But learn that to die is a debt we must all pay

per Anahita

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    Lilith C. Hargreave» witch
    Le lunghe dita sottili sfioravano la superficie di marmo in un gesto delicato, silenzioso, lento così come silenziosi, quasi perfettamLe lunghe dita sottili sfioravano la superficie di marmo in un gesto delicato, silenzioso, lento così come silenziosi, quasi perfettamente non udibili, erano anche i miei passi in quella notte fresca e apparentemente immutabile, che si abbattevano sul terreno morbido senza alcuna fretta. Lo sguardo si perdeva su quelle distese di marmo che riportavano incisi i nomi di coloro che non c’erano più, di coloro che qualcuno aveva strappato dal mondo in un particolare momento della sua vita, donandolo all’oblio e alla morte. Ed era proprio a quella che il mio pensiero volò, come se fosse naturale, come se fosse giusto pensare a colei che tutto spegneva, piuttosto che a coloro che si erano spenti per non tornare mai più. Qualcuno avrebbe trovato decisamente curiosa la mia presenza in un cimitero, in un luogo di pace e sacralità. Io che, per prima, avevo concesso le mie mani alla nera signora, senza alcun ripensamento, senza alcuna pietà. E non si trattava soltanto di quel patto, stretto così tante decadi prima, di quell’oscuro arcano che mi permetteva di rimanere in vita soltanto se riscuotevo le vite di altri. Mi cibavo di quella stessa morte, traevo vita dallo spegnersi degli occhi delle mie vittime e sentivo la loro forza vitale scorrere all’interno delle mie vene per un lungo momento, come un brivido in grado di scuotermi dall’interno, prima che i loro corpi cadessero definitivamente a terra esanimi e il mio assorbisse invece una parte di quella energia vitale per trarne nuovo vigore. Ero in qualche modo costretta a compiere degli omicidi entro dei determinati lassi di tempo, oppure il mio corpo ne avrebbe riportato i segni e sia io che mia figlia avremmo rischiato la vita. Lei non era per niente d’accordo con quella pratica, avrebbe voluto che la interrompessi, che lasciassi che le nostre vite si spegnessero secondo il loro naturale corso una volta che il tempo tra un omicidio e l’altro fosse scaduto. Ma come poteva anche soltanto pensare che io avrei potuto fare una cosa come quella? Condannare me stessa e lei alla morte, soltanto perché lei non accettava la morte di alcuni sconosciuti? Avrei sempre scambiato le vite di altri per la sua, fino a che ne avessi avuto la forza, fino a che qualcuno non fosse riuscito ad impedirmelo e anche in quel caso avrei lottato strenuamente, cercando di dare la sua vita al buio al posto delle nostre. Lei che era sempre stata la mia unica gioia, lei che ancora tentava di allontanarmi perché non riusciva ad accettare la scelta compiuta tanti anni prima. Era soltanto una bambina, dopotutto, quando aveva accettato di far parte di quell’incantesimo per tenermi in vita, quando la nostra comunità mi aveva condannata al rogo, e il suo aiuto era stato fondamentale perché quel fuoco bruciasse il mio corpo senza tuttavia spegnerlo, lasciando quel barlume di vita che soltanto assassinii successivi riuscirono a riportare in forze. Era un incantesimo così potente che necessitava che il sangue di due generazioni di streghe si legasse per portarlo a compimento. Ricordavo ancora il giorno in cui ero stata costretta a chiederglielo, a spiegarle che cosa stava per accadere e che la mamma sarebbe andata via per sempre se non fossimo riuscite a trovare rimedio. E la paura per la mia perdita era stata così forte da farle accettare qualunque cosa, senza pensare alle conseguenze, al sacrificio che le sarebbe costato. Ma in fondo non era così che sarebbero dovute andare le cose, non era una vita di rinunce e rimpianti ciò che avevo desiderato per lei stringendo quel patto. Una volta che il mio corpo si fosse ristabilito, saremmo dovuti partire tutti insieme, io, lei e suo padre, il suo vero padre, l’uomo che amavo e non quello che ero stata costretta a sposare per garantirmi una buona posizione all’interno della società. Era stato tutto quanto pianificato, ogni cosa, persino quella piccola barca sul fiume che doveva condurci lontani da quella comunità, da quella vita in cui non eravamo altro che reietti, verso un luogo in cui saremmo potuti essere una famiglia. Ma William ci aveva scoperti e aveva mandato all’aria ogni cosa soltanto per cercare di riprendersi quella bambina che credeva fosse sua. Non l’aveva mai amata davvero, così come non aveva mai amato me, ma pur di portarla via a me, alla strega che lo aveva ingannato per tutto quel tempo, l’avrebbe persino tenuta con sé.
    Fu la sua la prima vita che spezzai, le sue forze ad alimentare per prime quella nuova vita che mi avrebbe portata a riscuotere così tante vittime sul mio cammino da valermi il soprannome di Moglie del demonio. Assassinii che chiunque avrebbe giustificato dentro di sé con la necessità di sopravvivere, ma non io. Perché io sapevo che nel momento in cui i miei occhi avevano fissato quelli di William, non era stato il desiderio di sopravvivere a spingermi ad ucciderlo. Avevo voluto la sua morte, l’avevo desiderata con tutta me stessa, nonostante sapessi che non mi avrebbe mai riportato indietro l’amore della mia vita. Ero abbastanza adulta da comprenderlo. Neppure la magia poteva riportare indietro qualcuno dalla morte, non se questo era già morto, non avrebbe certamente potuto farlo l’assassinio di un uomo inutile. Eppure le mie mani si erano macchiate comunque di quel crimine e da quel giorno non ero più riuscita a lavarle davvero dal sangue, era sempre rimasto lì, anche se non fisicamente, a macchiare un animo nato puro, che il destino aveva però voluto tingere di nero. Non ero mai riuscita a provare rimorso per quel gesto avventato, per quel crimine dettato dal desiderio di vendetta, dalla voglia di vedere quell’uomo esanime ai miei piedi, ma non prima di aver visto la paura nei suoi occhi, di averlo sentito pregare per un po’ pietà. E lo aveva fatto alla fine, anche lui, così come tutti gli altri dopo di lui, ma nessuno era mai riuscito ad ottenerla, non da me.
    Le preghiere erano sempre state inutili, non soltanto nei miei confronti, ma in quelli di chiunque. Che cosa si poteva ottenere da una preghiera? Da una vana invocazione a qualcuno che non c’era o che non aveva la minima intenzione di soddisfare le tue richieste? Niente. Ci si rendeva ridicoli e basta. E mentre alzavo il capo verso quella splendente luna nel cielo, mi ritrovai a chiedermi quante persone in quel momento stessero rivolgendo a quello stesso cielo le loro preghiere, nella speranza che qualcuno li ascoltasse. Parole al vento verso un cielo sopra le loro testa che non avrebbe mai potuto rispondergli, ma loro lo facevano comunque. Temevano la notte nera, eppure era soltanto di fronte a lei che riuscivano ad ammettere le loro più profonde paure. Le sussurravano nel buio convinti che nessuno potesse sentirle, convinti che, se fossero rimaste all’interno delle loro dimore, sarebbero sparite per sempre. Ma le paure restavano lì fino a che non si era tanto forti da spezzarle da soli. Non aveva senso appellarsi agli altri, non aveva senso chiedere l’aiuto di qualcun altro.
    Riportai lo sguardo verso quella distesa di lapidi, beandomi per un momento della brezza fresca della notte. Era proprio quel clima più mite a farne il momento migliore della giornata, un momento che racchiudeva in sé la fine e l’inizio. Perché se la notte portava con sé il ricordo dell’intero giorno che era passato, ne portava con sé i profumi e i sussurri, portava anche con sé i desideri e i sogni, le preghiere e le speranze per il giorno che sarebbe arrivato. Era la notte a governare ogni cosa, a racchiudere in sé il senso di ogni giornata. I miei passi scivolavano lenti tra quelle file, senza prestare particolare attenzione a nessuno di quei nomi incisi sul legno o sulla pietra, non erano che nomi esposti ai quattro venti e anche loro, così come i corpi che così erano stati chiamati, si sarebbero consumati nel tempo, fino a non lasciare più neanche il più piccolo ricordo. Ma fino a che erano ancora freschi le persone continuavano a fare visita ai loro defunti, a rivolgere loro pensieri e parole, sperando che il malcapitato potesse udirli. Non sapevano che nulla si trovava dopo la morte, perché se il Dio in cui credevano fosse esistito davvero e fosse stato tanto grande quanto millantavano, a quest’ora io non avrei più avuto modo di calpestare quella terra. Ma c’ero e mi facevo beffe di coloro che cercavano di riposare in eterno. E la sentivo, sentivo l’odore della morte attorno a me, sapevo che prima o poi quel giorno sarebbe giunto anche per me, ma non era ancora il tempo, non quella notte.
    Una figura, qualche fila più avanti, catturò la mia attenzione e il mio sguardo si portò su di essa, studiandola per qualche istante, riconoscendo in lei qualcuno che avevo imparato a conoscere. Era stata la sua natura rara e bizzarra a colpirmi. Non era facile riuscire ad incontrare un ibrido e ancora meno lo era capire quali vantaggi potessero offrire ad un incantesimo. Il sangue di quella splendida giovane donna, ad esempio, poteva essere fondamentale per creare e spezzare numerose maledizioni, anche se forse lei neanche lo sapeva. Attesi qualche momento, poi mi avvinai lentamente, immaginando quale dovesse essere il motivo perché lei si trovava in quel luogo. Suo marito era morto da poco tempo e anche se non avevo mai capito a pieno che cosa li unissi, qualcosa mi aveva detto che lei doveva aver tenuto a lui, a modo suo. Era stato lui a farci incontrare, lui ad informarmi del problema di sua moglie, un problema che ancora attendeva una soluzione, su cui ancora non avevamo davvero iniziato a lavorare, ma qualcosa mi diceva che lo avremmo fatto presto, soprattutto ora che Eugene non era più con noi. Attesi che anche lei mi notasse prima di avvicinarmi, concedendole qualche altro momento di solitudine ancora. -Non sono in molti a trascorrere le notti di luna piena all’aria aperta. – dissi, con un leggero sorriso divertito ad incresparmi le labbra, quando fui ormai a pochi passi da lei. In molti temevano le creature che la luna era in grado di forgiare, in molti durante quelle notti si sigillavano all’interno delle loro case calde e accoglienti, così apparentemente sicure e impenetrabili. Altri invece coglievano in quelle notti un’occasione poiché la luna sapeva offrire potere e libertà. Ma ciò che mi aveva fatto sorridere era la sua natura, il fatto che qualcuno che era per metà licantropo non avrebbe mai potuto temere la luna piena e ciò che essa portava con sé.


    I always felt there were two kinds of people. Wolves and sheep -
    those who kill and those who get killed.

    « swän » code esclusivo del London gdr. Non usare senza il mio permesso.



