi a parlare a ruota senza quasi rendermene conto, senza soppesare le parole prima di pronunciarle, rendendomi conto soltanto dopo di quanto ostile dovessi essere suonata.
    Serrai la mascella quando si lamentò dell’argomento monotematico dei miei discorsi, scoccandogli un’occhiataccia quando mi chiese se avevo una vita al di fuori del laboratorio. Raddrizzai maggiormente la schiena, assumendo una posa più difensiva senza tuttavia rispondere alla sua domanda. Dubitavo che volesse saperlo davvero e io non avevo alcuna intenzione di condividere la mia vita con lui. -No, non intendevo quella, ma se è la tua offerta… – dissi, con voce però decisamente più infastidita, continuando a tenere la mascella serrata e guardarlo con un certo fastidio. Chi diavolo si credeva di essere? Provai l’impulso di uscire dalla stanza e andare a lamentarmi con David per porre fine a tutta quella faccenda, ma non era così che intendevo risolverla. Non ero una bambina, non lo ero più da molto tempo nonostante il mio aspetto potesse suggerire il contrario, così come alcuni miei atteggiamenti. Ma se davvero avevo sperato che potesse davvero iniziare a smettere di respirare, dovetti chiaramente comprendere che sarebbe stato più difficile del previsto quando disse che non aveva alcuna intenzione di rimanere seduto in un angolo per tutto il tempo, né di andarsene. Alzai gli occhi al cielo, emettendo un sospiro infastidito a quel punto, mentre lui si avvicinava a me. Lo guardai con aria interrogativa, ancora con quel cipiglio minaccioso facendogli intendere chiaramente che quell’invasione del mio spazio non mi piaceva affatto. Mantenni comunque lo sguardo fisso su di lui, giusto per fargli capire che non avevo alcuna paura di lui e che non sarei tornata indietro di un millimetro nonostante lui si fosse fatto ora decisamente troppo vicino, dato che aveva avuto la brillante idea di avvicinarsi alla mia scrivania e di squadrarmi ad un palmo dal mio naso mentre mi faceva sapere che sapeva riconoscere le sostante all’interno del laboratorio senza il bisogno delle etichette, ma che anche lui aveva intenzione di porre alcune condizioni dato che quella convivenza sarebbe durata sin troppo per entrambi. Rimasi in silenzio, continuando a fissarlo con aria irritata in risposta a quella sua aria minacciosa, mentre aspettavo di capire che cos’è che volesse da me a quel punto. Non aveva intenzione di rendermi partecipe della sua vita e su questo ero assolutamente d’accordo dato che neanche io volevo farlo con lui, ma il fatto che se la cavasse con vari tipi di sostanze e che fosse in grado di combinarle era già un buon punto a suo favore, voleva dire che non era necessario che rimanesse in un angolo in silenzio e che magari avrei potuto cercare un modo di coinvolgerlo nel lavoro, giusto per non farlo annoiare in maniera eccessiva. -Non ho alcuna intenzione di chiederti della tua vita, non voglio domande su di me quindi cerco di non farne agli altri. – spiegai, perché capisse che almeno riguardo quel punto poteva stare tranquillo e che non avrei iniziato a fare domande invadenti sulla sua vita privata o su ciò che aveva fatto prima di arrivare al nostro Covo insieme ai ribelli di Carver.
    Assunsi un’aria decisamente interrogativa quando disse che avremmo dovuto trovare degli accordi su ciò che andava al di là del lavoro, come i pasti, il bagno e dormire, rivolgendogli un’occhiata non molto convinta quando disse che avremmo dovuto passare ogni momento della giornata insieme. -Questo vuol dire che non mi libererò di te per qualche ora alla fine della giornata? – chiese, senza però avere bisogno di alcuna risposta dato quello che avevo appena sentito. Mormorai un’imprecazione in russo, portandomi le mani alla fronte per massaggiarmi le tempie dato che ero così nervosa che temevo che la testa mi sarebbe scoppiata da un momento all’altro. Era raro che parlassi in russo. Lo facevo soltanto con Viktor, oppure quando ero particolarmente arrabbiata, il che avveniva davvero in pochissime occasioni. -E’ davvero molto peggio di quanto pensassi. – affermai di nuovo, con un sospiro, senza ancora rispondere alle sue lamentele sul cibo. -Io ho una casa fuori da questo posto e ho tutta l’intenzione di tornarci per dormire, ti sta bene o altri proposte? – chiesi, evitando di imporre la mia opinione anche se non avrei acconsentito a dormire in nessun altro posto. Non avevo alcuna intenzione di dormire con lui chissà dove. -Ah e, giusto perché tu lo sappia, non vivo da sola. – aggiunsi, con l’intento principale di fargli capire che avrebbe avuto modo di vedere altre persone e che non avrebbe dovuto passare tutto il suo tempo a fissarmi in quel modo. Per quanto egoista potesse essere la cosa speravo che lui non fosse lì con la sua famiglia e che quindi non avremmo davvero dovuto litigare per decidere quale luogo scegliere. La mia espressione si fece un po’ meno severa, quasi più infantile, quando mi chiese se qualche volta mangiavo, rendendomi conto soltanto in quel momento di non averlo fatto. Assunsi un’aria pensierosa a quel punto, cercando di ricordare l’ultima volta che avessi messo qualcosa sotto i denti, senza tuttavia riuscire a focalizzarla. -A dire il vero tendo a dimenticarlo, sia di mangiare che di dormire, quando mi concentro su qualcosa dimentico tutto il resto. – dissi, con aria ancora pensierosa ma decisamente seria, senza tuttavia alcun astio o tentativo di infastidirlo. Avevo colto l’ironia nella sua voce, ma l’avevo ignorata, dato che in realtà non era una domanda poi così assurda. Non conoscendomi per lo meno. -Dico sul serio, non ti prendo in giro, quindi temo che dovrai ricordarmelo, dato che tu hai abitudini diverse. – dissi, cercando di fargli capire che ero davvero intenzionata a trovare un compromesso. Per quanto odiassi quella situazione mi rendevo conto che fingere che il problema non esistesse e ignorarlo non avrebbe certamente aiutato a risolvere le cose. Mi ritrovai ad arricciare le labbra in un vago sorriso divertito quando disse che non sapeva neanche quando tempo fosse passato e se fosse già notte per poi offrirmi una gita all’aria aperta con uno sguardo che sembrava chiedermi di dirgli di si. -Ho capito che detesti sentirmi parlare del mio lavoro, ma mi servono ancora dieci minuti per terminare una cosa. – dissi, assolutamente tranquilla, cercando di fargli capire ancora una volta di non stare cercando di prenderlo in giro. -Dieci minuti in cui ti chiedo, per favore di stare fermo. Puoi stare qui dove sei, spiare un armadietto o quello che ti pare, ma non camminare, solo per dieci minuti. Poi andremo a mangiare, e dopo andremo dove vuoi, per oggi non torneremo più qui dentro, puoi farlo? – chiesi, guardandolo dritto negli occhi attendendo di capire se fosse disposto a concedermi quegli ulteriori dieci minuti e a concedermi davvero un po’ di assoluto silenzio.
