How to save a life

x Amanda

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    LOGAN FARRELL » licantropo
    Molti temevano il lupo, molti temevano quegli animali che correvano liberi durante certi periodi dell'anno. Parevano essere più impauriti da loro che dalla guerra che si stava consumando davanti ai loro occhi, alcuni addirittura li cacciavano, come se questo potesse allontanare il male apparente che sembravano portarsi dietro. Eppure, nonostante tutto, i lupi non erano esseri nocivi: vivevano in simbiosi con la natura, l'amavano e la rispettavano e se facevano azioni considerate dai più come deplorevoli era solo per necessità. I lupi non uccidevano per instaurare una monarchia assoluta: i lupi avevano i propri territori da rispettare e chi veniva meno a questa regola era sottoposto a dure lezioni. Non per questo, però, li si doveva considerare inferiori o senza cuore. C'erano ben altri individui dai quali guardarsi ed essi coincidevano coi Vampiri, quegli odiosi esseri pronti a versare anche il sangue dei loro stessi famigliari, col solo intento di mandare avanti loro stessi. I Vampiri avevano solo una gerarchia apparente, non vivevano in branco, non si supportavano realmente a vicenda come facevano i Licantropi: uccidevano a priori, alle volte senza nemmeno una scusante valida. Agivano non d'istinto, ma solo ed esclusivamente perchè desideravano farlo, di punto in bianco. I lupi non erano così – io non ero così. Noi avevamo una gerarchia da rispettare e non venivamo mai alle regole che ci eravamo prefissi. Avevamo sofferto, come tutta la popolazione normale, di fronte al massacro che si era consumato dinnanzi ai nostri occhi settimane prima. Avevo visto combattere fratelli contro fratelli, amici contro amici: i legami umani si erano dissolti in un batter d'occhio e, ancora una volta, avevo visto perire ragazzi coi quali mi ero precedentemente intrattenuto e coi quali avevo riso, divertito dalla fugacità della vita. Avevo comunicato alle loro famiglie che non li avrebbero più abbracciati, che il loro odore sarebbe divenuto solo un ricordo. Ci eravamo ridotti a essere i brandelli di noi stessi. Per cosa, poi? Per avere più terra? Denaro? Amicizie influenti? Davvero erano quelli i valori considerati più importanti nella nostra società? Scossi il capo scuro, tentando di distogliere dalla mia mente, quei pensieri e, infine, sentii quella sensazione indescrivibile corrermi dentro la pelle, scivolarmi contro le ossa. Ci fu uno scricchiolio incontrollato, un suono che avrebbe fatto accapponare la pelle a tanti, ma al quale io ero abituato. Fu un sorriso flebile, quello a cui mi lasciai andare, prima che il lupo si risvegliasse dentro di me.

    L'animale correva veloce, fendendo l'aria. La lingua rosea era penzoloni, segno evidente del fatto che il lupo stesse correndo in maniera abbastanza sostenuta. Il manto scuro rifletteva i raggi lunari, dando colorazioni bluastre lungo tutto il corpo dell'animale. Era agile, scattante, molto asciutto nel complesso ma ben allenato: i muscoli di tutti gli altri – anteriori e posteriori – erano visibilmente sviluppati, segno di una vita passata a correre, a scattare, nel tentativo di sopravvivere e di sfuggire al nemico. Era proprio dal nemico che l'animale stava fuggendo: un Umano, il cui odore carico di sudore e alcol impregnava ancora l'aria. Quello non era un nemico comune: quello era un Cacciatore, un essere dal quale qualunque animale avrebbe dovuto tenersi alla larga. Si era ripromesso che avrebbe ucciso quel lupo, quell'animalaccio che da svariate lune scivolava accanto al territorio di casa sua, senza però oltrepassare i confini. L'uomo era convinto di essere nel giusto: doveva finire quell'abominio, prima che sterminasse il suo pollame e potesse fare del male alla moglie e alla figlioletta di due anni e mezzo. Non gli importava se fosse stato realmente un Licantropo o un comunissimo lupo: lui, d'altronde, era un Cacciatore dilettante che si era fregiato di tale titolo solo per acquistare un poco di fama, qualche denaro in più e una vaga notorietà che, secondo lui, non avrebbe mai guastato troppo. Inseguiva dunque quel povero animale, con una balestra nelle mani e svariati coltelli legati attorno alla vita, sistemati in quelle scavature appositamente create nella cintura che indossava. Aveva cercato di puntarlo più volte, eppure i colpi non erano mai andati a segno: nemmeno l'avevano sfiorato. Frustrato, continuava a stare dietro al lupo, il quale agognava alla libertà più assoluta, ringhiando e ululando di tanto in tanto, come a dare segno di essere vivo ancora, come a tentare di farsi aiutare da qualche fratello sparso qui e là. Le zampe affondavano nel terreno, lo plasmavano, mentre il cuore continuava a pompare anche troppo sangue all'interno del corpo dell'animale: era provato, era quasi stanco, perchè quel mordi e fuggi andava avanti da troppo tempo. Aveva saltato molti ostacoli, si era nascosto con la vana speranza di lasciar perdere le tracce al proprio inseguitore, ma egli era caparbio e l'animale lo sapeva, lo percepiva. Quell'uomo non aveva paura, ma aveva sete di vendetta, desiderava ardentemente porre fino a quel combattimento e vincere, totalmente, anche e soprattutto giocando sporco. Gli animali potevano percepire tutte quelle caratteristiche e quel lupo non era da meno, anche perchè con quell'uomo condivideva in parte la natura: quel lupo era per la maggior parte del suo tempo un semplice umano e dunque capiva come essi ragionavano. Aveva, però, quella marcia in più che gli aveva concesso di sopravvivere più e più volta a svariati incontri, a battaglie tutte diverse le une dalle altre. Quello era un lupo scaltro, che anche durante la sua forma più animalesca era in grado di utilizzare al meglio la propria mente, era in grado di capire la situazione e agire di conseguenza. Non era un giovincello inesperto e sapeva che da quella fuga sarebbe dipesa la sua sopravvivenza; già un paio di volte il Cacciatore aveva lanciato una nuvola di fumo che era stata ricavata dallo strozzalupo, un'erba in grado di far caracollare e perdere, nella peggiore delle ipotesi, i sensi agli animali. Lo aveva fatto senza nemmeno sapere se colui che stava inseguendo fosse realmente un licantropo oppure no, ma la cosa pareva non averlo sfiorato minimamente. Tanto valeva provare, si era detto l'uomo. Stavano dunque correndo, inseguendosi e scappando l'uno all'altro, nel tentativo di prevaricare il nemico. Quella era una lotta per la vita e contro la morte stessa, una danza macabra che, nella peggiore delle fini, sarebbe coincisa con la perdita del respiro di uno dei due. Il lupo correva, sempre più veloce, gli occhi che fendevano l'ambiente circostante, l'olfatto che non smetteva di