    Edited by 'spencer - 3/4/2016, 23:36
     
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    WHAT HAPPENED TO THE SOUL THAT YOU USED TO BE?
    Se vi era qualcosa che nel mio passato dovevo aver compreso, era lo scorrere inarrestabile del tempo. Non potevo esserne certa, eppure lo percepivo, come una strana sensazione, una sorta di formicolio alla base della nuca che nulla aveva a che vedere con la piacevole brezza che, accarezzando dolcemente la pietra ed il marmo delle lapidi, si disperdeva in tutto il cimitero, portando con sé odore di terra ed erba. Respirai, a pieni polmoni, come se quel misto di odori ormai familiari potesse in qualche modo offrire un barlume di pace alla mia natura tormentata. Un tempo forse avevo appreso la preziosa capacità di agire con calma, ma la me del presente, Anahita Duchamp, era invece dannatamente impaziente. Ogni fibra del mio essere era tesa, nervosa, inquieta. Quell’insieme di sensazioni spiacevoli si era propagato in me in seguito alla notizia della morte di Eugéne. Prima vi era stata la rabbia – cieca, incontrollabile – poi una lucida calma, grazie alla quale avevo formalmente informato familiari ed amici stretti della sorte di mio marito e, infine, nel periodo in cui mi ero quasi completamente isolata dal resto del mondo, rinchiudendomi in uno dei numerosi possedimenti di famiglia fuori Londra, circondata unicamente dalla grigia campagna inglese, la sensazione di panico generata da quel risvolto imprevisto aveva iniziato pian piano ad aumentare, sino quasi a prendere il sopravvento. Avevo perso il conto del tempo che avevo trascorso seduta sul morbido sofà in salotto, un bicchiere intatto ricolmo di vino in mano, con lo sguardo fisso sulle fiamme che danzavano nel caminetto, assorta in pensieri ed ipotesi che mi avevano ossessionata a lungo, nel sonno e nella veglia, facendomi temere per la mia vita per la prima volta da quando avevo memoria. Com’era possibile che un semplice evento – una futile casualità – potesse generare una serie di coincidenze tali da rappresentare per me una seria minaccia? Le domande e gli scenari con i quali mi commiseravo – perché, seppur me ne vergogni e rifiuti di ammetterlo ad alta voce, si trattava di misera e scialba autocommiserazione – avevano influito sul mio umore già di per sé mutevole a tal punto che persino Elaine, la mia giovane ed inesperta servetta, temeva di presentarsi al mio cospetto. Da quando era entrata al mio servizio, circa un anno prima, non le avevo mai fatto alcun male. Avevo provveduto ad istruirla perfettamente, facendole presente quale comportamento mi aspettavo che tenesse nei confronti dei miei ospiti, nonché in quale modo dovesse rivolgersi a me o a mio marito. Seppur priva di cultura e inizialmente goffa, nel corso del tempo aveva imparato come compiacermi, impegnandosi persino nell’apprendere un rudimentale francese, purtroppo sporcato dal suo natale accento inglese. Fintanto che Eugéne era in vita, il mio umore era rimasto pressoché stabile. Di tanto in tanto mi ero innervosita – specialmente al principio della nostra collaborazione - irritandomi a causa della lentezza con cui Eugéne sembrava occuparsi della mia amnesia, ma non avevo mai perso davvero il controllo, lasciando che la furia si impossessasse completamente di me. Non fino al pomeriggio in cui avevo scoperto che mio marito era morto, probabilmente polverizzato in qualche sudicio vicolo di Londra, e che per me era ormai del tutto inutile. A modo suo, Eugéne Duchamp mi aveva tradita. Quando mi aveva proposto di sposarlo, spiegandomi perché necessitasse della mia presenza, mi aveva promesso molte cose – lusso, ricchezze, una vita agiata ma, soprattutto, quella protezione che, per una creatura come me, era fondamentale. Con la sua morte, tutte le sue promesse erano andate in fumo, svanendo come gli ultimi residui di neve sotto i tiepidi raggi del sole primaverile, lasciandomi in balìa degli eventi e del resto dei suoi familiari. La famiglia… questo era stato un altro tasto dolente. Se durante i mesi del mio matrimonio avevo sempre trattato i parenti di Eugéne con la più squisita cordialità, destinando loro il lato più giocoso ed affascinante del mio carattere, in seguito alla scomparsa di mio marito avevo evitato qualunque tipo di contatto con loro, limitandomi a brevi scambi epistolari e declinando ogni proposta con la scusa del lutto. In verità, a dispetto della sensazione di stordimento che avevo iniziato a provare nel non trovare la figura ormai familiare di Eugéne al mio fianco, il vero motivo per cui temevo il momento in cui avrei dovuto incontrarli era uno soltanto: ormai sola, non ero certa di essere stata abbastanza amorevole da potermi definire “benvoluta”, e la preoccupazione per la mia posizione sociale, sommata a quella per la mia incolumità, mi spingeva a vedere dietro chiunque una possibile minaccia. La brevità dell’unione che avevo accettato mi aveva impedito di constatare con sicurezza quale fosse l’opinione della mia nuova famiglia su di me e l’inevitabile assenza di eredi – che, indipendentemente dalla chiara intesa fisica che avevo condiviso con mio marito, non erano mai stati cercati – non giocava di certo a mio favore. Senza le ricchezze di Eugéne non possedevo nulla e, sebbene sapessi che si era premurato di includermi nei beneficiari del suo testamento per frugare ogni mio possibile dubbio, non ero certa che ciò, né il cognome che ora portavo, bastassero a salvaguardarmi da spiacevoli inconvenienti. La farsa del nostro matrimonio era abbastanza solida, ai loro occhi, da permettermi di considerarli miei alleati? Non ne ero certa e, inutile dirlo, nutrire un dubbio tale mi angustiava.
    Fingendomi straziata dal dolore di quella separazione prematura, accettai con remissiva gratitudine le proposte ed i suggerimenti che mi vennero comunicati circa il servizio funebre. Non che ci fosse nulla da seppellire considerando che i resti non erano mai stati ritrovati, ma l’organizzazione del rito mi aveva permesso di guadagnare qualche altro preziosissimo giorno. I messi ed i servi della mia casa erano stati indaffarati al pari dei giorni precedenti il matrimonio, svolgendo commissioni, recapitando le mie lettere e assicurandosi che ogni dettaglio fosse perfetto. Nel mentre, dopo aver delegato le principali mansioni di amministrazione della residenza di campagna ad Elaine, avevo preso in considerazione i miei timori, uno per uno, analizzandoli da ogni punto di vista ed escogitando, per ognuno di essi, una soluzione alternativa che mi permettesse, se necessario, di fuggire lontano dall’Inghilterra con abbastanza ricchezze da far perdere le mie tracce. Fortunatamente non fu necessario; nonostante i miei timori, la cerimonia fu incredibilmente tranquilla e riservata a familiari e poche intime conoscenze. Il cielo era scuro, coperto da minacciosi nuvoloni neri attraverso i quali la luce del sole giungeva fioca e debole. Non piovve, ma fu una giornata piuttosto tetra, in cui l’unica nota di colore era rappresentata dai fiori che erano stati ordinati appositamente. Il mazzo di rose bianche e papaveri che tenevo tra le mani spiccava come un cumulo di neve macchiata di sangue, in netto contrasto con la stoffa scura e pesante del mio mantello. Sotto il cappuccio, per proteggerli dall’umidità, avevo acconciato i capelli in un semplice raccolto, e – ad eccezione della fede e dell’anello che mi “proteggeva” dal sole – non indossavo alcun tipo di gioiello, avendo optato per un aspetto sobrio e ordinato, se non l’anello solare di Eugéne, come ciondolo di una semplice collana.
    Al termine del rito, il cielo cupo che incombeva sui presente fece si che lo scambio di convenevoli e condoglianze fosse estremamente breve. Le carrozze si materializzarono quasi immediatamente, riportando i presenti alle loro confortevoli abitazioni. In piedi accanto al resto della famiglia, ringraziai le conoscenze di Eugéne con espressione sinceramente tesa. Ero cosciente di non avere il solito aspetto sereno, ma intimamente ne fui felice. Anche se non lo amavo mi dispiaceva per mio marito, eppure la mia principale preoccupazione rimaneva la mia incolumità. Se non altro, la durezza che recentemente si era diffusa nei miei lineamenti avrebbe corroborato l’immagine di giovane vedova addolorata che, già da un po’, era oggetto di pettegolezzi.
    Quando infine fu il mio turno di partire secondo il mio desiderio di trascorrere qualche tempo lontano dalla corte, mi premurai di rivolgere parole di conforto alla mia famiglia, prima di accettare la mano che Jean gentilmente mi offriva e salire in carrozza. Prima che il valletto richiudesse la portiera, mi sporsi nella sua direzione per domandargli se potesse occuparsi degli ultimi affari che avevano condotto Eugéne a Londra – affari economici di cui finsi di non sapere nulla. Fu una mossa azzardata, ma accuratamente studiata. Dei fratelli del mio defunto marito, Jean era quello che più continuava a lasciarmi interdetta. La sua (apparente) sincera gentilezza, del tutto genuina dal modo con cui si approcciava al prossimo, mi spingeva a chiedermi se tali delicatezze sorgessero davvero dal profondo della sua natura o se, come le mie deliziose attenzioni, fossero la maschera dietro cui si celavano fini assai differenti.
    Nei mesi successivi fui fortunata; l’improvviso maltempo ed i festosi balli organizzati al chiuso mi fornirono un’ottima scusa per trattenermi ulteriormente in campagna, sostenendo di non essere ancora in grado di riprendere la vita mondana e di non voler turbare nessuno a causa del mio dolore. Giorno per giorno, riuscii relativamente a tranquillizzarmi abbastanza da concentrarmi su ciò che per troppo tempo era rimasto in sospeso: i miei ricordi. Rilessi più volte gli appunti e le notizie approssimative sulla mia vita che Eugéne era riuscito a raccogliere e, una volta terminato, frugai tra i suoi documenti senza trovare nulla di rilevante. Nulla se non il nome di Lilith Hargreave, la strega che lo aveva aiutato a condurre ricerche sulla mia esistenza e che, qualche tempo addietro, io stessa avevo incontrato. Per parecchi giorni fui indecisa sul da farsi. Sapevo che Eugéne si era fidato di lei a tal punto da richiedere la sua assistenza ma, al contrario di lui, io ero molto meno incline a considerarla un’alleata. Cambiai idea almeno un migliaio di volte, spaventata da dubbi forse inesistenti e da eccessiva prudenza. Infine, decisi che era necessario fare qualcosa poiché la mia mente non si sarebbe aggiustata da sola.
    Il fruscio delicato delle gonne sull’erba attirò la mia attenzione e mi riscossi dai miei pensieri, prestando improvvisamente maggiore attenzione alla silenziosa pace che regnava nel cimitero, senza tuttavia muovermi. Mantenni lo sguardo fisso sulla luna piena, alta nel cielo, la cui luce perlacea era l’unica fonte di chiarore. Nel profondo, avvertivo un bisogno quasi primitivo di cedere alle invitanti richieste di Selene, spezzando il mio autocontrollo e lasciando che l’altra faccia della medaglia, la parte di me che ero costretta a nascondere e sopprimere, potesse sprigionarsi in tutto il suo istinto selvaggio. Era quasi una promessa di conforto, di liberazione. Se mi fossi lasciata andare avrei sfogato finalmente il nervosismo che mi percorreva, l’inquietudine che non riuscivo a mettere a tacere. Anche se per poco, avrei dimenticato tutto ciò che mi affliggeva, presente, passato e futuro, lasciandomi travolgere dalla mia natura. Non lo feci. Non ero così stupida, anche se si trattava di una prospettiva incredibilmente allettante. Al contrario, mi concentrai sull’unico essere vivente presente nel cimitero, consapevole della nostra vicinanza. Dopotutto, mi trovavo lì per un motivo ben preciso. «Ed è un vero peccato.» Risposi, senza voltarmi. «La loro stoltezza gli impedisce di comprendere quanto siano preziose.» Aggiunse, avendo riconosciuto sin dal principio la voce ed il battito cardiaco della mia compagna. Non ebbi bisogno di concentrarmi sul suo odore. Ben poche creature vive avrebbero passeggiato con una tale tranquillità nel cimitero in una notte come quella. Ed era proprio per questo che avevo bisogno di lei. «Ma d’altronde, se serate come questa fossero affollate se ne guasterebbe il valore, non trovate?» Nel porle la domanda mi volsi verso di lei, sollevando parzialmente la stoffa dell’abito che indossavo. Non che mi importasse granchè di rovinarlo. Inclinai leggermente il viso di lato e sorrisi appena, scrutando i suoi occhi verdi, incredibilmente brillanti anche nell’oscurità. «Avrei preferito scegliere un momento più consono per farvi visita ma… temo che aspettare ulteriormente sarebbe stato oltremodo sconveniente Feci un passo verso di lei, fermandomi esattamente di fronte alla sua persona. Non avevo intenzione di invadere il suo spazio, né di insultarla. Sapevo che era una strega potente e non ero così sciocca da poter irritare l’unica persona che poteva aiutarmi. «Ad essere sincera, siete stata sin troppo paziente con me. Ma credo sappiate che ci sono alcune questioni con cui è necessario intrattenersi, ora più che mai.» Senza voltare il viso gettai un’occhiata alle sue spalle, suggerendo di spostarci in un luogo più appartato e, possibilmente, protetto dalla magia. Non che fossi particolarmente felice all’idea di entrare in un mausoleo – o peggio ancora, una cripta - ma le precauzioni non erano mai troppe, soprattutto quando al mondo esistevano i Mutaforma. «Mio marito… so che vi teneva in grande considerazione.» Aggiunsi, mantenendo lo sguardo fisso nel suo e lasciando intendere, implicitamente, che non ero certa di poter fare lo stesso. Non ancora, almeno.
    anahita l. duchamp