    Avevo quasi concluso un passaggio e mi serviva soltanto il tempo di concentrarmi per portare a termine quell’ultima formula che stavo studiando e che avrei provato il giorno successivo. Non mi ci sarebbe voluto molto e infatti in pochi minuti mi ritrovai a fissare il foglio con aria soddisfatta, per poi alzarmi in piedi, rivolgendo di nuovo la mia attenzione all’uomo, ora decisamente di umore migliore. -Hai preferenze particolari o qualunque posto che non sia questo per te andrà bene? – chiesi, ora con tutta l’intenzione di prenderlo un po’ in giro, prima di afferrare il mio cappotto dall’appendiabiti e mettermelo addosso, facendogli strada verso l’esterno. Dubitavo che avremmo trascorso il resto della serata a discutere in allegria, ma non avevo neanche troppa voglia di impuntarmi per rendere tutto un inferno dato che quella situazione non era particolarmente felice per nessuno dei due e che forse tra i due quello che doveva stare peggio era davvero lui. Io potevo ancora continuare a fare quello per cui ero lì mentre tutto il suo lavoro ora ero semplicemente io e non era affatto qualcosa di cui essere felici. Mi mossi con passo svelto e tranquillo percorrendo la strada che portava verso l’uscita del Covo, che ormai conoscevo praticamente a memoria e che, con una certa cautela, ti permetteva di immetterti di nuovo nella città. -Vedi? Non è ancora buio. – dissi poi, di punto in bianco, rispondendo ad uno dei suoi ultimi commenti. Per quanto mi riguardava mangiare una cosa o un’altra non avrebbe fatto molta differenza. Mangiavo perché sapevo di doverlo fare, non perché mi andasse particolarmente. Io mi sarei accontentato della mensa del Covo ma mi era sembrato il caso di optare per qualcosa di meglio dato che lui sembrava desiderare di allontanarsi il più possibile da lì. -Mi hanno parlato di un posto dove fanno delle ottime bistecche… ti va? – chiesi poi, guardandolo appena con la coda dell’occhio. Non lo conoscevo e non sapevo che cosa aspettarmi da lui né quali potessero essere i suoi gusti, ma non mi sembrava il tipo che sapeva accontentarsi di porzioni limitate. Non ero mai andata in quel posto ma tutti sembravano parlarne bene quindi avevo pensato che potesse valere la pena di provare. Attesi una sua risposta o anche semplicemente un cenno del capo dato che non sembrava un tipo di molte parole, poi ripresi a muovermi in direzione della nostra meta, rimanendo in silenzio per un po’. Ero abbastanza convinta che trovasse insopportabile il fatto che io parlassi troppo, soprattutto per essere una che di norma amava il silenzio quindi cercai di rimanere in silenzio per quanto possibile. Dopotutto nessuno dei due avrebbe voluto domande particolari dall’altro, quindi probabilmente nessuno dei due avrebbe iniziato a farne.
    Varcammo abbastanza in fretta la soglia del locale e io mi guardai intorno, osservando quel luogo piuttosto piccolo, ma decisamente accogliendo, infondeva una sensazione di calore e tranquillità che sapeva quasi farti stare bene. C’era ancora qualche tavolo libero nonostante i clienti non mancassero ma non ero certa che lui volesse trattenersi a lungo. -Prendiamo un tavolo o vuoi mangiare da qualche altra parte? – chiesi, ovviamente alludendo al fatto che avesse parlato di una passeggiata. Forse avrebbe preferito mangiare all’aria aperta, giusto per evitare di rimanere ancora chiuso all’interno di quattro mura, ma non lo conoscevo abbastanza per poterlo sapere. -Prendi quello che ti pare, per me non fa differenza. – dissi infine, facendogli capire che non avevo particolari pretese per il cibo, a dire il vero non avevo neanche appetito quindi per quanto mi riguardava poteva anche prendere qualcosa solo per sé.

    These wounds won't seem to heal,
    this pain is just too real
    There's just too much that time cannot erase

    « swän » code esclusivo del London gdr. Non usare senza il mio permesso.

     
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    Avanti e indietro.
    Avanti e indietro.
    Le ore non sembravano passare mai, non ricordava nemmeno quanto tempo era passato da quando avevano messo piede nel laboratorio. Anastasia non gli aveva rivolto la parola per tutta la giornata e quando finalmente si era decisa a farlo aveva riversato su di lui tutta la sua frustrazione. Gli aveva gentilmente chiesto di togliersi dai piedi e si era persino offerta di coprirlo con David se avesse accettato la sua proposta, ma Darren aveva rifiutato categoricamente, non avrebbe messo in pericolo il suo posto tra i ribelli per il capriccio di una ragazzina. Lui le fece notare che non era una sua scelta e che passare il suo tempo a guardarla lavorare non era poi così divertente come credeva lei. Anastasia era stizzita per la sua reazione, ma molto probabilmente anche lei sapeva che entrambi stavano esagerando perché non sopportavano di essere costretti a stare insieme, in fondo loro neanche si conoscevano e il loro odio non era dovuto da altro se non da quel vincolo imprescindibile. Nonostante ciò, lei gli disse che poteva tranquillamente girarsi a guardare da un’altra parte per risolvere il problema e Darren non esitò a volgere lo sguardo altrove di proposito, senza degnarsi di prestarle la minima attenzione. La ragazza cercò di ignorarlo tornando a lavorare sui suoi fogli, ma la tensione tra di loro era così forte che non poté fare a meno di tornare a rivolgergli la parola, solo che stavolta i toni erano più miti e la sua espressione rassegnata. Quanto dovevano restare ancora insieme? Darren sperava non molto a lungo, ma la verità era che non ne aveva la più pallida idea, David gli aveva detto che avrebbe dovuto prendersi cura di lei fino a nuovo ordine. Quanto tempo poteva essere “fino a nuovo ordine”?