fiutarsi attorno, percependo l'uomo che caparbiamente continuava a inseguirlo. Scivolava nella notte, scattante e agile come se fosse da sempre vissuto lì, ma non vide quella maledetta trappola che gli si chiuse sulla zampa anteriore sinistra. Il dolore fu acuto, lancinante, e costrinse l'animale a cadere col muso all'ingiù, un guaito di disperazione e male fisico che si ampliò nell'aria. Tento di rialzarsi, sentendo l'odore del suo stesso sangue spargersi ovunque e i denti della trappola mordere in maniera crudele e disonesta la sua zampa, ma fu tutto inutile. La presa era ferrea e, poco distante, avvertì il nemico ridere di gusto. Ti ho preso, fott*tissimo bastardo! aveva detto l'uomo, avvicinandosi sempre di più alla vittima. Il lupo dunque si accasciò per terra, chinando le orecchie e fingendosi stordito da quella trappola. Il respiro era accelerato, il dolore lancinante, ma doveva decidere se morire senza lottare o morire nel tentativo di salvarsi. Optò per quest'ultima opzione e si finse dunque mezzo morto, percependo il Cacciatore oramai molto vicino. Egli arrivò, ridendo sguaiatamente, e lasciò cadere molto poco furbescamente la balestra per terra. I lupi non vincono mai, amico. Starai benissimo come scendiletto. Sei parecchio debole, se sei già mezzo morto così. Beh, meglio per me e peggio per te. rincarò la dose, chinandosi verso l'animale e togliendogli la trappola dalla zampa. Doveva proprio essere alle prime armi, perchè un Cacciatore esperto avrebbe freddato prima di tutto il proprio trofeo. Approfittando di quel momento, dunque, il lupo scattò in avanti col muso, andandogli a mordere il polpaccio sinistro che gli veniva offerto in quel frangente. Sentì il sangue schizzargli dentro le fauci e strinse, strinse ancora, sentendo l'uomo urlare di dolore e colpirlo in testa con un forte pugno. Il lupo guaì, zoppicando e allontanandosi, trovandosi a guaire sonoramente per il dolore alla testa e, soprattutto, alla zampa sanguinante. Ringhiò come se non ci fosse un domani, latrando per la rabbia e l'orrore. Maledetto figlio di p*ttana! Adesso ti faccio vedere io! si ritrovò a urlare il Cacciatore, rialzandosi e zoppicando, perdendo copiosamente sangue dalla ferita scomposta. Non appena afferrò la balestra, il lupo avvertì il pericolo e se ne andò via, scattando fulmineo in avanti, pronto a salvarsi l'esistenza, pronto a sacrificare ancora quel dolore alla zampa pur di sopravvivere. Scattò in avanti, scivolando dietro una radice rialzata, che venne però saltata con qualche difficoltà dall'uomo che stava ricominciando a inseguirlo. Vieni qui, bastardo! continuò a inveire contro di lui, vedendo il lupo sparire e riapparire alla sua vista. Alla fine, si decise a premere il grilletto della balestra e il sibilo della freccia sparì nel nulla. L'animale nel mentre continuava a correre, veloce, sentendo le forze venire sempre meno: la ferita pulsava e la testa gli girava per via della botta subita in precedenza, ma non si fermò. Fu quando un dolore lancinante gli arrivò all'altezza della coscia destra che si ritrovò a ruzzolare per terra, a sentirsi il muso graffiato da mille e mille arbusti. Ululò dal dolore e rotolò per una discesa, prendendo svariate botte contro i massi incontrati durante il tragitto. In quella discesa folle, la freccia penetrò con più forza nella carne e si spezzò addirittura, lasciando la parte esterna chissà dove durante il tragitto. Il lupo, sofferente, terminò la sua corsa in una radura, arrancando e lasciando dietro di sé una scia rossastra di dolore. Lo sentiva ovunque, dentro e fuori di sé, ma non riuscì a ululare, non riuscì più a guaire: bisbigliò dal male, ma s'accasciò per terra, sul fianco ancora sano, mentre il terreno si impregnava del suo sangue. Sentiva il respiro lento: gli costava tanta fatica tentare di regolarizzarlo e, a lingua penzoloni sul terreno, chiuse gli occhi. Guaì lentamente, un mormorio appena udibile, e sentì le proprie ossa scricchiolare di nuovo, dandogli un nuovo e rinnovato dolore. Sperava che il Cacciatore non lo trovasse, che lo avesse perso e dunque considerato morto durante la caduta: quella era la sua unica speranza di vita, a patto che non fosse morto per l'emorragia a entrambi gli arti sofferenti. La natura di lupo era tornata umana, ma nessuna delle due anime parve riprendersi. Si sentì solo una lieve imprecazione nel silenzio della notte pronta a divenire giorno, poi più nulla.

    We swam among the northern lights And hid beyond the edge of night And waited for the dawn to come

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    Amanda R. Mondrian » Witch
    Da quanto tempo ormai andava avanti quella guerra che sembrava non avrebbe mai avuto fine? Quanti anni erano passati dalla prima volta che avevamo abbracciato le armi per combattere contro le altre creature, per ritagliarci il nostro spazio nel mondo ed evitare di venire schiacciati dai vampiri, convinti ormai di essere i padroni del mondo? Non ricordavo neanche più con chiarezza la prima volta che avevo conosciuto i ribelli, la prima volta che Will mi aveva portato da loro, di fronte ad un David non molto propenso ad accogliere una strega all’interno del suo gruppo di umani, preoccupato all’idea di dover avere a che fare con altre creature sovrannaturali. Possedere qualcosa di diverso era sempre stato considerato come qualcosa di sfavorevole, la magia era da condannare perché la maggior parte delle persone riteneva che potesse portare solo del male, ma con pazienza ero riuscita a far comprendere a David e con lui anche ad altre persone, che la magia, se utilizzata nel modo corretto, poteva anche fare del bene. Ci avevo messo del tempo a farmi accettare e tutt’ora c’erano alcuni ribelli che storcevano il naso nel vedermi, ma questo non mi aveva fermata. La fiducia era una merce piuttosto rara a Londra di questi tempi e potevo comprendere le perplessità di quelle persone che continuavano a guardarmi come se si aspettassero che da un momento all’altro avrei commesso un passo falso e allora loro si sarebbe potuti sentire finalmente nel giusto, finalmente tranquilli, finalmente sicuri delle proprio doti di osservazione. Credevo nella loro causa, credevo in David e avrei continuato a fare la mia parte in quel mondo, ad impiegare le mie forze e le mie capacità a favore di ciò che ritenevo giusto, ma sapevo che, forse, per qualcuno le cose non sarebbero mai cambiate. Ero uno strega e sarei sempre rimasta tale, perché amavo esserlo e la magia era una parte di me a cui non avrei mai e poi mai rinunciato, una parte che per qualcuno sarebbe sempre stata un problema, una minaccia. Una parte che per me invece era fondamentale, che mi aveva sempre fatto sentire bene con me stessa e della quale non avevo mai avuto paura.