    codici sotto copyright - by oakenshield


    E boh, oggi dopo scuola guida ero ispirata ahah
    scherzi a parte, era da un sacco che non scrivevo in prima persona quindi spero che il post non sia troppo schifido y_y mi sono anche presa la libertà di descrivere un po' gli avvenimenti in seguito alla morte di Eugéne e di citare Jean. Se qualcosa non va bene dimmelo che modifico :3 non ero sicura che i vampiri avessero un vero e proprio funerale ma ho immaginato che qualche forma di addio esistesse, quindi sono stata abbastanza vaga (y)
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    Lilith C. Hargreave» witch
    Molti aspetti del mio modo di essere erano cambiati durante il corso del tempo. Se in passato ero stata una donna allegra, sempre pronta a donare un sorriso e una parola di conforto a chiunque ne avesse bisogno, disponibile nei confronti del prossimo e aperta verso le nuove conoscenza improvvise e inaspettate, alcuni avvenimenti avevano cambiato irrimediabilmente il mio temperamento. Era come se il cuore mi fosse stato strappato dal petto, impedendomi di provare di nuovo affetto nei confronti di qualcuno e persino l’amore nei confronti di mia figlia era stato macchiato dal sentimento di odio e vendetta che mi spingeva ad andare avanti, giorno dopo giorno, sacrificando le vite degli altri per alimentare le nostre, senza provare il minimo rimorso. Era stato mio marito a costringermi a farlo, quando aveva cercato di uccidermi come una strega qualunque, ed era per lui che avrei continuato a vivere, perché se mi fossi arresa, se avessi dato retta a mia figlia e ai suoi desideri, allora lui l’avrebbe avuta vinta e questo non potevo permetterlo, non dopo tutto ciò che ero stata costretta a sacrificare per causa sua. Non era rimasto più nulla delle donna che mia figlia aveva amato, della madre amorevole e affettuosa che ero stata nei suoi primi anni di vita, quando l’unico amore della mia vita riscaldava le mie giornate con un semplice sorriso. Emìl era arrivato nella mia vita in un momento in cui avevo pensato di arrendermi e mi aveva permesso di vedere una nuova luce, nonostante la sua natura demoniaca avrebbe dovuto suggerire l’esatto contrario. Era l’uomo migliore che io avessi mai incontrato, con lui mi sentivo felice, accettata, e non avrei potuto desiderare un padre migliore per mia figlia, ma purtroppo lei non aveva mai avuto la possibilità di saperlo. Era convinta che William fosse suo padre, l’uomo che mia madre mi aveva costretta a sposare, ma non poteva essere più in errore. Forse avrei dovuto dirglielo, forse avrei dovuto farle sapere quanto suo padre l’amasse, tanto da sacrificare la sua stessa vita per permetterci di partire e andare via da quella cittadina che mi aveva condannata a morte, ma a cosa sarebbe servito darle anche quell’ultimo dolore? Dirle che l’uomo che aveva sempre creduto solo un amico della madre fosse in realtà il padre che aveva sempre desiderato e che non avrebbe mai avuto? Avevo ritenuto più giusto non dirle niente e lasciarla alle sue convinzioni e forse questo era stato il primo passo che ci aveva allontanare, la prima bugia che lei non mi avrebbe perdonato, ma non aveva importanza purchè lei restasse viva.
    Rivederla a Londra, dopo qualche anno di lontananza, mi aveva permesso di vedere quanto fosse cresciuta, non tanto nell’aspetto, che mutava in maniera troppo lenta a causa di quella maledizione che ci teneva in vita, ma nell’animo e nel carattere. Avevo saputo che anche lei aveva perso l’amore, un destino comune che avrei preferito non dovesse sopportare, ma se lei a quel punto aveva deciso di rinunciare alla magia e di non utilizzarla più, di vivere come avrebbe fatto una semplice umana, io non avrei mai compiuto una scelta come quella. Ci eravamo riviste soltanto poche volte, nonostante io la tenessi sotto stretto controllo e sapessi sempre perfettamente dove fosse e che cosa stesse facendo e ogni volta mi aveva fatto sempre la stessa richiesta: spezzare la maledizione, ucciderci entrambe. Tante volte in passato le avevo promesso che lo avrei fatto, che sarebbe stato ancora soltanto per poco tempo, ma non erano che bugie anche quelle, dette inizialmente con buona fede, convinta di potermi davvero liberare da quelle catene, salvo poi rendermi conto che non era più possibile. Il mio cuore era diventato troppo oscuro per cedere al richiamo del bene, per dare ascolto a mia figlia ed esaudire per una volta un suo desiderio. La potenza della magia che si era accresciuta negli anni dentro di lei, grazie ai miei sacrifici, le era divenuta insopportabile, tanto da non riuscire più a controllarla, ma sapevo che quella era soltanto colpa sua. Era stata lei a scegliere di metterla da parte, di non allevarla, di lasciarla in un piccolo angolo del suo corpo convinta che la magia si sarebbe fatta parte e sarebbe rimasta in silenzio, senza più tentare di uscire fuori. Ma la magia aveva vita propria, la magia andava domata e addestrata a piegarsi ai propri doveri, oppure questa si sarebbe ribellata e sarebbe divenuta incontrollabile. Era tutta colpa sua e io avevo provato ad offrirle il mio aiuto, ad insegnarle come tenerla a bada, ma non aveva voluto darmi retta. Un cuore spezzato era qualcosa di molto pericoloso, soprattutto se non si aveva la forza di reagire.
    Per questo motivo mi incuriosiva incontrare la vedova di Eugéne, per comprendere come avesse reagito alla morte dell’uomo e che cosa fosse cambiato in lei, quanto profondo potesse essere il loro legame. Mi ero tenuta in disparte il giorno in cui avevano dato l’ultimo saluto al Duchamp, senza avvicinarmi alla sua famiglia, rivolgendo un semplice cenno del capo a sua moglie, affinchè soltanto lei mi vedesse e sapesse. Avevo sentito dire che si era ritirata in una tenuta in campagna subito dopo, per poter vivere in solitudine il suo dolore, la notizia era stata sulla bocca di tutti per giorni. Non sapevo se fosse la verità o se avesse avuto altri motivi per allontanarsi, ma di certo non le avrei chiesto conto delle sue azioni, dato che quella non era una cosa che mi riguarda. Eppure in città non si era parlato d’altro che di quella perdita e che della povera vedeva, era questa una delle cose più terribili dell’appartenere ad una famiglia dal nome importante: tutti sapevano sempre tutto di te, tutti si arrogavano il diritto di dare consigli e di trarre le proprio conclusioni; ed era proprio per questo che invece io cercavo, a modo mio, di passare inosservata e di tenermi ben lontana dal centro delle attenzioni. Soltanto chi doveva sapeva chi io fossi e quali fossero le mie capacità, per gli altri non ero che una donna come tutte le altre e questo mi aveva sempre dato la possibilità di muovermi piuttosto agevolmente tra la folla, di paese in paese. Se tutti quanti fossero stati a conoscenza del mio potere e delle mie capacità, probabilmente le strade di Londra sarebbe state molto più silenziose e desolate perché il popolo avrebbe temuto di incontrarmi, ma fortunatamente quelle persone continuava a camminare del tutto ignare del pericolo che si muoveva ad un passo da loro e della mia necessità di togliere delle vite secondo un ritmo ben stabilito. Ma la mia era una vita completamente diversa e lo sarebbe sempre stata.