    ”A quanto pare David tiene ai suoi scienziati e a me tocca tenerti fuori dai guai.” La voce di Darren era atona, eppure dentro di lui l’esasperazione e la frustrazione facevano pressione per uscire allo scoperto. ”Tu non ce la farai? Credi che a me faccia piacere aver lasciato tutto per stare dietro a te?” Glielo aveva detto, finalmente aveva dato voce ai suoi pensieri e si sentiva un po’ meglio, non avrebbe risolto la situazione, ma avrebbe potuto smussare il suo malumore. Entrambi avevano bisogno di sfogarsi e di dirsi chiaramente ciò che sentivano dentro, altrimenti sarebbero esplosi troppo in fretta e tutto insieme, Darren voleva evitare di ritrovarsi a lasciare l’incarico per incapacità a contenere lo stress, aveva passato momenti ben peggiori di questo in passato e non aveva intenzione di farsi vincere dalla tensione. Sospirò rumorosamente, mantenendo la sua posizione a braccia conserte, mentre Anastasia continuava a sproloquiare proponendogli di andarsene o di darle una mano in laboratorio. Ma quanto parlava? Respirava tra una parola e l’altra? A proposito di respirare le chiese – ironicamente - il permesso di farlo e lei lo stupì dicendogli che se si proponeva di non farlo lei non sarebbe stata contraria. Darren la guardò con aria severa, non trovava divertente la sua ironia da miss-so-tutto-io, e anche se aveva pensato di darle modo di trovare un compromesso quel suo modo di fare lo indisponeva ancora di più. Possibile che senza conoscerla la trovasse così petulante e seccante?
    L’aveva lasciata parlare sin troppo a lungo, Darren decise di iniziare a porre qualche condizione anche lui per far andare avanti quella convivenza, altrimenti le avrebbe messo i bastoni tra le ruote ad ogni costo e se voleva sapeva essere davvero basta*do. Le si avvicinò e poggiò le mani sulla sua scrivania con aria intimidatoria, ma la ragazza faceva la dura, manteneva la schiena ben eretta e lo sguardo inchiodato al suo per dimostrargli che non le faceva paura neanche se la sua stazza era almeno il doppio della sua.
    ”Finalmente qualcosa in comune, niente domande personali. Tu sei solo un lavoro per me, ricordatelo.” Forse era stato troppo brusco, ma tutta quella situazione stava mettendo a dura prova la sua impassibilità e la sua pazienza, più che di pazienza con Darren si poteva parlare di razionalità, era quella a permettergli di rimanere distaccato da tutto e tutti. Nel corso degli anni era diventato sempre più bravo a guardare gli avvenimenti da fuori senza mai farsi coinvolgere, i sentimenti non lo riguardavano più da molto tempo ormai, da quando la sua vita era stata scossa da quella maledizione chiamata Amore. Darren aveva provato sulla sua pelle cosa significava innamorarsi, ma soprattutto aveva sperimentato la sofferenza di chi perde la persona amata e quello era un sentimento che si era ripromesso di non voler più provare.

    Il dolore brucia sotto la pelle, prima fa male e annienta ogni cosa, poi passa e lascia un vuoto incolmabile finché non si impara a convivere con esso perché non c’è modo di eliminarlo del tutto.
    Perdere l’amore fa morire dentro e si può rinascere come una fenice dalle proprie ceneri, ma resterà sempre quella cicatrice invisibile agli occhi che non farà più così male, ma farà sentire la sua presenza.


    Mai più innamorarsi, era la sua promessa verso se stesso. Prima di provare sentimenti non aveva mai avuto problemi, aveva vissuto una vita di “ignoranza” ed era meglio così perché non doveva dar retta ad altro se non alla sua testa, poi scoprendo il cuore cambiò tutto sia Darren stesso che la sua vita: il nomade Mano Nera della Morte venne sostituito da un semplice ribelle londinese, eppure lui era scozzese e non si era mai definito tale, si era sempre sentito un uomo senza nazionalità, un cittadino del mondo. Dire che era di Londra equivaleva a darsi un luogo d’appartenenza, una casa... cosa che non aveva mai avuto prima e adesso ne aveva una, ma per lui casa non era la piccola abitazione che aveva nel covo dei ribelli, bensì la città intera. Londra era la sua nuova casa.
    Neanche in quel momento, mentre ascoltava quella ragazzina parlare senza pause, si era pentito di aver scelto l’Inghilterra come sua patria, certamente quella non era la sua giornata migliore, ma non aveva rimpianti per le scelte fatte. Darren teneva lo sguardo fisso in quello di Anastasia senza proferire parola, gli aveva appena fatto una domanda a cui avrebbe potuto benissimo rispondersi da sola dal momento che le aveva già detto che David si era raccomandato che la seguisse tutto il giorno senza mai perderla di vista, voleva davvero che infierisse ribadendo il concetto? Darren non era un uomo di molte parole, solitamente quando apriva bocca lo faceva per dire poche cose, ma essenziali, tutto il resto non meritava la sua attenzione.
    Ad un certo punto Anastasia imprecò in una lingua che Darren riconobbe come Russo e si stupì di non aver notato nessun accento straniero nella ragazza fino a quel momento, non aveva sentito nessuna inflessione particolare nel suo parlare. Chissà da quanto tempo viveva in Inghilterra o magari aveva solo vissuto qualche mese in Russia come lui che era stato lì per circa 3/4 mesi per una missione importante. Darren non parlava perfettamente il russo, ma conosceva le espressioni fondamentali per sopravvivere in un paese straniero. Dal momento che si erano ripromessi di non farsi domande personali, Darren non le chiese spiegazioni per quell’imprecazione, ma cercò di carpire informazioni in maniera indiretta approfittando della sua ultima domanda: ”Khoroshò*, Anastasia. Io ho un piccolo locale con solo letto e bagno, staremmo troppo stretti… e non credo che tu voglia starmi così vicino.” Le sue ultime parole trasudavano ironia mista a spavalderia, c’era bisogno di alleggerire quell’atmosfera così pesante, ormai entrambi erano in gioco e non potevano tirarsi indietro. Vedere Anastasia così sinceramente abbattuta per la perduta libertà gli fece capire che aveva davvero esagerato fino a quel momento e che entrambi avevano bisogno di una tregua, ma questo non significava che Darren avrebbe abbassato la guardia.
    ”Non vorrei doverti fare questa domanda, ma mi sembra doveroso chiederti se per caso vivi con la tua famiglia o con il tuo fidanzato. Giusto per evitare situazioni imbarazzanti, non vorrei metterci ulteriormente in difficoltà.” Non lo disse a voce alta, ma non voleva ritrovarsi a litigare in piena notte col suo uomo per qualche malinteso, contando che nemmeno Anastasia stessa aveva capito che avrebbero dovuto passare la notte insieme; forse David non le aveva detto nulla per non sorbirsi le sue lamentele e non avrebbe avuto tutti i torti, la ragazza sapeva essere davvero seccante quando voleva.
    Finalmente l’atmosfera andava distendendosi, soprattutto quando Darren iniziò a parlare di cibo, Anastasia gli rivolse addirittura un mezzo sorriso mentre lo informava del fatto che quando era in laboratorio dimenticava di mangiare e di dormire.