    Scivolai piano fuori dalla mia stanza, camminando lenta, silenziosa, fermandomi per un istante di fronte alla porta di mio fratello, osservandolo dormire per qualche momento con un leggero sorriso sulle labbra. Se l’era vista brutta nell’ultimo scontro, noi tutti lo avevamo fatto, ma ritrovarmelo davanti, dall’altra parte della barricata, era stata forse la cosa più difficile. Mi attardai per qualche altro secondo, trattenendomi dal correre dentro e rannicchiarmi sul suo letto, vicina a lui, stretta a quel fratello che credevo di aver perso per sempre e che ora più che mai invece sentivo di dover difendere con le unghie e con i denti da tutto e tutti. Avevo compreso che non era mai stata sua intenzione ferirmi, né fisicamente né psicologicamente, e che tutto quello che aveva fatto sino a questo momento lo aveva fatto solo per proteggerci e assicurarci che nessuno venisse a chiederci ciò che lui non aveva fatto. Ma le cose erano cambiate ora, aveva deciso di dare alla sua vita una nuova piega, di prendere una decisione drastica e molto pericolosa, e questa volta io non mi sarei tirata indietro, non lo avrei più lasciato solo. Lo guardai un istante ancora, posando piano la mano sullo stipite della porta, per poi dirigermi piano verso la stanza di mia madre, facendovi brevemente capolino con la testa per controllare che stesse dormendo. Osservai il suo volto stanco e ancora preoccupato e mi chiesi che cosa stesse sognando, se fossimo forse io e Nathan i protagonisti di ciò che stava vedendo sotto le palpebre chiuse e se ciò che stava vivendo era un sogno, o forse piuttosto un incubo. Un leggero sospiro e poi mi lasciai indietro anche quella stanza, continuando a muovermi silenziosamente, per evitare di svegliarli e di farli preoccupare. Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria fresca e di raggiungere la foresta prima che il sole fosse troppo alto per cogliere alcune erbe che era più facile notare quando il pallore lunare non era ancora scomparso del tutto. Non era nulla di pericoloso, ma sapevo che, dopo gli ultimi avvenimenti, se mi avessero vista uscire con il buio, si sarebbero certamente preoccupati e avrebbero cercato di accompagnarmi.
    Scivolai fuori dalla porta, lasciando che una brezza leggera mi avvolgesse e facesse svolazzare appena i lembi del mantello scuro che portavo sulle spalle. Chiusi gli occhi per qualche istante, inspirando a pieni polmoni quell’aria fresca e lasciando che mi scivolasse addosso e portasse via con sé alcune delle mie preoccupazioni. Mi incamminai verso la foresta, ancora intenta a bearmi di quella nuova aria fresca, del profumo del bosco che si faceva sempre più vicino e che riusciva a farmi sentire in pace con me stessa come poche altre cose erano in grado di fare. Avevo molti ricordi di quella foresta, ricordi piacevoli che ancora riuscivano a farmi sorridere. Avevo trascorso gran parte della mia infanzia in esso, con mio fratello inizialmente e poi senza di lui, alla ricerca di un luogo tranquillo, in grado di rievocare in me tutto ciò che di bello avevo trascorso, e per me quindi immergermi in esso era quasi come tornare a casa, ancora e ancora. I miei piedi si muovevano veloci e sicuri, senza che neppure avessi il bisogno di riflettere, di decidere qualche direzione prendere, ripercorrendo una strada che conoscevo ormai a memoria, come se non avessi percorso altro che quella per tutta la vita, ritrovando il paesaggio familiare di sempre e quel silenzio dolce e avvolgente, spezzato qua e là dal fruscio delle foglie e dai versi dei gufi, delle civette e degli altri animali che avevano in esso la loro tana. Non temevo la natura, avevo imparato a conoscerla sin da piccola e a riconoscere la gran parte dei suoi rumori, così come sapevo che non c’era nulla di meglio della natura per aiutarmi con la magia e che avrei potuto trovare in lei sempre un’amica e una compagna, in grado di aiutarmi ad uscire anche dalle situazioni più difficili. Mi feci largo tra le fonde degli alberi, spostando delicatamente con la mano qualche ramo per riuscire al oltrepassarli senza strappare il mio mantello nel tentativo o distruggere nulla lungo il mio cammino. Mi guardai attorno, cercando il piccolo cespuglio che avevo intercettato qualche notte prima e che mi ero ripromessa di tornare a controllare appena ne avessi avuto la possibilità, quasi certa che in esso avrei trovato ciò che cercavo. Ricordavo che non si trovava molto lontano dall’inizio della foresta, ci avevo messo solo pochi minuti ad uscire dopo averlo visto, ma non ricordavo l’esatto punto in cui lo avevo intercettato. Doveva trovarsi lì, da qualche parte, dovevo soltanto portare un po’ di pazienza e aguzzare la vista, alla ricerca del brillio argenteo dei suoi fiori. Non era difficile da riconoscere, l’unico problema era che i suoi fiori si aprivano soltanto durante la notte, facendo quasi da specchio alla luna e ai suoi riflessi argentati che tingevano la natura di una luce tutta particolare che sembrava farla brillare di una luce nuova e ancor più radiosa. Qualche altro passo e poi finalmente eccolo lì. Un sorriso vivace tinse le mie labbra e dovetti trattenere un leggero saltello entusiasta nel vedere che ero finalmente riuscita a trovarla e che era proprio lì, dove pensavo di averlo visto l’ultima volta. Affrettai i miei passi, cercando di raggiungerlo il più in fretta possibile, così da poter passare oltre e magari approfittare della situazione per fare una lunga passeggiata nel bosco prima di tornare finalmente a casa. Mi accucciai in ginocchio sul terreno, controllando con cura il cespuglio prima di raccogliere una parte delle sue foglie e dei suoi fiori. Era necessario lasciare sempre il necessario perché potesse rifiorire e perché riuscisse ad alimentarsi, oppure la piantina si sarebbe seccata e questo non avrebbe giovato a nessuno. Studiai con attenzione i germogli, cercando di comprendere quanto tempo ci avrebbe messo quel piccolo cespuglio a ristabilirsi del tutto e quindi quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che qualcuno potesse di nuovo cogliere da lui. Stavo quasi per iniziare a raccogliere un fiore quando una leggera imprecazione catturò la mia attenzione. Schizzai in piedi, cercando di comprendere da dove provenisse, iniziando a muovermi quatta quatta per evitare di essere sentita. Misi un passo dietro l’altro, cercando di intercettare la fonte di quel rumore, fino ad arrivare ad una piccola valle, che sull’altro versante presentava una salita piuttosto ripida, ornata da diversi massi più o meno appuntiti. Aguzzai la vista quando notai qualcuno disteso per terra, cercando di comprendere di chi potesse trattarsi, per poi correre incontro a quel ragazzo quando mi resi conto che si trattava di Logan. -Logan! – bisbigliai, evitando di parlare con voce troppo alta. Sembrava ferito, il che voleva dire che probabilmente qualcuno doveva averlo inseguito fin lì. Lo raggiunsi velocemente, rendendomi conto solo in quel momento che non portasse addosso alcun vestito e arrossii vistosamente per l’imbarazzo prima di togliermi celermente il mantello e coprirlo alla bene e meglio con esso, evitando così ulteriori rossori. Posai il mantello sul suo corpo e solo allora mi resi pienamente conto della gravità delle sue ferite: la mano sinistra sembrava essere stata chiusa in una trappola, mentre sulla coscia destra ancora si poteva notare la metà di una freccia che era penetrata nella sua carne. -Logan, riesci a sentirmi? – chiesi, piano, cercando di incontrare il suo volto. Sentii un uomo in lontananza gridare tutta la sua furia e la sua rassegnazione e sperai con tutte le mie forze che non si dirigesse nella nostra direzione. -Devo estrarre la freccia e fasciarti la gamba il prima possibile, per evitare che la ferita si aggravi ulteriormente. – gli dissi, con decisione, sperando che riuscisse a sentirmi e che fosse in grado di darmi delle risposte, altrimenti non sapevo come avrei fatto ad aiutarlo ad uscire da quella brutta situazione.