    Scrutai per qualche momento la figura elegante della donna che per tutti appariva soltanto come una semplice vampira, era questa la menzogna a cui erano legati quelli come lei perché il mondo non era ancora pronto per accettarli. Erano troppo pericolosi per non essere costretti a subire delle limitazioni e il re li temeva perché sapeva che possedevano minori debolezze rispetto alle sue. Non sapevo se sarebbe mai arrivato un giorno in cui anche loro sarebbero stati liberi di mostrarsi apertamente, senza più doversi nascondere, ma se mai fosse successo di certo sarei rimasta a guardare lo spettacolo della devastazione che questo avrebbe generato. Perché di certo non sarebbe stata una gentile concessione del sovrano, no, avrebbero dovuto strappargli quel diritto con la forza, probabilmente rivendicandolo sulla sua stessa vita. Ed ero abbastanza convinta che prima o poi quel giorno sarebbe arrivato, che gli ibridi non sarebbe rimasti per sempre a guardare mentre la razza dominante continuava a far pendere una condanna a morte su chiunque di loro, senza alcuna distinzione. Pensavo che fosse questo il motivo che aveva convinto Anahita Duchamp a prendersi qualche momento di pace, lontana dal mondo: ora che non c’era più suo marito a reggere il suo gioco, ora che si trovava da sola e senza una memoria perfettamente funzionante in un’atmosfera per lei nuova, in qualche modo, doveva aver avuto bisogno di un po’ di tempo per organizzarsi e per decidere come comportarsi. Avere l’attenzione di tutti su di sé, per un ibrido, poteva essere oltremodo pericoloso.
    Ma lei era una donna forte e determinata, mi era bastato incontrarla una volta e scambiare poche parole con lei, sotto lo sguardo di Eugéne, per comprenderlo. Ero certa che non si sarebbe lasciata abbattere da una situazione spinosa e che avrebbe comunque trovato il modo di risollevarsi e di ottenere quello che voleva, era soltanto una questione di tempo. Attesi qualche momento prima di rivolgerle la parola e avvicinarmi di qualche altro passo a lei, lasciando che un vago sorriso divertito colorasse le mie labbra quando lei mi rispose, constatando la stoltezza di quel mondo che temeva il bagliore candido della luna e le creature a cui essa dava vita, notando però anche quanto fortunato fosse quel piccolo dettaglio, dato che offriva a tutti gli altri di godere di quelle notte in maniera pressochè indisturbata. -Un’incredibile fortuna, in effetti. – mormorai, semplicemente rivolgendole un leggerissimo sorriso, quasi impercettibile. Mantenni lo sguardo su di lei mentre lei voltò il suo nella mia direzione. Era una serata strada per incontrarsi e il luogo era forse ancora più strano, ma in fondo la vita era bella proprio perché sapeva offrire le condizioni più improbabili. Parlò di nuovo, dicendomi che avrebbe voluto scegliere un momento più consono per venire da me, ma evidentemente il destino aveva scelto per lei, evitando ulteriori indugi. Non mi mossi mentre lei si avvicinò a me di qualche passo, continuando a mantenere lo sguardo su di lei, in attesa che andasse avanti, dato che mi sembrava che il suo discorso non fosse finito e un sorriso leggermente più divertito colorò le mie labbra quando mi disse che ero stata sin troppo paziente con lei e che purtroppo aveva anche altre faccende di cui occuparsi, soprattutto ora che suo marito era venuto a mancare. -In circostanze come questa la fretta non è mai una buona alleata. – dissi, in risposta alle sue parole. Farle riavere indietro la sua memoria non sarebbe stato semplice, né immediato, ed era bene che questo lo capisse, prima ancora di iniziare. Avrebbe dovuto avere pazienza e forse sarebbe stato persino doloroso, non potevo ancora dirlo con certezza. Avevo comunque approfittato di quel prolungato silenzio per studiare un po’ meglio la sua situazione e cercare degli indizi che mi permettessero di comprendere se qualcosa del genere fosse già accaduto in passato. Avevo contattato qualcuna delle mie conoscenze, avevo cercato di trovare qualcuno del suo passato e forse ero riuscita a trovare qualcosa, ma ci sarebbe stato tempo per quello, per informarla di quei passi avanti, prima era bene che fosse lei a ricordare qualcosa, in prima persona, o offrirle qualche scorcio sulla vita che aveva vissuto sarebbe stato del tutto inutile. La vidi lanciarsi un’occhiata all’indietro, probabilmente cercando di comprendere se fossimo sole o se qualcun altro potesse in ascolto, suggerendomi con un semplice gesto del capo di spostarci altrove e io annuii appena, iniziando a camminare al suo fianco. La sua era una questione piuttosto delicata, che necessitava di essere trattata con la massima attenzione e le precauzioni quindi non erano mai troppe.
    Sarebbe stato probabilmente ancora meglio spostarci in un luogo completamente diverso, ma non ritenevo opportuno sprecare una simile occasione e quindi le feci strada verso il mausoleo di alcune persone che conoscevo, aprendo la porta sigillata con la magia e invitandola ad entrare, per poi richiuderla, mentre lei mi ricordava che suo marito mi aveva si fidava di me, quasi a voler sottolineare che per lei non era lo stesso. Pronunciai un altro incantesimo, che ci avrebbe permesso di parlare indisturbate e inascoltate poi, mi voltai di nuovo nella sua direzione. -Io e vostro marito abbiamo avuto modo di collaborare in diverse occasioni, ma suppongo che non siate qui per conoscere la mia storia, non è vero? – chiesi, senza mostrare alcun tipo di turbamento, mentre riprendevo a quel punto a guardarla negli occhi. Avrei potuto raccontarle qualcosa del passato che avevo condiviso con Eugéne, se questo fosse servito a qualcosa, ma di certo non le avrei raccontato la storia della mia vita, non lo avevo mai fatto con nessuno. -Eugéne non è stato molto chiaro con me sul vostro conto, non aveva ancora terminato di farmi conoscere i dettagli, ma a questo punto credo sia opportuno che siate voi a dirmi di che cosa avete bisogno, in prima persona. – dissi, muovendo un passo tranquillo nella sua direzione. Se prima avevamo utilizzato un intermediario per quel genere di cose, ora lui non c’era più e non era più il caso di nascondersi dietro la sua figura. Se voleva qualcosa sarebbe stato bene che prendesse la situazione in mano e che decidesse per conto proprio fino a dove volesse spingersi e quale fosse il suo obbiettivo. Forse ero stata un po’ troppo diretta con lei, ma volevo capirla meglio e conoscerla più a fondo o non avrei avuto modo di lavorare al meglio e quale modo migliore di conoscere una donna se non metterla di fronte ad una sorta di sfida e darle in mano la possibilità di scegliere per se stessa?