    ”Non mangi e non dormi…?” ”Prenditi cura di lei.” così gli aveva detto David e forse adesso iniziava a capire il perché delle sue parole, quella ragazza così strana e logorroica spendeva la sua vita intera chiusa tra quelle quattro mura alla ricerca di un’utopica cura per il vampirismo. E se non fosse stato vero? Se non ci fosse stata alcuna cura? Lei avrebbe buttato anni della sua gioventù cercando un “Santo Graal” la cui esistenza era un mistero irrisolto. E lui cosa poteva fare per lei? Come poteva “prendersi cura di lei”? Darren era il meno indicato per quel genere di cose, come faceva una persona fredda e distaccata come lui a dedicarsi con affetto a un’altra persona? David e Carver avevano sbagliato ad affidare a lui un compito del genere, forse lo avevano fatto perché non lo conoscevano fino in fondo e credevano che potesse esserci qualcosa di più al di là del suo modo di fare rude e grezzo. Si sbagliavano…
    ”Impossibile che io dimentichi di mangiare, a questo penserò io più che volentieri.” Darren si sforzò di usare un tono più gentile nei suoi confronti perché la ragazza stava facendo lo stesso con lui, si stava davvero dimostrando disposta a trovare dei punti d’incrocio tra le loro diverse abitudini e aveva smesso di attaccarlo come aveva fatto all’inizio. Finalmente entrambi avevano smaltito parte della frustrazione per quella difficile convivenza e stavano davvero provando a gestire al meglio la situazione come due persone adulte e mature.
    Un sorriso, Anastasia gli rivolse un sorriso vero quando le propose di uscire di lì e accettò la sua proposta, a condizione che le desse dieci minuti di totale silenzio per finire dei calcoli che stava facendo. Darren annuì senza lamentarsi, si accomodò su uno sgabello poco distante da lei e si mise a contare i barattoli nella dispensa leggendo una per una le etichette che vi erano applicate sopra. La ragazza non ci mise molto a terminare il suo lavoro e finalmente si diressero verso l’uscita, entrambi sembravano più rilassati ora che avevano aperto un dialogo tra di loro, non sempre pacato, ma era comunque un inizio.
    Quando uscirono dal laboratorio fuori c’era ancora qualche accenno di luce del giorno, il sole aveva appena iniziato la sua discesa verso l’orizzonte dipingendo il cielo di una varietà di sfumature brillanti. L’aria fresca della sera soffiava lieve e accarezzava i passanti, infilandosi sbarazzina tra le fessure degli abiti. Un piacevole brivido attraversò la schiena di Darren che si stava godendo quell’alito frizzantino che portava con se’ l’imbrunire. Finalmente poteva respirare a pieni polmoni l’aria degli spazi aperti e della libertà, lui era così abituato a passare il suo tempo all’aperto che non gli sembrava vero di essere lì per strada con Anastasia.
    ”Potrei anche lasciarti scegliere, Anastasia, purché si mangi.” La ragazza gli aveva chiesto se aveva preferenze, ma in quel momento aveva così tanta fame che una qualsiasi bettola avrebbe fatto al caso suo. Anastasia gli fece notare che la notte non era ancora arrivata anche se avevano passato quasi tutta la giornata in laboratorio e Darren rispose d’istinto: ”Se non avessi…” Si bloccò appena in tempo, avevano detto che sarebbero usciti per una tregua e lui stava cominciando la sua frase con una lamentela. Basta polemiche, ce ne erano già state troppe per quella giornata. ”E’ una bella serata e la notte può ancora aspettare.” Avevano ancora delle ore di luce davanti a loro per trovare un po’ di tranquillità e a modo suo Darren aveva cercato di farlo capire anche ad Anastasia, magari poteva esprimersi meglio, ma negli ultimi due anni aveva passato la maggior parte del suo tempo tra uomini e poi il suo linguaggio non era mai stato molto raffinato. Darren era abituato a rivolgersi a persone burbere e intrattabili come lui, il vecchio Ray – il padrone della bottega dove lavorava – gli dava sempre del fott*to str*nzo, mentre Charlie – il figlio del fornaio – gli diceva di togliersi la scopa dal c*lo per ritrovare il sorriso. Di certo Anastasia non era avvezza a certi termini e a quel tipo di scurrilità, ma a sua volta Darren non era più abituato a tenere a freno la lingua per compiacere chi gli commissionava degli incarichi, come accadeva in passato quando era un ex assassino. Si stava impegnando a trattenersi e a non essere troppo scortese con quella ragazza, erano entrambi stressati e avevano appena trovato un precario equilibrio che andava mantenuto, almeno dovevano provarci. E poi Darren doveva ammettere che ultimamente aveva frequentato poche donne come lei, si era accompagnato con qualche prostituta e anche con qualche giovane di larghe vedute, ma era da molto tempo che non si approcciava con donne così… così… delicate.
    Camminavano in silenzio mentre Anastasia lo conduceva verso un locale di sua conoscenza. ”Finalmente parli la mia lingua, bistecche, ottima scelta.” Dette queste poche parole proseguirono il percorso senza degnarsi di una parola, se ne erano scagliate così tante addosso in quelle ultime ore che preferivano restare in silenzio. Non era poi così male passeggiare l’uno accanto all’altra così, senza darsi fastidio o interferire l’uno col modo di essere dell’altra. Finalmente arrivarono davanti alla locanda ed entrarono, era un posticino accogliente e luminoso, ben curato e gli avventori parevano persone per bene - Darren era abituato a ben altri luoghi - ma finché si trattava di cibo non aveva di che lamentarsi.
    Anastasia gli chiese se preferiva mangiare lì oppure se gradiva uscire, stava iniziando a premurarsi per lui e per ciò che desiderava. Stava cercando di fregarlo oppure si sentiva in colpa per come lo aveva trattato?
    ”Vorrei mangiare fuori, non ho visto la luce del sole per tutto il giorno e mi piacerebbe anche fare due passi se per te va bene, Anastasia.” Si esprimevano entrambi con cautela e più riguardo l’uno nei confronti dell’altra, nessuno dei sue si era comportato bene mentre erano nel laboratorio e adesso in qualche modo stavano cercando di rimediare.
    Insieme si avvicinarono al bancone del locale, Darren chiese del pane e due bistecche – visto che aveva saltato il pranzo – poi domandò alla locandiera se fosse possibile riempire la borraccia di birra e lei gli rivolse un sorriso divertito nel dirgli che avrebbe acconsentito alla sua richiesta. Quello era l’effetto che di solito Darren faceva alle donne, le faceva sorridere per quella sua faccia da schiaffi e la sfacciataggine mentre questo non era minimamente avvenuto con Anastasia, non che lui desiderasse far colpo su di lei, era semplicemente molto strano che non le avesse fatto nessun effetto come invece accadeva con tutte le altre.