    I'm done getting pushed
    around by all of you
    I did it beacause I wanted to

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    LOGAN FARRELL » licantropo
    Una corsa. Una corsa per la vita: ecco ciò che era stato di me sino a quel momento. Quando diventavo un lupo, quando assumevo la forma animale, l’istinto prendeva il sopravvento e io non potevo più utilizzare il mio intelletto per tentare di manovrare quell’essere primordiale che albergava dentro di me. Quando ero giovane, i dolori dovuti alla trasformazione erano stati difficili da digerire, da comprendere: pensavo che quella fosse una sorta di maledizione, fatta in nome di chissà quale errore compiuto da qualche avo, un errore che avrei dovuto pagare io stesso. Col tempo, però, i miei genitori mi fecero capire che quello non era niente affatto un errore, bensì un dono, un meraviglioso dono che chi non capiva si trovava a disprezzare con tutto se stesso. Succedeva sempre di più, soprattutto in quei momenti così bui: sarebbe sempre successo e io e i miei fratelli non avremmo potuto far altro che voltare la testa dall’altra parte, ignorando chi ci voleva così male. La verità era che a nessuno sarebbe davvero importato mettersi nei nostri panni: tutti ci additavano come animali, come esseri buoni a nulla, che nelle notti di luna piena facevano razzia di bestiame. Il loro problema era che avevano torto marcio, lo sapevano, ma la paura li frenava. Loro non sentivano il rumore delle ossa incrinarsi durante la trasformazione, non sentivano peluria crescere in ogni minimo lembo lasciato scoperto del corpo, i canini allungarsi e il terreno diventare più vicino del previsto, gli odori acutizzarsi e la vista farsi più adatta alle circostanze dettate dalla situazione. Il mondo nel quale vivevamo preferiva curare alla radice, anziché tentare di prevenire i problemi derivanti da questo o quel problema: lo aveva fatto nella lotta contro i Vampiri e lo stava facendo anche con noi, i figli della Luna, discendenti più prossimi dell’astro luminoso e sue dirette emanazioni. Non si rendevano conto che, cacciandoci in maniera sempre più massiccia, il tutto gli si sarebbe ritorto contro: noi eravamo fondamentali per la lotta contro il nemico, quei dannati mezzosangue, perché eravamo la loro diretta nemesi. Un passo loro equivaleva a un nostro, esatto e contrario: noi dunque eravamo l’ingranaggio fondamentale nel meccanismo di conservazione della specie e continuità della libertà e della pace, caratteri a cui tutti agognavamo. Nonostante tutto, molti ci erano avversi e ogni notte di luna piena si trasformava in una lotta contro il tempo e contro i cacciatori, pur di salvarci la pelle. Spesso dovevamo confondere le nostre tracce, attaccare i nostri assalitori e stordirli, con l’intento di allontanarci dal nemico e metterci in salvo. Pensavano, a priori, che fossimo animali stanti a noi stessi, invece così non era affatto: molti di noi possedevano una famiglia e presso di essa dovevano ritornare, una volta riprese le umane sembianze. Spesso i cacciatori che ci braccavano erano gli stessi che, ignari, si avvicinavano a noi mentre possedevamo sembianze umane, gli stessi che ci avevano affiancati durante le battaglia contro i Vampiri. Stavamo dalla stessa parte, eppure solo una di esse ne era conscia. Potevo comprendere i loro timori e sapevo alla perfezione quanto la nostra natura potesse creare problemi non poco gravi al resto delle persone, ma, allo stesso tempo, io ero fiero di ciò che rappresentavo. Nessuno più di noi poteva avere un legame così intimo e unico con la Natura, nessuno. Solo noi potevamo comprendere cosa significasse calpestare il terreno umido di rugiada e assaporare appieno quell’odore naturale; solo noi sapevamo la temperatura corporea e l’unione dei propri compagni di branco; solo noi potevamo ululare alla Luna, urlandole contro tutti i nostri timori, la nostra rabbia, la paura, le false speranze. Solo noi eravamo quei figli, nessuno ci avrebbe mai tolto quel primato. Tutti quei pensieri, confusi dal dolore, dal cuore accelerato e dalla sensazione di freddo che si stava espandendo a mano a mano nel mio corpo mi tennero sveglio, mentre ruzzolavo malamente per la ripida depressione del terreno, scivolando e terminando quei movimenti sconnessi su un'altra parte, stavolta più piana. A fine scivolata, aprii gli occhi e lanciai un ringhio gutturale, segno del mio dolore fisico. Mi sistemai su di un fianco, raggomitolandomi come meglio potevo, mentre la testa cominciò a pulsare in maniera incredibilmente forte. Sapevo di essere stato fortunato, poiché avrei potuto rimetterci la vita, quella stessa notte, ma, dall’altra parte, mi resi conto di non possedere più i sensi tanto all’erta. Le ferite mi bruciavano e la freccia che avevo conficcato nella coscia destra pulsava in maniera anche troppo forte. Deglutii, digrignai i denti e sentii il sapore del sangue in bocca: mi costrinsi a sputarne un grumo, unito alla saliva. Evidentemente, durante la caduta, dovevo aver preso qualche botta oppure essermi morso l’interno della bocca, perché non sentivo particolari dolori in quel punto preciso del corpo. Inspirai malamente e profondamente, mentre speravo che il cacciatore non si addentrasse giù per il dirupo dal quale ero caduto in precedenza, altrimenti, con grande probabilità, sarei stato spacciato. Se mi avesse ritrovato in mezzo al bosco, nudo, di certo avrebbe compreso che il lupo che stava cacciando ero io e avevo imparato a capire, nel corso degli anni, che l’uomo preferiva allontanare bruscamente ciò che temeva, anziché affrontarlo nel modo più realistico possibile. Inspirai, inspirai e continuai a farlo sino a che la testa non iniziò a girare in maniera ancora più vorticosa, segno evidente della mia stanchezza e del dolore che continuava a stringermi lo stomaco. Sentivo distintamente il sangue colare dalla mano ferita, scivolare sul terreno e macchiarlo. L’odore del liquido scarlatto era forte, oppure ero io quello che vi era immerso per una buona quantità e, dunque, era costretto a sentirlo in modo ancora più forte. Rantolai, il cuore che mi bombardava nelle orecchie e ogni respiro che pareva costarmi lo schiacciamento della cassa toracica. Non seppi per quanto tempo rimasi fermo lì, a tentare di raggiungere una posizione fetale per compensare il dolore e il freddo che stava diventando sempre più forte: avevo perso la cognizione del tempo, sembrava che tutto vorticasse attorno a me senza scopo apparente, solo per il gusto di farmi sentire quella terribile fitta allo stomaco che, in altri casi, avrei scambiato per un conato di vomito. Tentai di rigirarmi, ancora una volta, il respiro irregolare e accelerato e i sensi all’erta, nella speranza che quel cacciatore avesse gettato la spugna e si fosse diretto altrove, lontano da me. Deglutii, facendo una smorfia per via del sangue ingurgitato, senza nemmeno riflettere sulle conseguenze delle mie azioni. Fu solo in un secondo momento, quando sentii un bisbiglio indistinto, a sgranare gli occhi color cioccolato. Puntai il capo in direzione di quel suono, la vista sfocata per via della caduta e del dolore, ma riconobbi la voce e l’odore che arrivò verso di me.