    I always felt there were two kinds of people. Wolves and sheep -
    those who kill and those who get killed.

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    WHAT HAPPENED TO THE SOUL THAT YOU USED TO BE?
    Era una strana sensazione, sentirmi un’estranea per me stessa; si trattava di una percezione che andava oltre la mera condizione fisica. Il mio corpo mi apparteneva e, di questo, ne ero certa. Gli arti, i movimenti, persino la trasformazione rispondevano alla mia volontà con una semplicità tale da cozzare in maniera quasi dolorosa con il vuoto e la confusione che, sin dal mio primo incontro con Eugéne, regnava nella mia mente. Sebbene avessi cercato a lungo di nasconderlo – e, forse, persino di negarlo ai miei stessi occhi – quella condizione mi aveva provocato una profonda sofferenza ma, al contempo, mi aveva portata a scoprire qualcosa in più sulla mia personalità, qualcosa di estremamente importante che non avrei mai potuto reperire nei superficiali dettagli che il mio defunto marito era riuscito a raccogliere sulla mia vita come Melusine Delaunay: conquistare la mia fiducia era estremamente difficile e, dato il mio forte istinto di sopravvivenza, la consapevolezza di non potermi affidare completamente alla mia mente – ai miei ricordi, a ciò che avevo appreso in oltre tre secoli di vita – rappresentava una vera e propria maledizione. Chi ero stata in passato? Quali avvenimenti avevano riempito la mia vita, portandomi a restare rinchiusa in una cripta per quasi un secolo e a perdere ogni ricordo della mia vita? Dopo la morte di mio marito, la mia ossessione per ottenere delle risposte concrete si era ben presto tramutata in una pressante necessità. Ogni giorno in più in cui ignoravo la verità su me stessa – su Melusine – rappresentava un potenziale pericolo, la possibilità di espormi incautamente ad una definitiva condanna. Riflettendoci a mente fredda, il mio incontro con Lilith Hargreave era inevitabile. Avrei potuto procrastinare, rimandarlo ulteriormente eppure, se volevo riprendere il controllo di ciò che mi apparteneva, non avrei potuto continuare a temporeggiare per sempre. Avevo bisogno di lei ed ero certa che Mademoiselle Hargreave ne fosse più che consapevole. Per quanto mi infastidisse riconoscere qualità che ritenevo di possedere in un’altra donna, non ero così egocentrica da negare la profonda intelligenza di colei che mi stava davanti. Eugéne l’aveva sempre lodata con sincera ammirazione ma i suoi elogi avrebbero avuto ben poco effetto su di me se l’evidenza di tale dettaglio non fosse stata inequivocabile. Mi era bastato incontrarla una sola volta, prima di questa notte al cimitero, per intuire quanto ingegno e potere celasse al resto del mondo. Non vi era da stupirsi di tale scelta: in modo similare agli ibridi – abomini condannati a morte per la sola colpa di essere venuti al mondo – le sue abilità erano al contempo una risorsa potente quanto pericolosa. Dopo la guerra, la sete di potere e ricchezza sembrava essersi impossessata di chiunque. Ogni individuo, persino il più inetto, sarebbe stato disposto ad utilizzare qualunque mezzo pur di risollevarsi dalla miseria ed assicurarsi agio e protezione e, indipendentemente dalle accortezze utilizzate per difendersi fisicamente, nulla forniva uno scudo migliore di un’identità fittizia ma perfettamente costruita. Io stessa, sino a poco tempo prima, ne ero stata l’esempio lampante. Tuttavia, a differenza di Mademoiselle Hargreave, la mia identità era solcata da profonde crepe. Ero incompleta, danneggiata. E non lo avrei mai accettato. La rassegnazione mi era estranea, una delle debolezze che più disprezzavo. Non a caso provavo una discreta simpatia persino per gli umani ribelli, per i loro ostinati tentativi, la determinazione – o disperazione? – con cui, indipendentemente dalla fragilità delle loro brevi vite, tentavano di contrastare razze più potenti di loro.
    Annuii quasi impercettibilmente con il capo quando la strega mi rispose, consapevole che la mia espressione doveva essersi leggermente indurita. Un cambiamento quasi impercettibile, che solo un occhio sovrannaturale sarebbe stato in grado di cogliere nel buio della notte. Eppure… eppure sapere che avrei dovuto pazientare ulteriormente per ottenere ciò che desideravo – e di cui avevo estremamente bisogno – mi irritava. Non potevo evitarlo. Seppur comprendessi quanto fosse necessario procedere con cautela ed attenzione, vagliando il limite sino a cui la magia avrebbe potuto essere esercitata su di me senza rischi permanenti, era frustrante sapere di non poter diradare prontamente la nebbia che avvolgeva il mio passato. Non amavo il dolore e cercavo spesso di evitarlo – con rare eccezioni, per lo più relegate alla camera da letto – ma, nel caso in cui fosse strettamente necessario, non mi sarei mai tirata indietro, né avrei scelto la via più semplice. In questa occasione, avrei volentieri barattato la frustrazione derivata dall’attesa con un “procedimento” incredibilmente doloroso ma dai risultati immediati e definitivi. «Avete ragione… ma temo di essere dotata di pregi assai differenti dalla pazienza.» Commentai, con un mezzo sorriso, prima di lasciare che mi affiancasse ed iniziare a dirigerci in un luogo protetto. Avrei atteso fintanto che mi fosse stato possibile, ma un’eventuale mancanza di risultati non mi avrebbe scoraggiata, quanto infastidita. Le cose dovevano seguire un ordine stabilito, proprio come io desideravo. E, sebbene sapessi che la magia era alquanto delicata, mi aspettavo che anche in questo caso i miei desideri venissero opportunamente soddisfatti. Ero disposta a pagare profumatamente, e non solo in denaro. Sapevo quale poteva essere il mio valore per una strega – il valore del mio sangue, dell’ibridazione che mi rendeva tanto pericolosa agli occhi del sovrano – e non mi sarei stupita se Mademoiselle Hargreave avesse richiesto una ricompensa differente dalla mera e superficiale moneta.
    I nostri passi vennero attuti dall’erba morbida e ricoperta di rugiada sino all’ingresso di un mausoleo, la cui costruzione era splendidamente ornata da motivi gotici, rovinata in pochi punti dall’incidere del tempo e dalle condizioni atmosferiche inglesi. Seguii con attenzione il rituale necessario ad aprire la porta, sinceramente interessata. Anche se si doveva trattare di un incantesimo ordinario, non era un’esperienza comune quella di poter assistere in prima persona e tanto da vicino ai più bizzarri segreti della magia. Inoltre, una piccola parte di me, era certa che avrei tratto un discreto piacere dalla compagnia della strega che avevo davanti, se il nostro accordo fosse andato a buon fine. Qualcosa mi spingeva a credere che saremmo state in grado di comprenderci a vicenda con più semplicità del previsto.
    Obbligandomi a non esitare, entrai nel mausoleo, gettando una rapida occhiata alle pareti eccessivamente decorate per la sua funzione. Indipendentemente da chi vi riposava dentro si trattava pur sempre di una tomba, e quel tipo di morti non avrebbero comunque potuto godere del piacevole riflesso della luce delle candele sui bassorilievi ed i dipinti che si stagliavano in tutte le direzioni. Se non altro, i nostri occhi erano ancora in grado di apprezzare tale bellezza e, nell’insieme, gli scenari rappresentati mi aiutarono a distinguere nettamente il presente dal passato. Il ricordo della cripta in cui mi ero risvegliata era ancora vivo in me, fastidioso come la sensazione di un nodo alla bocca dello stomaco. Ricordavo perfettamente l’odore nauseante di muffa e polvere, il buio totale che mi aveva accolta appena avevo aperto gli occhi, il dolore del mio primo respiro. Poi vi era stato il sangue – la linfa necessaria a riportarmi alla vita – e infine la necessità, impellente e bruciante, di uscire da quella che, per troppo tempo, era stata la mia tomba. In quel momento mi ero lasciata guidare da un istinto innato, animale. L’odore di pioggia e di vento, il rumore dei tuoni in lontananza mi avevano aiutato a trovare una via di fuga, come se la natura mi richiamasse a sé. Non era una sorpresa, dunque, che non conservassi un buon ricordo degli edifici funerari, specie se eccessivamente bui e stretti.
    Mademoiselle Hargreave attirò nuovamente la mia attenzione e, inclinando appena il capo di lato, annuii, concordando con le sue parole. Nutrivo una certa curiosità nei suoi confronti e non lo avrei negato – perché mai avrei dovuto? – ma non erano i pettegolezzi e le vicende altrui l’oggetto del mio interesse. «Sono certa che sarebbe una storia incredibilmente interessante ma, al contempo, temo che si tratterebbe di un racconto troppo lungo e di una terribile indiscrezione, da parte mia, arrogarmi il diritto di indagare sul vostro passato.» Se ero riuscita a percepire un barlume superficiale della sua personalità, ero certa che non le avrebbe fatto piacere condividere la propria vita con un’estranea. Ogni donna degna di tale definizione ha i propri scheletri nell’armadio, segreti e verità che non svelerebbe nemmeno alla persona più fidata e, in questo, dovevamo essere terribilmente simili.
    Sorrisi impercettibilmente quando menzionò Eugéne, scossando appena il capo. «Mio marito ha sempre avuto un tocco a volte sin troppo… delicato. Certo, spesso ne aveva motivo, ma talvolta questa sua caratteristica poteva risultare fastidiosa.» Ammisi. Ogni uomo sposato aveva qualcosa che – almeno una volta – aveva rappresentato una seccatura per sua moglie. Era uno dei principi del matrimonio, grazie al quale si poteva facilmente intuire perché poche persone si sposassero per vero amore e tante ricercassero compagnie alternative nel peccato dell’adulterio. «Ma io sono più diretta rispetto a lui. O, come mi hanno riferito una volta, sono una donna di polso Feci una brevissima pausa, osservandola attentamente come se la sua espressione potesse svelarmi quali fossero i suoi pensieri in proposito. Sapevo che, sebbene non lo avesse detto apertamente, doveva essersi fatta un’idea abbastanza precisa di quale sarebbe stata la mia richiesta. Tuttavia voleva che fossi io a pronunciarne le parole ad alta voce. E lo avrei fatto, poiché non possedevo nient’altro che avrei potuto perdere all’infuori della mia stessa vita. «Non ho intenzione di perdere tempo nell’elencare i preamboli che mi hanno resa Anahita Duchamp. So che Eugéne ve ne ha parlato e sospetto che senza di voi avrebbe avuto una discreta difficoltà a trovarmi.» Anche se Eugéne non me lo aveva mai confermato, ero quasi certa che l’aiuto di Lilith Hargreave fosse stato fondamentale per rintracciare la cripta in cui mi avevano confinato. Chi, oltre ad una strega tanto potente, sarebbe stato in grado di condurlo a me? Di quale altra persone avrebbe potuto fidarsi per una faccenda tanto delicata? «Tuttavia… l’unica cosa che possiedo è la mia identità attuale e, sebbene possa ritenermi soddisfatta, nutro il timore che tale facciata non sia sufficiente a fornirmi abbastanza sicurezza.» Esitai un istante, cercando le parole adatte. «Da quando mi sono risvegliata, la mia memoria è inaccessibile, priva di qualunque ricordo. Non ricordavo nemmeno il mio nome e, tutt’ora, immagini confuse e incomprensibili mi tormentano durante il sonno e, in rarissimi casi, anche da sveglia. Sfortunatamente sono sempre accompagnate da un dolore lancinante, che mi impedisce di ricordare o comprendere con chiarezza di cosa si tratta. Ed è per questo che ho bisogno di voi. Voglio che mi aiutate a recuperarla per intero, sino all'ultimo istante prima che venisse cancellata Sollevai un lembo del mantello, estraendo un taccuino di pelle scura finemente rilegato. «Qui vi è tutto ciò che Eugéne è riuscito a scoprire con certezza. Si tratta per lo più di date, pochi nomi, passaggi di proprietà, leggende e pettegolezzi. E lo schizzo di un ritratto. Non è nulla di realmente importante, ma credo che al momento sareste in grado di trarne maggiore utilità rispetto a me.» Non glielo porsi – non ancora – sollevando leggermente il viso per incrociare il suo sguardo. Dovevo essere certa di potermi fidare abbastanza da mettermi nelle sue mani. «Naturalmente mi trovo costretta a chiedervi l'assoluto riserbo sull’intera questione e sarò disposta a ricompensarvi in modo più che adeguato, ogniqualvolta sarete in grado di aiutarmi concretamente.» Aggiunsi, lasciandole intendere che il fallimento non era un’opzione contemplata. L’avrei pagata profumatamente ed ero disposta a darle parti di me stessa in cambio dei risultati del suo impegno, ma non avrei accettato di sprecare inutilmente il mio tempo e le mie risorse. Ero sicura che Lilith Hargreave fosse in grado di aiutarmi, ma volevo che le mie condizioni fossero ben chiare. D’altronde, dovevo potermi fidare di lei. «Dunque… mi sono rivolta alla persona giusta?» Domandai, allungando solo in quel momento il braccio nella sua direzione. Stringevo il taccuino tra le dita, in attesa che lo prendesse.