    ”Dovrei bere così tanta birra da rimanere intontito per giorni, così potremmo sopravvivere a questa bizzarra situazione.” Darren si rivolse ad Anastasia con quella sua ironia cameratesca più adatta a un pub che a una giovane donna, ma non aveva minimamente pensato che avrebbe potuto offenderla, quello era il suo modo di scherzare – un po’ burbero– ma pur sempre un gioco. Era difficile capire che non dicesse sul serio perché sul suo viso non era comparso nessun sorriso, nessuna ruga d’espressione ad aiutare a comprendere quella sua battuta fuori luogo, ma il suo tono di voce era palesemente sereno e non dava l’idea dello scherno. Darren si voltò verso la cameriera e la ringraziò quando gli riportò la borraccia piena, poi si voltò verso Anastasia e le chiese: ”Tu cosa prendi?”
    Una volta prese entrambe le ordinazioni, Darren pagò la cena per tutti e due senza ammettere rimostranze. ”Così domani ti ricorderai che mi devi una cena e magari mangeremo prima.” La sua era una tattica per evitare di digiunare ancora in futuro, non aveva mai avuto bisogno di stare attento all’alimentazione dal momento che si allenava tutti i giorni. Ancora una volta sul suo viso non traspariva alcuna emozione e la sua voce risultava abbastanza neutrale se non fosse stato per un pizzico di ironia malcelata. Purtroppo lui era fatto così, capire cosa pensava o provava con una sola occhiata era davvero impossibile. I suoi modi con lei erano burberi eppure il gesto che aveva appena fatto era gentile.
    Darren e Anastasia uscirono dal locale e stavolta fu il turno di lui di condurre la strada, voleva fermarsi non troppo distante da lì, in una piccola radura sulle rive del Tamigi. Ci andava spesso in quell’angolino naturale perché non era molto frequentato, a Darren non piacevano i luoghi affollati, anche se di tanto in tanto si lasciava convincere dal vecchio Ray e da Charlie ad andare per pub la sera, non si poteva rifiutare di farlo se c’era di mezzo la birra.
    I due camminavano in silenzio, di tanto in tanto Darren lanciava un’occhiata ad Anastasia, la trovava davvero una bella ragazza con quei capelli fluenti di un bel colore ramato e gli occhi grandi di un verde intenso. Peccato per la parlantina e per il caratterino difficile perché, anche se non era molto alta, era una giovane donna molto affascinante. Il vero problema con Anastasia era riuscire a trovare dei punti in comune visto che erano diversissimi, già che avevano smesso di attaccarsi a vicenda e riuscivano a stare insieme civilmente era un gran passo avanti.
    ”Potremmo fermarci qui.” Le indicò una piccola banchina naturale che costeggiava il Tamigi, c’erano una serie di alberi molto alti che ombreggiavano il prato sotto i loro piedi creando un gioco di colori unico. Darren non aspettò molto a sedersi, poggiò a terra la sacca che conteneva il cibo, poi alzò lo sguardo sulla ragazza e gli venne in mente che non avevano una coperta per sedersi a terra e che magari lei non avrebbe gradito di sporcarsi gli abiti. ”Giusto, il vestito… preferisci se troviamo una panchina?” Anastasia lo sorprese positivamente sedendosi a terra senza troppi problemi. I due iniziarono a mangiare senza proferire più parola per un po’, non erano esattamente a loro agio insieme, molto probabilmente anche lei si stava facendo molte domande e molti scrupoli a non dire troppo per non rovinare quella calma innaturale che si era creata. Improvvisamente Darren ruppe il silenzio, aveva bisogno di mettere in chiaro ancora un paio di cose con Anastasia e sperava davvero che non gli negasse ciò che stava per chiederle: ”Visto che dovremo passare le giornate insieme, vorrei che trovassimo del tempo per fare esercizio. Non potrò sempre aiutarti in laboratorio, alcune cose non so farle, quindi avrò sicuramente bisogno di una valvola di sfogo. Se per te va bene, chiaramente…” Non sapeva neanche lui per quale motivo se ne era uscito così inaspettatamente, ci aveva pensato più volte di proporle di fare un po’ di attività fisica, ma non aveva programmato di chiederglielo nell’immediato. Tutto quel silenzio e quel guardarsi di sottecchi lo aveva spinto a trovare un argomento di conversazione e l’istinto aveva suggerito proprio quello. ”Se vuoi potrei insegnarti a difenderti, così forse riusciremo a ridurre la durata di questa convivenza.” Darren mandò giù il boccone di pane che aveva in bocca e poi balzò in piedi con uno scatto rapido senza aiutarsi con le mani, era evidente che era ben allenato. Si voltò verso Anastasia allungando una mano in sua direzione, finalmente i suoi occhi brillavano di una luce che trasmetteva una vaga sensazione di allegria, anche se il suo viso manteneva con perfetta austerità quell’espressione indecifrabile – detta anche faccia da str*nzo dai suoi amici Ray e Charlie - che lo caratterizzava. ”Vuoi provare?”

    I became a man of
    violence and hate
    but still there’s some good in me

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    Khoroshò: Va bene in russo
     
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    Anastasia I. Shakelova » Human/scientist
    Era davvero snervante l’idea di essere costretta ad avere a che fare con quell’uomo per tutto il tempo. Non ero brava con le armi, e questo era vero, ma ero sempre riuscita a cavarmela da sola e ad uscire fuori da tutte le situazioni più complicate, quindi l’idea che David pensasse che avessi bisogno di qualcuno che badasse a me per tutto il tempo mi faceva perdere il senno. Ero giovane, ma non ero una bambina, non lo ero più da molto tempo. Alzai gli occhi al cielo quando lui si voltò davvero dall’altra parte quando io glielo suggerii, dato che aveva affermato che stare a fissarmi era abbastanza noioso. Immaginavo che la sua vita dovesse essere molto diversa dalla mia e che dovesse avere un altro genere di abitudini, ma non avrei certo potuto sprecare le mie giornate per star dietro ai suoi voleri. Io volevo soltanto continuare la mia vita così come l’avevo vissuta sino a quel momento, poter gestire il mio laboratorio come meglio credevo e tenere il resto del mondo all’esterno, ma non mi era possibile. Non avevo neanche avuto modo di ribattere o di dare il mio parere, nessuno me lo aveva chiesto, mi ero semplicemente ritrovata catapultata in quella situazione senza possibilità di fuga. Inarcai il sopracciglio con aria infastidita quando disse che David sembrava tenere ai suoi scienziati e che era per questo che lui avrebbe dovuto tenermi fuori dai guai, facendomi presente che neanche a lui aveva fatto piacere abbandonare le sue abitudini per stare con me. -Avresti potuto dire di no. Suppongo che nessuno ti abbia costretto. – dissi, senza neanche guardarlo, e a quel punto il fastidio fu di nuovo abbastanza marcato nella mia voce. -A me non è stato concesso neanche quello, altrimenti puoi stare certo che non saremmo in questa situazione. – terminai, mettendo bene in chiaro che non ero certo stata io a deciderlo e che era stato lui ad accettare un compito che avrebbe potuto benissimo rifiutare. Un lusso che a me non era stato concesso e che io avrei sicuramente colto. E forse era questa la cosa che mi dava più fastidio, il fatto che non avessi avuto alcuna possibilità di scegliere, che tutto fosse stato stabilito alle mie spalle senza neanche chiedermi un parere, senza mettermi perfettamente al corrente della cosa.