    Amanda…? Cosa ci fai qui?
    Farfugliai a bassa voce, corrugando come meglio potevo la fronte. Immediatamente, mi chiesi cosa ci stesse facendo lì, in quel momento e in quel luogo per nulla neutrale. Osservai il suo volto preoccupato e solo allora mi resi conto di poter sembrare più grave del previsto. Rabbrividii ancora una volta, sentendo la bocca impastata. Mugugnai qualcosa, sentendomi però lieto della presenza di una figura amica come quella di Amanda. Il nostro primo incontro non era stato dei migliori, ma, fortunatamente, le cose avevano iniziato a cambiare e, quindi, a far migliorare il nostro rapporto di amicizia. La sentii avvicinarsi e coprirmi col suo mantello: sulle prime credetti che fosse accaduto in seguito allo spasmo di freddo mostrato pochi istanti prima, ma poi mi accorsi che quella sua azione fu derivata dal fatto che non indossassi alcun vestito. Gli abiti, durante la trasformazione in lupo, si laceravano totalmente e solo dopo l’uscita dalla luna piena ritornavamo normali, così come il nostro corpo era, senza il fardello di alcun vestito addosso. Deglutii ancora una volta, sentendo un imbarazzo crescente per quella situazione: esso fu un istante, un semplice istante, perché di nuovo il dolore tornò a invadermi, forte come prima, e la mano ferita a pulsare in maniera quasi disumana.
    S-sì. Mi ha inseguito… è solo… potrebbe tornare. Stai attenta…
    Riuscii a risponderle, facendole dunque intuire che ero in grado di comprendere sia le sue parole, che le sue azioni al riguardo. Mi preoccupavo anche di lei: sapevo che Amanda era una strega forte, ma quel cacciatore sembrava essere determinato a compiere il suo dovere, dunque, nel caso di un incontro, non potevo sapere i danni che ne sarebbero derivati. Come se i miei pensieri fossero stati intercettati, nell’aria si propagò un urlo rabbioso, derivante proprio dal cacciatore che mi aveva inseguito sino a pochi minuti prima. Digrignai i denti, sporchi di sangue, in un ringhio involontario, prima di tornare a osservare Amanda, sempre rimanendo disteso su di un fianco, di modo che sulla coscia ferita non gravasse il peso del mio corpo. Inspirai, per immagazzinare aria.
    Se la estrai, rischia di infettarsi. Qui però non c’è tempo da perdere… Fallo…
    Aggiunsi con voce stanca e provata, ben conscio del fatto che la freccia, estratta con fretta, avrebbe potuto lacerarmi ancora di più i muscoli e la superficie esterna della pelle. Nonostante tutto, ero disposto anche a fare questo, pur di allontanarmi da quel luogo ostile e pieno di rabbia. Dilatai le narici, disgustandomi dell’odore derivante dal mio stesso sangue – quanto ne avevo perso? Di certo una quantità importante, perché la testa continuava a vorticarmi con forza, mostrandomi spesso immagini piuttosto confuse del mondo nel quale mi muovevo. Portai una mano sul terreno, stringendone un lembo con forza, come a sistemarmi meglio su di esso, di modo da facilitare il compito futuro di Amanda. Inspirai ancora una volta, sentendo gli odori del sottobosco farsi sempre più vividi a ogni mio respiro.
    Sono pronto.
    Sibilai in un soffio, ruotando appena il busto per consentire ai miei occhi di andare a incrociare quelli di lei. Stava correndo un rischio enorme per me, nonostante non mi conoscesse così approfonditamente. Era logico doversi supportare e aiutare in momenti così bui – soprattutto in quel periodo – ma raramente un altro essere vivente si esponeva così tanto, col solo scopo di proteggere un’altra forma di vita. Mi ricordai di quando mi aveva parlato di suo fratello e di sua madre: sembravano essere una famiglia unita, anche se piccola. Mi chiesi cosa avessero pensato i suoi famigliari se l’avessero vista in una simile situazione. Di certo ne sarebbero andati fieri, ma si sarebbero anche preoccupati del grande rischio che aveva corso.
    Ti devo la vita.
    Aggiunsi nuovamente, riducendo le labbra a una piccola linea e gli occhi acquosi andarono a socchiudersi. Trattenni il respiro, oramai pronto a sentire lo strattone derivante dall’estrazione fulminea della freccia dalla mia coscia ferita. Il tempo scarseggiava.

    We swam among the northern lights And hid beyond the edge of night And waited for the dawn to come

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    Amanda R. Mondrian » Witch
    La lunga chiacchierata che avevo fatto con mio fratello, la notte che le nostre fazioni si erano scontrate, mi aveva permesso di aprire gli occhi su quegli ultimi anni, di comprendere a fondo le motivazioni di mio fratello e di capire che non era cambiato poi così tanto come credevo. Tutto quello che aveva fatto lo aveva fatto soltanto per proteggere me e mia madre, per assicurarci una vita tranquilla, per essere certo che la famiglia reale non sarebbe mai venuta da noi a riscuotere il prezzo di non averli affiancati durante la guerra. Ci aveva pensato lui, aveva scelto di sacrificare i suoi ideali per il bene della sua famiglia e sebbene non fossi stata io a chiederglielo, mi sentivo in parte responsabile per quella scelta e mi sentivo in colpa per non averlo compreso, per non avergli concesso quanto meno il beneficio del dubbio e per averlo sempre attaccato, senza neppure rifletterci. Era stato molto più semplice pensare che lui fosse irrimediabilmente cambiato, che fosse lui a sbagliare e che non potesse esserci un’altra spiegazione, era più facile agire senza fermarmi a pensare, perché se lo avessi fatto avrei fatto di tutto per fargli cambiare idea e per portarlo lontano da quel castello e da ciò che era stato costretto a fare per tutti quegli anni. Perché avevo sempre tenuto troppo a mio fratello e accettare di perderlo, di sentirlo così lontano, non mi era mai stato semplice. Avrei voluto prenderlo per le spalle e costringerlo a cambiare ed era proprio quello che era successo alla fine dato che, dopo il nostro discorso, aveva deciso di lasciar stare quella vita e di fuggire, di allontanarsi da Londra per un po’ e di costringere anche noi a trasferirci nella casetta in campagna dove avevamo trascorso le nostre vacanze da piccoli, imponendo una sola condizione: liberare Lilyan prima di andarsene del tutto, la strega che, con la sua dolcezza, era riuscita a mostrare un nuovo lato del mondo a mio fratello e lo aveva aiutato a comprendere che non poteva più andare avanti così, non se la famiglia per cui lavorava teneva prigioniera una bambina per convincere sua madre a collaborare, non era quello il genere di persona che voleva essere e non lo sarebbe stato mai. Lo avevo accusato di essere diventato sin troppo simile a nostro padre, di aver abbracciato i suoi stessi ideali, ma non era vero. Aveva cercato di convincermi a lasciargli fare tutto da solo, a farlo tornare al castello in completa solitudine per aiutarla a scappare, ma chiaramente non avevo accettato e avevo già iniziato a muovermi all’interno dei ribelli per capire se c’era qualcosa che potevamo fare per aiutare quella donna, o se avrei dovuto farlo da sola. Lo avrei fatto in ogni caso, perché era giusto, ma se c’era la possibilità di avere maggiore supporto ritenevo che fosse importante cercare di sfruttarla.