    anahita l. duchamp

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    Lilith C. Hargreave» witch
    Osservai con cautela la figura elegante dell’ibrida che si trovava a pochi passi da me, di quella donna che in breve tempo era riuscita a stregare Eugéne Duchamp, tanto che ero arrivata a chiedermi se ormai la sua ricerca non fosse piuttosto la sua più profonda intenzione di compiacerla, darle ciò che lei più desiderava sperando in cambio di ricevere un sentimento più profondo da parte sua. Mi sarebbe piaciuto scoprirlo, ottenere più dettagli riguardo al loro rapporto, ma purtroppo Eugéne era venuto a mancare e con lui anche la possibilità di osservare ogni possibile mutamento sul suo carattere e sulla sua persona. Ma lei era rimasta in piedi, solitaria e distante come una vedova afflitta, si era allontanata dalla famiglia di suo marito con la scusa di raccogliere i pezzi di un amore spezzato, di ricomporsi prima di tornare a mostrarsi in pubblico, ma qualcosa che mi diceva che quella non era l’unica delle sue motivazioni. Perché la figura di Eugéne le aveva sempre offerto riapro e sicurezza in primo luogo dagli sguardi curiosi della sua famiglia e ora non c’era nulla che potesse impedire loro di farle scomode domande, di scavare più a fondo nel suo passato, con il rischio che trovassero qualcosa che sarebbe per sempre dovuto rimanere nascosto, come la sua natura. Ed era forse questa una delle cose che doveva turbare maggiormente Madame Duchamp, insieme al fatto di riuscire a ricordare praticamente nulla del suo passato. Potevo comprendere come dovesse sentirsi, quanto fastidio potesse dare l’idea di non avere un passato. Io non avrei mai voluto perdere il mio, per quanto tragico e doloroso fosse, perchè era stato proprio ciò che avevo vissuto, ciò che era rimasto impresso a fuoco sulla mia pelle e sul mio cuore, ad avermi resa la donna che ero, a darmi il potere che avevo accumulato negli anni insieme alla sete di vendetta nei confronti del genere umano e non avrei mai voluto scordare il volto di Emìl per nessun motivo al mondo perché in certe occasioni era quella l’unica cosa in grado di tenermi salta e vigile.
    Mi premurai di informarla che il cammino che avremmo dovuto intraprendere per ridarle indietro la sua memoria non sarebbe stato semplice, né indolore. La magia aveva sempre un prezzo, qualche volta più tenue, altre più importante, ma ero abbastanza convinta che la donna che avevo di fronte sarebbe stata disposta a pagarlo, qualunque esso fosse, pur di ottenere ciò che voleva, anche se non era di denaro che si parlava. Quello sarebbe stato semplice per lei da ottenere, visto il cognome che ora portava, ma no, con la magia si trattava di ben altro e se ancora non lo sapeva lo avrebbe scoperto molto presto. Un vago sorriso increspò appena le mie labbra quando mi confidò di non essere una persona particolarmente paziente, anche se si rendeva conto che in quel caso avrebbe dovuto cercare di esserlo. Anche io un tempo ero stata una ragazza molto più istintiva, tanto passionale e generosa da non essere in grado di aspettare per ottenere o donare qualcosa, ma il tempio mi aveva insegnato che con la fretta non si poteva ottenere nulla e solo con un attento calcolo si poteva davvero riuscire in un’impresa importante. Le sorrisi, quasi come una madre avrebbe fatto con sua figlia, se solo lei non avesse avuto molti più anni alle spalle di quanti ne avessi io, eppure guardandoci nessuno avrebbe pensato che lei fosse la maggiore. -Non preoccupatevi, non dovrete pazientare invano. – dissi, a quel punto, come se ci fosse stato il bisogno di convincerla delle mie capacità. In una diversa occasione una cosa del genere mi avrebbe offesa, spingendomi forse a dimostrare in una maniera poco idonea quelle che erano le mie capacità, ma il suo era stato da sempre un caso particolare, qualcosa che avevo accettato di seguire con tutte le sue contraddizioni e con tutti i problemi che avrebbe potuto causarmi.
    Osservai con attenzione le reazioni della donna quando entrammo all’interno del mausoleo. Sapevo perfettamente dove Eugéne l’avesse trovata, dato che ero stata io a localizzarla e a dargli quella posizione, eppure mai sino a quel momento mi ero chiesta come si fosse sentita al suo risveglio, nel trovarsi in un luogo che non riconosceva, in una vita di cui non sapeva assolutamente nulla. -Brutti ricordi? – chiesi, senza tuttavia aspettarmi alcuna risposta in cambio, rendendomi conto soltanto poco dopo di quanto infelice la parola ricordi dovesse essere per lei. Anche io avevo subito un processo di risveglio quando quegli stolti mi avevano messa al rogo, convinti che questo sarebbe bastato ad eliminarli, a cancellare la minaccia che loro vedevano nelle streghe. La maledizione che mi aveva tenuta in vita, grazie al patto di sangue stretto insieme all’aiuto di mia figlia, mi avevo permesso di apparire morta, di morire, in un certo senso, e poi risvegliarmi, dopo qualche ora, in un luogo più sicuro dove avevo potuto riprendere le forze soltanto grazie ad un assassinio. Non eravamo poi così diverse in fondo, lei costretta a nutrirsi di sangue per potersi mantenere viva e in forze e io a nutrirmi di morte, in tutte le sue forme. Non fui troppo esaustiva quando accennai ai miei rapporti con il suo defunto marito e non mi dispiacque sentirle dire che, anche se la mia doveva essere sicuramente una storia interessante, non era lì per indagare sul mio passato, cosa che invece era mio compito. Se buona parte delle nobildonne che avevo incontrato durante il mio cammino non si erano verificate altro che delle sciocche oche petulanti che pretendevano di poter ottenere tutto soltanto alzando la voce e mettendo mano alle finanze della propria famiglia, ma lei era molto diversa e non sapevo ancora se questo fosse dovuto al fatto che avesse assunto una carica nobiliare solo a breve o se fin dal principio lei fosse stata profondamente diversa da chiunque altro. Mi sorrise impercettibilmente quando nominai di nuovo Eugène e le spiegai di non sapere molto di quelli che erano i suoi desideri e le sue richieste poiché lui non era stato troppo chiaro e mi disse che lui era sempre stato un uomo dal tocco sin troppo delicato. Al sentire quelle parole fui io a sorridere appena, ritrovando in quella breve descrizione molto di quell’uomo che non avevo più occasione di incontrare da qualche mese. E aggiunse di essere decisamente più diretta di lui, tanto da non volersi perdere in sciocchi preamboli riguardo il percorso che l’aveva portata a diventare Anahita Duchamp perché Eugène me ne aveva già parlato e in qualche modo ero stata io a contribuire a quell’evento. Inclinai appena il capo quando mi disse di sapere che lo avevo aiutato a trovarla, colmando almeno una delle curiosità che avevo sempre avuto sul suo conto. Illuderla di essere stato lui a trovarla senza alcun genere di aiuto sarebbe stato probabilmente un ottimo primo passo per cercare di stregarla davvero, ma mi sembrava una donna troppo intelligente per credere ad una cosa come quella o ad una sciocca casualità. Da quando si era risvegliata non aveva avuto alcuna memoria del suo passato e per quanto la sua identità attuale le piacesse non riusciva comunque a sentirsi sicura con tutte quelle immagini confuse che le tormentavano il sonno e qualche volta anche la veglia. Mi accigliai appena nell’ascoltare quelle parole, cercando di memorizzarle velocemente in modo tale da poter sempre tenere a meno il quadro completo della questione. Il fatto che quelle immagini la tormentassero era un bene, voleva dire che i ricordi erano ancora nella sua mente, anche se accuratamente protetti dato che mi rivelò di provare un dolore lancinante ogni volta che quelle immagini la assalivano, impedendole di ricordarle con chiarezza. C’era qualcosa di strano in quella faccenda, qualcosa di assolutamente non naturale in quel dolore che si scatenava il lei che mi faceva pensare che dovesse esserci qualcosa dietro la sua perdita di memoria, qualcosa che con molte probabilità era legata alla magia. -E’ un bene che queste immagini cerchino di tornare a galla, vuol dire che qualunque cosa le abbia nascoste non le ha però cancellate, in quel caso recuperare i vostri ricordi sarebbe stato ben più difficile. – dissi, iniziando a dare una mia prima impressione su quella faccenda senza tuttavia sbilanciarmi troppo, perché sebbene quella era una situazione migliore di quella che le avevo detto, non voleva comunque dire che fosse la più semplice e ci sarebbe stato da lavorare.
    Mi feci di nuovo più attenta quando estrasse un taccuino dal suo mantello, dicendomi che lì dentro si trovava tutto ciò che Eugène era riuscito a trovare sul suo passato: alcune date, dei nomi che potevano essere collegati a lei, passaggi di proprietà e persino alcune leggende e anche la bozza di un ritratto; cose che aveva avuto modo di raccogliere per lei in quegli anni ma che ora come ora non le erano di nessuna utilità e che sperava potessero invece aiutare me nel mio lavoro. Parlava come se avesse intenzione di affidarmelo, eppure non lo fece, non subito, sollevando di nuovo il volto per poter incrociare i miei occhi e fissarli con una certa serietà mentre mi diceva che si sentiva costretta a chiedermi assoluta segretezza riguardo quella faccenda e che sarebbe stata disposta a ricompensarmi in maniera adeguata ogni volta che fossi riuscita a farle fare dei passi avanti in quella sua ricerca. -Nessuno verrà a sapere del vostro passato e di voi a meno che non siate voi stessa a rivelarlo. – dissi, per tutta risposta, lasciandole intendere che io non avrei emesso un solo fiato a riguardo, anche perché se la cosa poteva essere importante per lei, perché venire esposta avrebbe potuto condannarla a morte o ad una fine persino peggiore, io necessitavo che le cose si mantenessero stabili per ottenere da lei ciò di cui avevo bisogno. Perché se avevo inizialmente accettato per il legame che con il tempo avevo stretto con suo marito, questo non voleva dire che avrei agito senza ottenere una minima ricompensa. Tutto aveva un prezzo, anche il mio tempo e le mie abilità e non mi ero stupita di sentirle dire che era disposta a retribuirmi in maniera adeguata se fossi riuscita a darle ciò che voleva.
    Afferrai il taccuino con sicurezza quando mi chiese con quel gesto se si era rivolta alla persona giusta e le rivolsi l’accenno di un sorriso serio e forse fin troppo oscuro. -Potrei dirvi di si in questo momento, ma immagino che non mi credereste sulla parola, lascerò che siate voi a darmi questa risposta tra qualche tempo. – dissi, stringendo il taccuino tra le mani, senza tuttavia ancora aprirlo. Pazienza, era questo che serviva, come già le avevo accennato. -Avete mai provato a tornare nel luogo in cui vi siete risvegliata? – chiesi, senza lasciarmi andare a preamboli inutili dato che nessuna delle sue sembrava amare particolarmente le perdite di tempo. -Spero che lo ricordiate perché è da lì che dovremmo cominciare. Ritengo che rivivere il vostro primo ricordo sia fondamentale per cercare di recuperare il modo in cui siate arrivate lì, che sarebbe già un ottimo inizio per capire qualcosa sul vostro conto. – continuai, iniziando a renderle chiare quelle che erano le mie idee, lasciandole poi qualche momento per commentare e dirmi se aveva qualche genere di obiezione da fare. -Studierò con attenzione il contenuto di questo taccuino e cercherò di rintracciare almeno alcuni dei nomi che mi avete detto esserci, per capire dove possono trovarsi e se queste persone sono ancora vive. – dissi ancora, spiegandole almeno che cosa avevo intenzione di fare con quel taccuino così che anche lei potesse farsi un’idra più chiara di quali erano i miei metodi e di come avrei portato avanti la cosa. -A meno a mano che troveremo dei luoghi legati al vostro passato sarebbe opportuno che ci recassimo lì, affinchè siate più connessa a quel luogo e possa quindi essere più semplice cercare di estrapolare determinati ricordi dalla vostra mente, non sarà semplice e non sarà piacevole, ve lo ripeto. – dissi, senza mai abbandonare la rigida serietà che avvolgeva la mia persona ormai da decenni, senza abbandonarmi mai. -Voi avete qualche altra idea? Qualche pensiero che potrebbe essere utile per la nostra ricerca? – chiesi, invitandola a dirmi qualunque cosa, anche ciò che poteva ritenere più sciocco e futile perché ogni cosa poteva essere fondamentale all’inizio, anche ciò che lei poteva ritenere essere del tutto inutile ed era bene che io lo sapessi. Sarebbe stata costretta a fidarsi di me e avrebbe dovuto imparare a convivere con la mia presenza se voleva davvero recuperare la sua memoria nel minor tempo possibile.