    Di norma sapevo essere una persona più razionale e distaccata, ma quegli ultimi avvenimenti mi avevano scosso e il fatto che tutti volessero tenermi in una teca di cristallo, tanto da affidarmi una guardia del corpo, non faceva che peggiorare le cose. Senza considerare che da tempo ormai avevo perso la voglia e l’abitudine di intrattenere una conversazione amichevole con qualcuno. Per questo sbottai, dopo qualche altro momento di silenzio e quello fu l’inizio di un tentativo di venirci incontro. Mi irrigidii un po’ quando lo vidi farsi così vicino, dato che non mi piaceva che gli altri invadessero il mio spazio vitale, ma ero troppo testarda e orgogliosa per dargliela vinta e mostrare apertamente quanto la sua vicinanza potesse infastidirmi. Niente domande personali, almeno su qualcosa eravamo d’accordo, era già un bel passo avanti. Il fatto poi che avesse tenuto a specificare che per lui ero soltanto un lavoro mi fece inarcare un sopracciglio, senza però muovermi. -Per me invece non sei neanche quello. – soffiai, in risposta. Se quella era una gara a chi sapeva essere meno simpatico, probabilmente avremmo potuto andare avanti per delle ore senza fermarci, considerando che nessuno dei due sembrava troppo amichevole. Però in realtà era vero, il suo lavoro era tenermi d’occhio, mentre il mio era lavorare alla cura, e io non avevo bisogno di lui per farlo, anzi, la sua presenza sarebbe soltanto riuscita a rallentarmi. Eravamo soltanto all’inizio e avevo già capito che quella convivenza sarebbe stata un vero e proprio incubo. Quando poi mi disse che avrebbe dovuto trascorrere ogni secondo del suo tempo e che a fine giornata non mi sarei comunque liberata di lui, mi ritrovai ad imprecare nella mia lingua natale, senza neppure rendermene conto. Avevo iniziato a parlare molto raramente il russo da quando ero stata costretta ad abbandonare la mia casa. Lo facevo qualche volta con Viktor, altre, come in quell’occasione, veniva in superficie da solo, senza che neanche me ne rendessi conto. Avevo imparato molte lingue nel corso dei miei viaggi, altre le avevo studiate per le mie ricerche, soprattutto quelle più antiche, ma la parte più istintiva di me non si era mai lasciata alle spalle la sua lingua natale.
    Lo vidi rivolgermi un’occhiata incuriosito a quel punto, mentre probabilmente si chiedeva perché parlassi quella lingua, ma non chiese nulla, forse per l’accordo che avevamo fatto poco prima di risparmiarci le domande personali. Inarcai di nuovo il sopracciglio quando lo sentii pronunciare una parola in un russo appena accennato, probabilmente per farmi capire che avevo compreso le mie parole, o forse solo per capire qualcosa di più su di me. -Yesli vy dumayete, chto ya govoryu na russkom sdelayet vas boleye simpatichnym , ty oshibayesh'sya Darren*. – dissi, a quel punto, senza preoccuparmi di parlare in maniera abbastanza lenta da farmi comprendere a fondo. Dubitavo che lui avesse delle origini russe, probabilmente doveva averci vissuto per qualche tempo, ma volevo che fosse abbastanza chiaro che non avrei parlato con lui nella mia lingua, né avrei cercato di rendergliela più comprensibile. Lo ascoltai con attenzione comunque quando mi fisse di risiedere in un piccolo locale che aveva soltanto un letto e un bagno in cui saremmo stati decisamente troppo stretti. Gli rivolsi un’occhiata un po’ contrariata quando notai il suo tono ironico e spavaldo. -Penso che la cosa sia reciproca. – dissi, senza rispondere troppo apertamente al suo commento, ma lasciando comunque intendere che, no, non ne sarei stata affatto contenta. Mi ritrovai a serrare involontariamente la mascella quando lo sentii chiedere se per caso vivessi con la mia famiglia o con un fidanzato, per evitare situazioni imbarazzanti. Spostai lo sguardo per un momento, prendendomi un attimo per respirare a fondo. Era una domanda normale, nulla per cui chiunque altro sarebbe rimasto turbato, ma il solo sentire nominare la mia famiglia mi fece tornare alla mente ricordi spiacevoli che ci misi qualche momento a mandare via. -Non vivo con la mia famiglia e non ho un fidanzato. Vivo con… un vecchio amico. – dissi, ma a quel punto il mio tono si era fatto decisamente più serio e distante, perdendo quella nota piccata che aveva avuto sino a quel momento. erano passati anni da quando i miei genitori e mio fratello erano stati trasformati in vampiri, da quando la nonna era stata uccisa, da quando ogni cosa era cambiata radicalmente, eppure ancora mi veniva difficile parlarne. Era anche per loro che mi ero gettata nella ricerca disperata di una cura, perché speravo che potesse esistere un modo per riportarli indietro, per rimettere a posto i pezzi della mia famiglia e poterli riabbracciare di nuovo. Sapevo che era un pensiero sciocco, che non sarebbero mai stati di nuovo gli stessi, che io ero cambiata e lo stesso doveva essere accaduto a loro, ma non per questo avrei smesso di provarci.