    Era con questo pensiero che ero uscita quella notte, riflettendo su quante cose fossero cambiate negli ultimi tempi, su quanto la mia vita fosse stata scossa dagli ultimi eventi e probabilmente lo sarebbe stata ancora, ma ora che mio fratello era tornato, ora che finalmente eravamo di nuovo una famiglia, nulla sembrava più riuscire a spaventarmi allo stesso modo. Era bello sapere di poter contare di nuovo su di lui, ma non per questo lo avrei portato con me in ogni momento. Sicuramente il mattino seguente si sarebbe lamentato nel sapere che ero uscita da sola, nel cuore di una notte di luna piena, per raccogliere quei fiori, quando avremmo potuto approfittarne per farlo insieme e trascorrere del tempo insieme, quando avrebbe preferito venire con me per essere certo che io fossi al sicuro, ma lui era ancora ferito, non si era ripreso del tutto dallo scontro e io non me l’ero sentita di svegliarlo nel cuore della notte per quella semplice sciocchezza. Avremmo avuto altre occasioni per trascorrere del tempo insieme e io avevo imparato a non avere più bisogno di protezione, a cavarmela da sola. Ora volevo soltanto che lui si riprendesse e che evitasse di fare delle sciocchezze prima del tempo, dato che ne sarebbe stato assolutamente capace, se era sempre lo stesso Nathan di una volta. Fu però un’imprecazione, mormorata nel silenzio della foresta ad attirare la mia attenzione. Non era stato difficile riconoscere quella voce che avevo sentito diverse volte negli ultimi giorni e che si era fatta per me sempre più famigliare. Sollevai per un momento il capo verso l’alto, notando la luna piena iniziare a scemare di lato per fare il posto al sole che sarebbe sorto a momenti e mi resi conto che, se Logan era stato fuori quella notte, probabilmente doveva essere da poco tornato umano. Mi immersi nel folto della foresta, cercando di farmi strada con le mani come meglio potevo, lasciandomi guidare dalla sua voce, per poi pronunciare un leggero incantesimo e invitare la natura ad aiutarmi nella sua ricerca. Purtroppo non avevo né un udito né un olfatto sopraffino, ma la natura avrebbe certamente potuto aiutarmi, lei doveva sapere dove si trovava e che cosa gli fosse capitato. Accelerai il passo, cercando di raggiungerlo il prima possibile, terribilmente preoccupata da quelle poche parole che ero riuscita a sentire, che mi avevano fatto subito pensare al peggio. Quando riuscii a trovarlo, ferito e accovacciato per cercare di contrastare il freddo, dovetti trattenere un leggero grido spaventato. Non avevo idea di che cosa gli fosse capitato, ma ero abbastanza convinta che qualcuno lo avesse attaccato e che lui fosse riuscito a fuggire per miracolo, o almeno era questo che mi suggerivano le sue ferite e il suo volto dolorante.
    Mi avvicinai a lui lentamente, cercando di fare meno rumore possibile e di non spaventarlo, chiamando il suo nome soltanto quando fui abbastanza vicina da poterlo sussurrare. Lui mi restituì lo sguardo, chiedendomi perché mi trovassi lì, il suo respiro era irregolare e ogni parola sembrava pesargli parecchio, ma mi sforzai di mantenere la determinazione. Mi sfilai il mantello, incurante del freddo e cercai di coprirlo come meglio potevo, dato che non sarebbe stato saggio portarlo sino a casa mia in quello stato e oltretutto sarebbe stato decisamente imbarazzante. -Stavo cercando delle erbe nella foresta e ho sentito la tua voce. – gli spiegai, mentre notai anche il suo volto imbarazzarsi appena quando comprese di non avere dei vestiti addosso. Mi feci più seria, però quando lo viti stringere i denti per cercare di trattenere il dolore, invitandomi a stare attenta perché chi lo aveva inseguito sarebbe potuto tornare. Annuii, guardandolo in volto per qualche momento, senza tuttavia mostrare la minima intenzione di lasciar perdere. Immaginavo che fosse pericoloso, così come erano state tante altre cose nella mia vita, ma non avrei mai e poi mai lasciato un amico in quello stato pur di mettermi al sicuro. Avrei fatto qualunque cosa pur di portarlo via da lì tutto intero. Un urlo rabbioso si propagò nell’aria e io sollevai appena lo sguardo, mentre un leggero movimento delle fronde mi indicava la direzione da cui sarebbe provenuto quell’uomo. Era abbastanza lontano, o almeno così mi era parso di capire, ma questo non voleva dire che fossimo al sicuro e quella freccia conficcata nella sua gambe non gli avrebbe probabilmente permesso di camminare. Era consapevole della gravità della situazione, del fatto che anche estraendola rischiava di stare peggio, ma invitò comunque a farlo perché non avevamo molto tempo e riuscire ad allontanarci, in quel momento, era la cosa più urgente. Posò una mano sul terreno, stringendolo con forza, per poi dirmi che era pronto, guardandomi dritta negli occhi. Deglutii un momento, un po’ preoccupata all’idea di doverlo fare davvero, lì, nella penombra, ma alla fine annuii. Mi sfregai le mani l’una contro l’altra per cercare di scaldare un po’, andando poi ad afferrare la freccia con una mano e tenere la sua gambe con l’altra, sperando che non fosse più troppo fredda. Mi fermai un momento, trattenendo il respiro, quando lo sentii dire che mi doveva la vita e io scossi il capo. -Non è affatto vero. – dissi, poi estrarre la freccia che, fortunatamente, venne via senza opporre troppa resistenza. Lo avevo fatto altre volte in passato, dopo scontri o attacchi di sorpresa, ma in quelle occasioni era stato decisamente più semplice. Strappai un lembo di stoffa dei miei abiti, cercando di pulire la parte intorno alla ferita, per quanto potessi vedere, per poi poggiare una mano sul suo petto coperto dal mantello, per invitarlo a stare fermo ancora per un po’. -Dammi un momento. – mormorai, prima di posare entrambe le mani a mezz’aria, sopra la sua ferita e chiudere gli occhi, mormorando alcune parole che sarebbe servite a tamponare almeno per qualche tempo la perdita di sangue, anche se non sarebbero bastate a guarirlo. Sapevo che avevamo poco tempo, ma sapevo anche di non poterlo trascinare per la foresta da sola. -Ti aiuterà a smettere di sanguinare e a provare un po’ meno dolore, ma non durerà a lungo, devo occuparmi meglio di quella ferita, ma non posso farlo qui. – gli spiegai, per poi