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    WHAT HAPPENED TO THE SOUL THAT YOU USED TO BE?
    Se per salvare le apparenze ci premuravamo di apparire come una coppia felice ed innamorata, in realtà il rapporto con mio marito era sempre stato “particolare”, spesso indefinibile e complicato persino ai miei occhi. Dietro le porte chiuse, protetti dalla sfarzosa ricchezza delle residenze dei Duchamp, avevamo avuto i nostri momenti di tensione; al principio a causa della mia diffidenza nei suoi confronti – mi riusciva difficile credere alle sue parole, al suo sincero interessamento nei confronti del mio benestare quando non ricordavo nulla su me stessa, né sapevo quali forze erano in gioco nell’epoca in cui mi ero risvegliata – poi per le pressioni a cui eravamo sottoposti dall’esterno, che mi facevano provare il bisogno di avere ogni singolo dettaglio sotto controllo proprio quando, per un crudele scherzo del destino, tutto sfuggiva al mio rigore come sabbia tra le dita. A dispetto delle difficoltà iniziali eravamo stati quasi felici, per quanto tale definizione fosse da interpretare in modo tutt’altro che letterale. Apprezzabile, forse, è l’aggettivo migliore per descrivere complessivamente la vita che avevo condiviso con Eugéne. A modo nostro avevamo creato un legame profondo e indissolubile: come marito e moglie, amanti e complici, spesso alimentato dalla passione e reso indissolubile dalla consapevolezza che avevamo l’uno bisogno dell’altra. Io, per la mia sopravvivenza. Lui, per liberarsi dell’utile ma limitante influenza familiare e rendersi ancora più apprezzabile agli occhi della corte e della famiglia reale grazie alla sua bella e carismatica moglie.
    Sebbene non mi piacesse ammetterlo, solo quando il suo appoggio era venuto meno mi ero resa veramente conto di quanto fossi sola. Nonostante portassi il suo cognome e la mia persona fosse abbastanza conosciuta e benvoluta da ispirare una solidale compassione, al momento della sua scomparsa i miei legami con i familiari di Eugéne erano ancora troppo acerbi e sottili per poterli considerare un porto sicuro. Tra tutti, essendo i più vicini, erano forse coloro che avevo temuto di più e, se con il passare dei mesi avevo iniziato a conoscerli meglio, fingendomi assai grata della loro affettuosa presenza, ancora ero ben lontana da poterli considerare anche solo degli alleati. Non sapevo se si trattasse unicamente della mia paranoia ma percepivo spesso il loro sguardo su di me ed ero consapevole che, se avessi commesso qualche passo falso, sarebbero stati i primi a notarlo. Non avevo mai decifrato sino in fondo l’intensità del singolo legame di ognuno di loro con il mio compianto marito, e proprio per questo non sapevo di chi potermi fidare, se potessi rivelare la mia vera identità a qualcuno di loro e trarne protezione, anche attraverso un accordo. In caso di necessità avrei persino accettato di sposare qualcuno di loro gradimento, addirittura uno dei suoi fratelli se ciò fosse stato indispensabile a preservare la mia incolumità. Purtroppo però, Eugéne era sempre stato piuttosto riservato – alle volte persino troppo, come la stessa Madame Hargreave sapeva – e la sua impeccabile finezza mi si stava rivoltando contro. Per questo necessitavo la mia memoria ora più che mai – ed ero disposta a sopportare qualunque dolore e pagare un caro prezzo per riappropriarmene. Ciò che invece mi risultava difficile era attendere – restare con le mani in mano, fidandomi della donna che avevo di fronte – ma avrei cercato di placare la mia impazienza, distraendomi con tutto ciò che potesse aiutarmi a mantenere una favorevole opinione pubblica e, nel privato della mia dimora, tentando di decifrare i sogni confusi che mi tormentavano nel sonno.
    Annuii appena con il capo, unicamente per fornirle la certezza che l’avevo sentita, e mi decisi ad entrare nel mausoleo, sforzandomi di non mostrare il mio disagio. L’esperienza del risveglio nella cripta era il primo ricordo di cui disponevo ancor prima di incontrare Eugéne e scoprire quei futili e scarsi dati anagrafici sulla mia presunta identità. Rappresentava una memoria ancora viva, recente, intrisa di stordimento, confusione e una vaga sensazione di inspiegabile terrore. Quasi automaticamente, spostai lo sguardo sulla strega, annuendo appena. Mentire non avrebbe avuto senso, soprattutto poiché ero certa che fosse a conoscenza di molte cose che mi riguardavano, forse persino più di quante mi fossero state rivelate da Eugéne. Dovevo potermi fidare di Lilith Hargreave, e perdere tempo con stupidi ed infantili giochini d’orgoglio sarebbe stato solo controproducente. «Ne possiedo assai pochi di sinceramente felici.» Ammisi, inclinando leggermente il capo con un barlume di amarezza. Non possedevo un carattere particolarmente malinconico e dedito all’autocommiserazione - perdere tempo ad indulgere sulla gravità delle mie disgrazie mi era estraneo, preferivo di gran lunga reagire, tentare di porre rimedio a ciò che si stava ponendo d’ostacolo tra me ed un’esistenza sicura – eppure ciò che avevo detto corrispondeva alla realtà: della mia vita con Eugéne serbavo ricordi piacevoli, ma non felici. Non ancora, almeno.
    Come in tante altre cose – persino troppe, purtroppo – non mi era stato possibile scoprire quale fosse la reale natura del rapporto di Eugéne con Madame Hargreave, ma solo una persona incredibilmente sciocca ed ottusa, categoria a cui ero certa di non appartenere, non si sarebbe interrogata sulla possibilità che quella strega, decisamente più potente di quanto lasciasse trasparire, dovesse essergli stata di notevole aiuto nel trovare il luogo in cui ero rinchiusa. La donna che mi stava di fronte era potente e, sebbene io non fossi dotata di quel tipo di abilità, riuscivo comunque a percepire, seppur assai lievemente, le vibrazione che sprigionava come una leggera carezza simile a uno spiffero che al suo passaggio, ne ero certa, doveva aver fatto rabbrividire incomprensibilmente più di una persona comune totalmente ignara della sua presenza. Fu inevitabile per me iniziare a provare una sorta di pacifica curiosità nei suoi confronti: una donna del genere doveva aver vissuto una vita tutt’altro che banale e, data l’intelligenza che riuscivo a scorgere nei suoi occhi e riscontravo nelle sue parole, ero sicura che avrei potuto scoprire di avere con lei delle affinità assai più profonde di quelle che già percepivo superficialmente. Madame Hargreave mi piace e se il suo aiuto si fosse rivelato davvero prezioso e la mia simpatia si fosse rivelata corrisposta, quell’incontro avrebbe potuto essere il preambolo di una conoscenza vantaggiosa per entrambe. Il regno dei Lancaster era instabile e pericoloso, Londra era piena di ribelli e traditori, essere inetti disposti a sacrificare chiunque per salvare le loro miserabili vite – io sapevo di essere una preda ambita, la mia natura sapeva essere una vera e propria maledizione, ma anche le capacità di Madame Hargreave avrebbero fatto gola a molti. Il sovrano in primis.
    Il nostro discorso si allontanò dal suo passato per ritornare al’oscurità del mio, in particolare alle ricerche condotte da Eugéne, a quanto differenti fossero i nostri caratteri – e la nostra pazienza – e agli scarsi progressi che avevo fatto sul recuperare frammenti di me stessa. Sognavo sprazzi di ricordi, talvolta li rivedevo anche da sveglia, ma mi era impossibile distinguerli e comprenderli.
    Ascoltai le parole della strega ed annuii impercettibilmente, anche se quella consapevolezza mi rincuorava ben poco. Il fatto che fossero ancora presenti era un bene, ma il non riuscire a controllare la mia stessa mente mi snervava. Se mai fossi riuscita a scoprire chi o cosa mi aveva ridotta in quelle condizioni, avrei impiegato ogni singola risorsa per ricambiare il favore. «Una misera consolazione. Eppure si tratta pur sempre di un punto di partenza.» Replicai, intenzionata a lasciarle intendere che, a dispetto della mia frustrazione, apprezzavo il suo aiuto. Risultare cinica sarebbe stato unicamente controproducente.
    Sfilai il taccuino dal mantello e lo allungai nella sua direzione, senza però porgerglielo. Ciò che vi era contenuto non mi era stato di aiuto ma forse avrebbe potuto esserlo per lei. Sapevo poco di magia, ma abbastanza da sapere che le streghe potevano fare cose straordinarie con il solo uso di nomi ed oggetti. Un lieve sorriso si sprigionò sulle mie labbra quando confermò la segretezza del nostro accordo e le porsi il taccuino, notando con quale sicurezza lo prese tra le mani. Incontrai il suo sguardo, senza smettere di sfoggiare una vaga espressione soddisfatta. «Sarò ben felice di avere questo compito, allora.» Replicai. Iniziavo a capire perché Eugéne si fosse affidato a lei. Era sicura di sé stessa, delle proprie capacità e dei propri poteri. Per certi versi avrebbe potuto apparire stolta, ma qualcosa in lei denotava una notevole saggezza e la comprensione di quanto l’accortezza fosse importnte. Da quando mi ero risvegliata avevo riconosciuto quelle qualità in pochissime persone.
    Scossi leggermente il capo alla sua prima domanda. «No. Dover uscire di lì da sola non è stata una bella esperienza.» Ammisi, ricordando come solo l’istinto mi avesse permesso di procedere al buio in un luogo sconosciuto, avvertendo flebile in lontananza l’odore di pioggia e terriccio bagnato; il temporale era stato la mia salvezza. Il mio sorriso sbiadì appena quando mi comunicò che sarebbe stato necessario incominciare dalla cripta e, soprattutto, che avrei dovuto rivivere il mio primo ricordo. Non ne ero entusiasta e sapevo che il mio volto avrebbe rivelato i miei pensieri. «Capisco. Non posso dire di esserne entusiasta ma sono disposta a fare ciò che è necessario. Solo… credo che non sarà semplice trovarne l’entrata. Io mi sono fatta largo attraverso un muro cedevole, ma non so quale sia la pianta della cripta, quante stanze vi siano né il percorso che ho compiuto per uscirne. Non ero propriamente… lucida, in quel momento.» Le dissi, ricordando che la cripta sembrava essere incredibilmente antica e piuttosto pericolante. Per quanto ne sapevo poteva estendersi persino sottoterra, con cunicoli e camere nascoste. «Spero abbiate più fortuna di noi. Le nostre ricerche sono state piuttosto inconcludenti… immagino che se qualcuno sia ancora in vita non si trovi più dove io ed Eugéne abbiamo cercato, oppure abbia avuto motivo di cambiare identità.» Le dissi, ricordando quanto poco avessimo scoperto grazie a quei nomi. Il mondo doveva essere cambiato notevolmente da quando mi ero ritrovata nella cripta e, probabilmente, le mie vecchie conoscenze non ne erano rimaste immuni. Mantenni il mio sguardo fisso nel suo quando mi ripetè che non sarebbe stato semplice né piacevole. «Il dolore non mi spaventa.» Le assicurai, senza alcuna esitazione. Ero decisa ad andare sino in fondo. Si trattava di me stessa. Del mio passato. Della mia identità. E, più di tutto, della mia attuale incolumità.
    Mi presi qualche istante per pensare quando Madame Hargreave mi domandò se mi venisse in mente altro che potrebbe essere utile. Esitai per qualche istante, domandandomi se un simile dettaglio fosse futile o meno, infine decisi di parlare. Non potevo rischiare di complicare ulteriormente le cose per una simile piccolezza. «Quando mi sono svegliata, oltre al buio… c’era un forte odore di muffa. E di cera. Era così intenso da risultare quasi nauseante, come se quella camera fosse stata sigillata con dentro delle candele ancora accese. Dubito che qualcuno vi abbia messo piede dopo di me, data la sua antichità e le difficoltà che ho avuto ad uscire non deve essere molto frequentato. Né conosciuto.» Spiegai, non sapendo se quel ricordo potesse esserle d’aiuto. Si trattava per lo più di mere supposizioni personali, tuttavia quelle rovine mi trasmettevano una sensazione sinistra ed inquietante che non ero ancora riuscita a dimenticare. Non sapevo se si trattasse unicamente di una mia percezione – forse mi stavo lasciando influenzare dal mio risveglio – o se avesse a che fare con altri eventi accaduti lì, ma forse Madame Hargreave sarebbe stata in grado di scoprirlo.