    Non gli chiesi se lui vivesse con qualcuno, il fatto che non avesse citato alcuna compagnia probabilmente voleva dire che si trovava da solo lì, a Londra. Se avesse mai avuto una famiglia o una donna non era un mio problema, né era affar mio. Parve piuttosto sorpreso comunque quando gli dissi che ero capace di dimenticarmi di mangiare e di dormire quando ero troppo concentrata, ma non si fece problemi poi a dirmi che lui non si sarebbe dimenticato di mangiare e che me lo avrebbe ricordato più che volentieri. Notai un certo sforzo da parte sua nel cercare di usare un tono un po’ più gentile nei miei confronti, anche se in fondo non era necessario. Non dovevamo necessariamente avere qualche genere di rapporto solo perché eravamo costretti a passare del tempo insieme, non doveva cercare di sforzarsi di essere gentile con me, non ne avevo bisogno, ma mi sembrò decisamente troppo scortese dirglielo, quindi mi limitai a fare finta di nulla. Sapevo però di non poterlo tenere chiuso lì dentro ancora per altre ore o avrei sicuramente abusato della sua pazienza, ma avevo bisogno di terminare una cosa per non perdere il filo di quegli ultimi ragionamenti e soltanto per questo gli chiesi di concedermi qualche altro minuto. Fortunatamente non si lamentò, doveva essere troppo felice all’idea di uscire da quel posto e non tornarci fino al giorno seguente per poter badare a soli dieci minuti in più di prigionia. Si sedette quindi su uno sgabello, in modo da rimanere fermo ed evitare di muoversi avanti e indietro per la stanza, curiosando con lo sguardo verso i barattoli che tenevo nello scaffale più vicino a lui. non dissi un’altra parola per i successivi minuti, approfittando di quei momenti di silenzio che mi aveva concesso per concentrarmi prima di chiudere tutto e invitarlo a farmi strada verso l’uscita e quindi verso un posto dove avremmo mangiato qualcosa. Gli chiesi se avesse delle preferenze particolari e mi disse che potevo portarlo dove volevo purchè si mangiasse. Era buffo come il cibo sapesse avere un’importanza molto diversa per me e per lui. io ne avrei potuto fare volentieri a me e non avevo grandi preferenze perché non mi ero mai soffermata troppo a pensarci e sapevo semplicemente di dover mangiare per sopravvivere, per lui invece andava bene qualunque cosa fosse commestibile soltanto perché, probabilmente, stava morendo di fame.
    Non riuscii a trattenere una leggera battuta sul fatto che non fosse davvero notte come lui aveva detto e lo guardai incuriosita quando lui iniziò a dire qualcosa, che probabilmente non doveva essere troppo gentile, per poi fermarsi e rimanere in silenzio per qualche momento. Lo guardai con aria vagamente divertita quando finì per dire che era una bella serata, tenendo lo sguardo su di lui per qualche momento prima di parlare. -Non serve che ti sforzi ad essere gentile con me. – dissi, con aria assolutamente tranquilla. Non ero una che badava troppo a quel genere di cose e in fondo non eravamo certamente lì per diventare amici, eravamo lì perché qualcuno ci aveva costretto e nient’altro. Quindi mi sembrava inutile cercare di sforzarci ed essere diversi da come eravamo davvero. -Qualunque cosa tu abbia da dire dallo, senza metterti troppo problemi, perché io non ho intenzione di fare diversamente.! - continuai, in maniera piuttosto sincera. Erano anni ormai che vivevo quasi da sola e avevo perso l'abitudine di preoccuparmi degli altri e dei loro sentimenti, avevo imparato a fare a meno di tutti e a non preoccuparmi di ciò che gli altri pensavamo di me, quindi non sarebbero certo state le sue parole a turbarmi eccessivamente. Non mi sorpresi troppo quando mi disse che le bistecche erano un'ottima scelta e non roba di troppo sull'argomento, preferendo rimanere in silenzio per un po', limitandomi a camminare al suo fianco. Per un momento la mia mente si perse in ricordi non particolarmente allegri, in pensieri che per un po' avevo tenuto da parte e che ora erano invece tornati prepotentemente a farmi visita. Chissà che fine aveva fatto la mia famiglia, chissà se erano ancora vivi, a modo loro, da qualche parte. Non li avevo più rivisti da quel giorno terribile ma molte volte mi ero chiesta che fine avessero fatto e dove fossero finiti. Avevano provato a cercarmi e a capire se stessi bene? O si erano dimenticati di me? Non conoscevo la trasformazione nel dettaglio per quanto avessi passato molti anni a studiarla e cercare di comprenderne i segreti. Per il momento non mi era ancora capitato che qualcuno dimenticasse il suo passato, ma non era qualcosa di impossibile, poteva capitare anche alle persone normali. Ma la cosa che più spaventava era quello che, con il tempo, potevano aver iniziato a pensare di me. Mi mancavano e la sola idea che avrebbero potuto tentare di nuovo di uccidermi se mi avessero trovata mi distruggeva e mi metteva di pessimo umore per giorni. Cercai comunque di scrollarmi velocemente dalla testa quei pensieri e di assumere un’espressione più distaccata. Non volevo che potesse venirgli in mente di chiedermi qualcosa, né che si facesse delle idee tutte sue e che iniziasse a compatirmi. Sapevo cavarmela da sola, erano anni che lo facevo, ero scappata da una famiglia impazzita che voleva soltanto nutrirsi del mio sangue, se ero riuscita a sopravvivere a quello, potevo sopravvivere a qualunque cosa. Ogni giorno convivevo con quel ricordo, con il segno dei denti che mio fratello mi aveva lasciato quando mi aveva morsa, che negli anni non aveva accennato ad andare via, come se il mio stesso corpo, con quel segno che diventava evidente ogni volta che raccoglievo i capelli, volesse ricordarmi che non potevo mollare, che non potevo perdere tempo, se volevo rivederli e riabbracciarli. E non era semplice pensarlo, non quando ogni volta che chiudevo gli occhi rivedevo i loro volti assetati di sangue. E forse se li avessi rivisti il mio primo pensiero sarebbe stato quello di fuggire lontana, ma erano la mia famiglia e non potevo abbandonarli.
    Rimasi in silenzio forse per un tempo un po’ troppo lungo, ma dubitavo che a lui fosse dispiaciuto vedermi stare zitta per qualche tempo. Cercai tuttavia di riprendermi, una volta arrivati alla locanda e mi decisi a chiedergli dove preferisse mangiare. Mi rendevo conto di essere stata troppo mal disposta nei suoi confronti e di non essermi comportata in maniera troppo educata sino a quel momento, quindi se davvero avremmo dovuto trascorrere tutto quel tempo insieme era meglio cercare almeno di comportarmi come una persona civile. Mi disse che preferiva mangiare all’esterno e io annuii, senza fare storie. -Va bene. Per me non fa molta differenza. – dissi, con una leggera scrollata di spalle, come per dirgli che non avevo nulla da obbiettare. In effetti aveva ragione, avevamo trascorso troppe ore al chiuso, ma era una cosa a cui io ormai ero abituata. Attesi che lui ordinasse senza avere alcuna idea di che cosa mangiare a mia volta, dato lo scarso appetito. Quando mi disse che avrebbe avuto bisogno di bere molta birra per poter sopravvivere a quella situazione, mi ritrovai ad inarcare un sopracciglio e osservarlo con aria più attenta. -Per me puoi fare come ti pare. – dissi, senza capire quella che probabilmente era stata una battuta. Non ero molto brava ad avere a che fare con le persone. Un tempo ero stata una ragazza allegra e vivace, sempre pronta a ridere e a scherzare, ma con il tempo quella parte di me si era spenta, lasciando spazio ad una persona molto più seria e poco avvezza ad avere a che fare con il prossimo. Nessun sorriso era comparso sul suo volto, nulla che potesse lasciar pensare che stava cercando di essere divertente, anche se il suo tono era suonato piuttosto tranquillo, nulla a che vedere con le battutine ironiche e sarcastiche che mi aveva rivolto in laboratorio, ma in fondo per me non faceva molta differenza. Ordinai un piccolo pasticcio di carne, senza neanche stare a pensarci troppo. Era uno dei cibi londinesi che meno mi dispiacevano e a cui con il tempo mi ero abituata. Erano pratici e abbastanza comodi e mi capitava di mangiarli anche al laboratorio senza troppi problemi. Dovemmo attendere soltanto qualche minuto perché ci preparassero un piccolo cestino da portare con noi per poter mangiare all'aperto e mi ritrovai a guardare il ribelle con aria confusa quando lo vidi pagare per entrambi. Non ebbi neanche il tempo di fare domande perché lui mi spiegò poco dopo che sperava che così il giorno successivo mi sarei ricordata prima di mangiare, sapendo di dovergli una cena, ma evidentemente doveva aver sottovalutato la forza della mia concentrazione. -Non sono sicura che funzionerà, ma non è male come tentativo. - dissi, senza cercare di fare troppe storie. Dal poco che avevo avuto modo di vedere sul suo conto mi sembrava un uomo cocciuto e dubitavo che sarei riuscita a fargli accettare i miei soldi molto facilmente.