cercare di dargli una mano a rimettersi in piedi. -La mia casa non è molto distante da qui, ti porterò lì, così saremo al sicuro e potrò darti delle cure adeguate, il tuo processo di rigenerazione dovrebbe agire abbastanza in fretta a quel punto, non dovrai restare a lungo. – continuai, cercando di rassicurarlo, mentre tentavo di sorreggerlo come meglio potevo. Le urla del cacciatore si erano fatte più vicine ora e la natura aveva preso a vibrare attorno a noi per avvisarci del pericolo. Mi voltai di nuovo, allungando una mano dietro di noi e pronunciando un incantesimo che emise un boato in direzione completamente opposta a quella che avremmo intrapreso noi. -Questo dovrebbe tenerlo occupato per qualche minuto e darci un po’ di vantaggio. Coraggio, andiamo. – dissi, mentre la mia presa sul suo busto si faceva un po’ più salda e iniziavo a camminare, cercando di aiutarlo. Mi aveva sorpreso trovarlo lì, nella foresta, ferito e indifeso. Lo aiutai a superare alcune radici sporgenti, evitando di ruzzolare a terra, mentre la mia attenzione era ancora rivolta alla natura tutt’attorno a noi, pronta ad avvisarmi nel caso di pericolo. -Siamo quasi arrivati, ancora un piccolo sforzo. – dissi, e proprio allora percepii di nuovo quella vibrazione, il pericolo. Accelerai il passo, costringendolo a fare lo stesso, sapendo di chiedergli forse troppo. Ma c’eravamo quasi riusciti e non potevo permettermi di metterlo di nuovo in pericolo. Vidi il tetto della nostra piccola casetta in lontananza, ma neppure questo riuscì a farmi tirare un sospiro di sollievo, perché ancora non era finita, poteva ancora cercare di raggiungermi.
    Soltanto quando fummo finalmente all’interno e potei chiudermi la porta alle spalle, mi concessi il lusso di sospirare. -Vieni. – sussurrai ancora, facendogli strada verso la mia stanza e lasciandolo andare soltanto quando fu in prossimità del letto, dove si sarebbe potuto distendere senza troppi problemi. Mi mossi velocemente alla ricerca di un telo, che posai sotto la sua gamba per poterla ripulire più comodamente. -So che sei stanco e che probabilmente vorresti soltanto dormire, ma devo pulirla per evitare che si infetti e fare almeno delle prime medicazioni. Hai perso molto sangue, posso darti qualcosa per recuperare le forze? – chiesi, attendendo soltanto il tempo di una veloce risposta prima di andare a prendere le prime cose di cui avevo bisogno per ripulire la ferita e, se lo avesse richiesto, qualcosa da mangiare. Mi sistemai quindi su uno sgabello, inzuppando un panno nell’acqua per poi andare a poggiarlo delicatamente attorno alla sua ferita, senza fare troppa pressione per evitargli di fargli troppo male. -Te la sei vista brutta. – dissi, concedendomi soltanto allora un tono un po’ più severo, mentre fino a quel momento era stato semplicemente concitato e preoccupato.

    I'm done getting pushed
    around by all of you
    I did it beacause I wanted to

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    LOGAN FARRELL » licantropo
    Muovermi nel bel mezzo della luna piena aveva da sempre rappresentato un pericolo per me, ma la mia natura non poteva essere soffocata e, quindi, ogni volta che l'astro lunare si innalzava nel cielo io rispondevo. Ero orgoglioso di essere un Licantropo e avrei difeso l'appartenenza a quella razza a spada tratta; sapevo benissimo che il mondo, purtroppo, non era totalmente immerso nella bontà e sapevo anche che vi erano individui appartenenti alla mia stessa specie che si era macchiati di crimini orribili. Nonostante tutto, non potevo non difendere quella mia natura, perchè era quanto di più vicino fosse alla terra. Essere un Licantropo rappresentava essere il testimone più concreto di qualsiasi cambiamento Madre Natura decidesse: prima dei Vampiri -quegli odiosi succhiasangue-, prima degli Umani, degli Stregoni e di qualsiasi altra specie popolante la terra, c'eravamo noi. Solamente noi riuscivamo a diventare tutt'uno con qualsiasi cosa ci circondasse: il nostro olfatto, la nostra vista, insomma, tutti i nostri sensi in generale sapevano come agire, come muoversi, come farci vivere al meglio. Eppure, al mondo, vi era chi non capiva questa nostra peculiarità e ci dava la caccia. Da una parte vi erano, ovviamente, i nostri nemici naturali, quegli orrendi succhiasangue, che si avvinghiavano alla vita altrui senza scrupoli, tentando di vincere la morte perchè, nella più stretta realtà, la temevano. Con gli anni avevo avuto a che fare con questi orribili soggetti e non ero mai riuscito a farli ragionare: pensavano che la loro eterna bellezza, quei movimenti così lesti e quell'abile parlantina data da secoli di permanenza nel mondo dessero loto valide motivazioni per solcare la quotidianità altrui. Così non era affatto: alcuni di loro erano stati trasformati per scelta, altri per necessità, ma vedevo in loro solamente tanta codardia. Non accettavano la morte e avevano trovato un modo per reprimerla, ma, sicuramente, con gli anni le cose sarebbero cambiate. Andavano contro lo stesso volere della vita e della natura stessa e, prima o poi, questa si sarebbe ribellata. Sostenevano di essere diventati invincibili, eppure temevano di poter essere annientati. Non era questa una contraddizione in termini? Dall'altra parte, invece, vi erano i Cacciatori, coloro i quali, dietro un compenso di denaro, desideravano mettere fine alla vita mia e dei miei compagni solo perchè non potevano comprenderci. Non avevamo scelto noi di diventare così, eppure non dovevano neppure fare di tutta l'erba un fascio. Non potevano condannarci indistintamente, senza esclusione alcuna, solo perchè eravamo diversi, solo perchè diventavamo bestie. Eravamo molto più umani noi di loro e avrei sostenuto questa teoria sino alla morte – che avrei accettato, al contrario di quei dannatissimi succhiasangue. Era inutile che i Cacciatori dicessero che bramavamo potere e seminavamo terrore indistintamente, perchè così non era affatto. Purtroppo le pecore nere erano presenti ovunque, nella società, ma la maggior parte di noi Licantropi avrebbe dato la vita per proteggere i propri fratelli, il branco, i parenti o gli amici stretti. Noi sapevamo cosa fosse la lealtà, di quanti altri soggetti si poteva dire lo stesso?