    anahita l. duchamp

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    Lilith C. Hargreave» witch
    Il mondo era cambiato molto negli ultimi tempi, le forze in gioco erano mutate e con esse i protagonisti delle sorti del mondo. Se prima gli umani erano stati convinti di essere gli unici esseri senzienti a popolare la Terra, con il tempo si erano dovuti ricredere e avevano compreso che il predominio non sarebbe più stato qualcosa di scontato. I vampiri avevano scelto di uscire dalle proprie tane, di abbandonare le ombre in cui si erano celati per secoli e di imprimere la propria personale cifra nella conquista del mondo. Molte cose erano cambiate da quella grande guerra, mentre altre erano inesorabilmente rimaste immutate, come l’odio per chi era più diverso e per questo considerato maggiormente pericoloso. Le streghe e gli stregoni, un tempo creduti solo delle leggende, erano stati costretti a piegare il capo di fronte ai nuovi signori del mondo, ad accettare di assecondare i loro voleri, e molti lo avevano fatto, sperando in questo modo di poter continuare a vivere una vita serena. Non erano che degli sciocchi illusi ovviamente, uomini e donne che non comprendevano il vero valore del proprio potere e ciò che sarebbe stata in grado di fare la nostra razza se soltanto avessimo avuto il coraggio di osare. E se in un primo momento avevo pensato di tentare, era stato presto chiaro ai miei occhi che avrei soltanto perso una parte del mio prezioso tempo e che per me era molto più sicuro e conveniente continuare a celarmi nell’ombra, senza dare troppo nell’occhio. Una strega comune sarebbe passata abbastanza inosservata, ma non un’ibrida, e questo Miss Duchamp lo doveva sapere più che bene, dato che questa era un’altra delle cose che non erano affatto cambiate negli anni. I vampiri avevano sempre temuto il frutto del loro amore con i loro più storici nemici e avrebbero fatto di tutto pur di distruggerlo, senza neanche provare a valutare la cosa. il suo legame con Eugéne era stato un porto sicuro, perché il suo status la metteva al sicuro e lontana da occhi troppo indiscreti, ma ora che era divenuta una vedova, ora che qualcuno avrebbe di nuovo potuto ritenerla appetibile, non sarebbe più stato così semplice nascondere la propria natura, soprattutto senza avere ricordi del proprio passato, senza sapere se ci fosse ancora qualcuno che la stava aspettando, o che sapeva il suo segreto e che per questo potesse volerla distruggere.
    Per questo discutere di certi argomenti in un pubblico, sebbene ci trovassimo in un cimitero, non sarebbe stata una buona idea. Quelli erano luoghi poco frequentati di solito, ma non si poteva mai sapere chi fossero le persone che si attardavano su una tomba, né se fosse genuino ciò che mostravano nei riguardi di un defunto. Per quanto potessimo saperlo poteva trattarsi di spie che si recavano in quei luoghi solo per ascoltare le conversazioni degli altri e che non avevano idea di chi fossero le persone a cui appartenevano i nomi sulle lapidi a cui fingevano di fare visita. E poi c’erano sempre i mutaforma, quelle creature in grado di tramutarsi in qualunque animale o persona che erano in quel caso forse una tra le cose più pericolose. La invitai quindi a seguirmi all’interno di una cripta dove, con l’aiuto della mia magia, avrei potuto celare i nostri discorsi a chiunque. Non era difficile comprendere che l’idea di entrare di nuovo in un luogo come quello non le andasse troppo a genio, ma si mostrò abbastanza risoluta nel voler procedere comunque, sembrava disposta ad affrontare qualunque cosa pur di portare a termine il suo obbiettivo e questa era una cosa che apprezzavo nelle persone, soprattutto in quelle con cui avrei dovuto collaborare e condividere il mio tempo. Mi confidò di non avere molti ricordi felici e le mie labbra si incurvarono appena a quel punto perché anche io probabilmente se fossi stata chiamata in causa avrei dato una risposta simile alla sua. Lei non poteva sapere se nel suo passato ci fosse qualcosa di felice, io invece lo sapevo, ma quel periodo era stato troppo breve per potermi impedire di provare un certo rimpianto. Non amavo parlare molto di me stessa e del mio passato, di tutto ciò che avevo perduto e di ciò che ancora cercavo di recuperare, in qualche modo. Amavo mia figlia più di qualunque cosa al mondo eppure proprio per questo non potevo acconsentire alla sua richiesta. Voleva che rinunciassi alle nostre vite, che lasciassi che il mio corpo divenisse cenere, come avrebbe dovuto fare tanti decenni prima e che anche la sua vita finisse, solo perché non era disposta a sopportare il peso di quella magia, ma io non avrei lasciato che morisse, non avrei permesso a niente e nessuno di portarmi via anche lei, anche a costo di dover vivere per il resto dei suoi giorni con il suo odio.
    Ma non era il momento di lasciarsi andare a simili pensieri e per questo mi concentrai completamente sui racconti di Miss Duchamp, in particolare su ciò che mi disse riguardo ai suoi sogni perché questo poteva essere uno spiraglio di luce nella tenebre della sua mente. Era evidente che a lei quello sembrasse ben poco, nulla di troppo rivelante dato che comunque quei sogni non erano in grado di darle delle risposte, ma avrebbe capito con il tempo che quelli potevano essere la chiave di tutto, che avremmo anche potuto con il tempo scegliere di forzarli per permetterle di ricordare quanto più possibile, ma non era ancora il momento. Se lo avessimo fatto ora, senza tentare prima altre strade, la sua mente ne sarebbe potuta uscire danneggiata, o avrebbe potuto chiudersi in maniera ancora più serrata e allora ogni sforzo fatto sino a quel momento sarebbe stato completamente inutile. La magia necessitava del suo tempo e se era stata una magia a turbare la sua mente, come alcuni elementi mi davano da pensare, allora non potevamo permetterci di commettere alcun errore. La natura di ogni magia andava compresa a fondo prima di poter agire contro di essa. Avrebbe dovuto attendere e ormai doveva averlo compreso, ma sembrò comunque apprezzare il fatto che sembrassimo aver preso una strada che avrebbe potuto condurci alla soluzione del problema. Il suo compito non sarebbe stato semplice, né privo di dolore, ma mostrò immediatamente una forza fuori dal comune nell’accettare senza alcun compromesso pur di riuscire a giungere a destinazione. Tornare in quel luogo non le avrebbe certo dato dei ricordi felici, ma forse avrebbe potuto permetterci di comprendere, scavando più a fondo, come avesse fatto a finire lì. -Se è rimasta qualche traccia di chi vi ha portato lì o di come vi siate giunta, tornare in quel luogo è l’unico modo per trovarla. – spiegai quindi, cercando di essere più chiara su quello che avremmo fatto in quel luogo, dato che tenerla all’oscuro non sarebbe servito a molto, se non a renderla più restia a collaborare e allora quell’accordo non sarebbe sicuramente andato a buon fine. Mi disse che trovare l’entrata sarebbe potuto essere un problema dato che lei si era fatta largo tra muri in rovina e non ricordava esattamente la strada che aveva seguito per raggiungere l’uscita dalla stanza in cui si era risvegliata. -Oh non temete, troveremo un modo affinchè tutto vi sia più chiaro, a tempo debito, se sarà necessario. – dissi, lasciandole intendere che avrei fatto davvero ogni cosa in mio potere per mantenere fede alla parola data, anche a costo di ricorrere immediatamente alla mia magia su di lei e doveva esserle chiaro senza bisogno di ulteriori spiegazioni che la cosa non sarebbe stata piacevole. Ma sembrava comunque che Miss Duchamp non fosse una donna che si lasciava spaventare molto facilmente.
    Avrei analizzato il taccuino che mi aveva affidato in ogni dettaglio e di sfruttare le mie conoscenze sparse per il mondo per cercare di trovare nomi o luoghi che potevano trovarsi al loro interno, anche se questo avrebbe potuto voler dire che mi sarei dovuta allontanare da Londra per qualche tempo. Alcune faccende erano troppo importanti per poter essere affidate a delle lettere che chiunque avrebbe potuto intercettare. La ascoltai con più interesse quando mi disse che le persone contenute in quel taccuino sembravano non trovarsi più dove avrebbero dovuto o che forse avevano trovato un modo di cambiare identità. -Nessuno può nascondersi per sempre Miss Duchamp, se quelle persone sono vive verranno trovate. – dissi, senza preoccuparmi di nascondere la possibilità che quelle persone potessero anche essere già morte. Era bene che sapesse che quella ricerca avrebbe anche potuto portarla ad una solitudine ben più nera di quella che credeva di vivere e doveva essere preparata anche a questo genere di evenienza. Poteva anche scoprire che chiunque lei avesse conosciuto nel passato, chiunque avesse avuto un sincero legame con lei, potesse già essere scomparso, senza alcuna possibilità di essere riportato indietro. Anche le creature come lei potevano essere uccise, e se lei era stata resa incapace di agire in quel mondo, qualcun altro poteva aver incontrato un destino simile al suo, o forse anche peggiore. Le chiesi di dirmi qualunque cosa potesse venirle in mente e mi disse di ricordare un forte odore di muffa all’interno della cripta, e di cera, il che non fece che rendere più probabile la mia teoria, probabilmente qualunque cosa le fosse successa doveva essere stata causata dalla magia. Inarcai quindi appena il sopracciglio, concentrandomi su quel dettaglio, mentre mi diceva che probabilmente nessuno era stato lì dentro durante il suo sonno dato che il posto sembrava essere andato in rovina e io annuii, perché anche questa era una buona notizia. -Sono abbastanza convinta che sia stata una magia a privarvi della vostra memoria, anche se ancora non ho un’idea chiara su che tipo di incantesimo potrebbe essere stato, probabilmente potrò darvi maggiori notizie quando saremo in quel luogo. – dissi, con cautela, tenendo lo sguardo dritto nel suo. tenerla all’oscuro di ogni cosa non sarebbe servito, ma neanche false speranze. -Ma non potrò trarre molte notizie se l’incantesimo non è stato compiuto in quel luogo, quindi potrebbe anche essere un vicolo cieco, sotto certi aspetti. – continuai, mettendola in guardia. Doveva capire che poteva essere importante, ma anche un fiasco totale e in nessuno dei casi avrebbe dovuto perdere la pazienza. -Faremo questo viaggio molto presto, nel frattempo cercate di prestare attenzione ad ogni dettaglio, anche il più piccolo e appuntatelo da qualche parte perché possiate ricordarlo. – continuai, senza preoccuparmi di specificarle che avrebbe dovuto tenere qualunque taccuino avesse usato per quegli appunti in gran segreto, così come aveva fatto con quello che mi aveva appena ceduto. -Se doveste avere altri sprazzi di ricordi cercate di metterli a fuoco quanto più possibile e di annotare anche questi, potreste scoprire con il tempo di riuscire a vedere le cose con maggiore chiarezza, per quanto doloroso. – continuai, mantenendo ancora lo sguardo su di lei nel darle quelle indicazioni. In quel momento lei era l’unica vera fonte di notizie che possedessimo e avrebbe dovuto fare del suo meglio per tirare fuori tutto il possibile da se stessa. -C’è qualcosa che volete chiedermi? Qualcosa che non vi è chiaro? – chiesi, infine, ammorbidendo appena il tono nel porle quelle domande.


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