    Mi era parso di cogliere un tono vagamente più amichevole in quella sua battuta di spirito, ma non cercai di indagare sulla veridicità o meno della mia impressione. Non eravamo lì per conoscerci o per socializzare, eravamo lì soltanto perché qualcuno ci aveva costretti a passare del tempo insieme e questa cosa non sarebbe cambiata, per nessuno dei due. Mi limitai quindi a seguirlo, senza dire una parola, mentre lui mi conduceva in direzione del Tamigi, verso una piccola radura in cui non ero mai stata. Non conoscevo molto di Londra, non mi ero mai presa la briga di osservarla nel dettaglio e di cercare di scoprire tutti i suoi segreti. Avevo ormai perso una buona parte dello spirito di avventura che mi aveva caratterizzata nei miei primi anni di vita e se qualche volta mi capitava di rimpiangere quel lato di me decisamente più allegro ed esuberante, sapevo di non potermi permettere simili leggerezze, non quando c’erano delle cose così importanti in ballo. Non aveva importanza ciò che io desideravo, ciò che mi mancava, non quando si aveva a che fare con qualcosa di molto più grande. Sentii lo sguardo di Darren posarsi su di me in qualche occasione mentre andavamo avanti, ma non mi voltai a guardarlo di rimando. Non sapevo perché lo stesse facendo e non avevo intenzione di chiedere. Anche perché probabilmente avremmo iniziato a discutere di nuovo ed ero stanca di farlo, anzi, a dire il verso ero troppo stanca per qualunque cosa. mi invitò a fermarci in una piccola banchina naturale e io rimasi per qualche secondo ad osservare il paesaggio, senza rendermi conto che lui si era già seduto. Fu la sua voce a farmi voltare di nuovo nella sua direzione, mentre lui mi chiedeva se preferivo che trovassimo un altro posto per sederci, ma io scossi la testa. -E’ solo un vestito Darren. – fu la mia risposta, a quel punto, stringendomi appena nelle spalle prima di sedermi a mia volta, di fronte a lui, a circa un metro di distanza. C’erano cose ben più importanti di un vestito nella vita, ed ero certa che lo sapesse benissimo anche lui, quindi non mi preoccupai di essere più precisa nella mia spiegazione. Non sapevo nulla della sua vita, così come lui non sapeva nulla dalla mia, ma non volevo sottovalutare la sua capacità di comprendere determinate cose. Rimanemmo in silenzio per qualche altro momento, intenti semplicemente a mangiare qualcosa, fino a che questa volta fu lui a decidere di parlare, guardandomi in maniera diretta prima di dirmi che voleva che trovassimo del tempo per fare esercizio. Il mio sguardo si assottigliò appena mentre gli rivolgevo un’occhiata confusa perché non capivo dove avesse intenzione di andare a parare. Aggiunse che non poteva aiutarmi con tutte le cose che facevo in laboratorio e che quindi avrebbe in qualche modo avuto bisogno di un po’ di tempo per lui, probabilmente per combattere la noia. Battei le palpebre con le lentezze, vagamente sorpresa, quando mi disse che avrebbe potuto insegnarmi a difendermi magari, così da accorciare il tempo che avremmo dovuto trascorrere insieme. In effetti messa così sembrava una proposta allettante, ma ero abbastanza convinta di non poterci riuscire. -Non sarei un’ottima allieva. – dissi, senza alcuna particolare inflessione nella voce, senza neanche guardarlo, perdendomi per qualche momento in altri ricordi del passato. C’era stato un tempo in cui mio fratello mi aveva promesso la stessa cosa, lunghi mesi in cui lo avevo visto fare pratica con diverse armi e pensare di farlo davvero, ora, mi faceva sentire a disagio. Eppure lui balzò comunque in piedi con uno scatto così rapido che mi fece inarcare un sopracciglio con l’aria di chi si chiedeva chi diavolo avesse davanti, prima che lui allungasse una mano nella mia direzione, con quasi una punta di allegria nello sguardo, prima di chiedermi se mi andasse di provare. Per un momento mi chiesi se fosse serio, o se fosse solo un altro modo per prendermi in giro, ma lui non indietreggiò di un solo centimetro. -Di norma detesto mettermi in ridicolo. – dissi, senza dargli una vera e propria risposta, ma immaginavo che capisse che era un modo carino per dirgli di no, dato che non mi sembrava il momento più adatto. -Penso che ti metteresti a ridere in pochi secondi e per oggi direi che abbiamo già dato , magari domani. – continuai, evitando così di dargli un no secco, anche perché in fin dei conti non sarebbe davvero stato male se io fossi riuscita a sopportare la sua faccia da schiaffi e il suo pessimo umorismo. -Così magari mi metterò qualcosa di più adeguato ad una prima lezione. – terminai, constatando che in quel caso il vestito era davvero un problema e che avrei quindi fatto meglio ad organizzarmi diversamente se davvero voleva che fosse una cosa seria e non era una presa in giro. -Ma se vuoi allenarti da solo prometterò che starò qui in silenzio, senza muovermi. – dissi, facendo quasi il verso a quello che gli avevo chiesto io in precedenza, anche se probabilmente la cosa non lo avrebbe fatto ridere. Onestamente iniziavo ad essere stanca, non ricordavo neanche l’ultima notte in cui avessi dormito per più di tre o quattro ore e il mio corpo iniziava a risentirne, forse avrei davvero dovuto cercare di darmi una regolata e costruirmi una routine più adeguata.

    These wounds won't seem to heal,
    this pain is just too real
    There's just too much that time cannot erase

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    Se pensi che parlare russo ti renderà più simpatico ti sbagli, Darren.*
     
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