    Fu con la mente intrisa di questi pensieri che rotolai giù dalla discesa, una volta colpito da uno di quei tanti cacciatori che, durante le notti di luna piena, si divertivano a cacciarci in maniera indistinta. Recuperai sembianze umane, digrignando i denti per il dolore: mi rannicchiai su me stesso, non tanto per combattere il freddo -nonostante fossi nudo a causa della trasformazione, il mio corpo riusciva a reagire al meglio innalzando la temperatura interna e scaldandomi- quanto per tentare di trovare una posizione consona a non farmi recepire così tanti dolore. Ero già stato ferito altre volte, sia in forma animale che umana, eppure quella volta stavo rischiando: inerme, con una gamba fuori uso, il cacciatore non avrebbe tardato a capire dove fossi. Dilatai le narici, tentando di capire a quanta distanza fosse sistemato lo stesso, mentre il cuore continuava a pompare sempre più sangue, per tentare di compensare la perdita derivante dalla ferita. Strinsi la gamba, arcuando la schiena e raggiungendo poi una posizione fetale: dovevo tentare di reagire, alzarmi e perlomeno mettermi al sicuro, perchè l'uomo non avrebbe tardato a trovarmi e a capire che qualcuno fosse scivolato dalla parte dove ero caduto io -avevo lasciato segni e sangue. In mezzo a quel silenzio di tomba, surreale e poco positivo, si espanse nell'aria dapprima un odore e poi una voce, che non fu difficile riconoscere. Ruotai il capo e osservai dunque Amanda, a pochi passi da me. Le chiesi cosa ci facesse lì, sebbene a fatica, facendole comprendere del pericolo che stava correndo. Ero al corrente della sua natura di Strega e non mi stupii quando mi disse che era venuta per cercare delle erbe. Si velocizzò a coprirmi come meglio poteva col suo mantello, essendo io completamente nudo, ma non fu quello a farmi rabbrividire, bensì il dolore che si stava propagando nel mio corpo.
    Beh, hai scelto proprio un bel momento per farlo.
    Farfugliai, digrignando i denti per via del dolore. Amanda non sembrava affatto intenzionata ad andarsene e lasciarmi lì e le sue parole lo confermarono, quando mi disse che avrei dovuto estrarre la freccia. Mi stupii positivamente del suo sangue freddo: era giovane, eppure in situazioni di pericolo la sua mente diveniva elastica ed ella non pareva perdere il controllo. Probabilmente non la conoscevo affatto, sapevi della sua appartenenza ai ribelli e dunque mi chiesi quante situazioni simili avesse dovuto affrontare. L'urlo rabbioso dell'uomo tornò a propagarsi nell'aria e io dilatai maggiormente le narici. Tornai a osservare Amanda in volto, deglutendo per trattenere un altro rantolo di dolore.
    Forza, muoviamoci... non c'è tempo da perdere.
    Quasi la incitai in quell'azione, sebbene mi sforzai di serrare gli occhi scuri più che potessi, nel tentativo di prepararmi psicologicamente a quello che sarebbe venuto di lì a poco. Portai entrambe le mani alla ferita, vedendo di tendere come meglio potevo la pelle per facilitarle il compito, poi la sentii tirare d'un scatto la freccia fuori dalla carne. Sentii un tonfo sordo, quasi un risucchio, e l'arma venne estratta con velocità. Mi morsi la lingua per tentare di non urlare dal male, rivelando dunque la nostra posizione, eppure un rantolo di evidente dolore non potè fare a meno di uscire dalle mie labbra secche e screpolate. La faccia diventò paonazza, perchè nel mentre avevo trattenuto anche il respiro, mentre ora sentii di poterlo rilasciare. Sentii un liquido caldo avvolgere entrambe le mie mani, che ora lasciarono perdere la distensione della pelle. Stavo iniziando a sudare freddo, ma rimasi comunque a osservare Amanda, mentre iniziò a poggiare entrambe le mani a mezz'aria sulla mia ferita.
    Sei... stata brava. Vediamo però di non replicare in futuro.
    Sussurrai nuovamente, tra un rantolo e l'altro, provato dal dolore, anche se tentai di ironizzare sulla situazione. Rimasi dunque a fissare le mani di Amanda e vidi, in seguito alle sue parole, che la ferita si tamponò un poco da sola e il dolore divenne più sopportabile. Sgranai gli occhi: prima di quel momento, nessuno aveva mai usato la magia su di me -perlomeno non in maniera così diretta e solitamente solo con scopi negativi. Rimasi dunque stupito nel vedere che effetti potessero dare le magie benefiche; non conoscevo il livello di Amanda, ammesso che potessero esservi o meno, tra Stregoni, ma la sua magia mi aiutò a sentire meno dolore e ad avere immediatamente i riflessi più scattanti.
    Non ho mai provato questi effetti su di me. Va un po' meglio. Grazie, Amanda.
    Aggiunsi in favore della giovane, mentre mi aiutava ad alzarmi per dirigerci entrambi verso casa sua. Mi coprii come meglio potei col suo mantello, ora più per pudore che per reale dolore. Certo, quando mi alzai di scatto una fitta mi arrivò al cervello e mi fece ringhiare dal male, ma ora potevo camminare e questo era già tanto. Portai un braccio dietro la sua nuca, zoppicando nella vegetazione a piedi nudi, mentre Amanda mi faceva strada, sostenendomi con un arto dietro il mio busto. Fece un'altra sorta di magia per tenere occupato il cacciatore per qualche minuto.
    E un sortilegio per fargli cambiare definitivamente idea non esiste?
    Domandai, sebbene in quel momento non stessi scherzando. Non sapevo della potenza degli incanti, ma non sarebbe stato niente affatto male se vi fosse stata la possibilità di rendere innocuo quell'uomo. Continuammo a camminare, velocizzando poi il passo; in quei momenti trattenni il respiro, perchè il dolore stava ritornando e Amanda aveva decisamente accelerato. Sapevo che lo stava facendo per me e gliene fui grato, per questo tentai di non dare adito alle scosse di dolore che mi stavano invadendo sino a quel momento. Quando finalmente intravidi una casetta e Amanda si fiondò all'interno con me, tirai un sospiro di sollievo.
    Mai stato così felice di essere chiuso entro quattro mura.
    Farfugliai una volta che Amanda mi aiutò a distendermi sul letto. Era proprio così: essendo un Licantropo, la maggior parte del mio tempo la passavo all'aperto, in mezzo alla natura. Entro quatto mura mi sentivo soffocare, io desideravo la libertà data dalla natura, i sapori e gli odori veri. Tuttavia, quel contesto murario fu alquanto piacevole. Mi sistemai meglio il suo mantello addosso, affondando in un materasso morbido. Amanda si iniziò a occupare della mia ferita e la vidi fare avanti e indietro, alla ricerca di tutto il necessario. Sorrisi debolmente nel vederla così preoccupata: avevo sbagliato a giudicarla, a dire il vero entrambi ci eravamo sbagliati l'uno sul conto dell'altra e per questo avevamo macinato qualche discussione, prima di scoprire di andare d'accordo. Respirai l'odore di casa sua, che si mischiava al suo: sapevano di sicuro, ma, d'altronde, io stesso sapevo che mi sarei potuto fidare di quella giovane Strega.
    Sto bene, Amanda. Cioè: starei molto meglio in altre circostanze ma direi che dopo la medicazione avrei bisogno di un paio di pantaloni e poi potrò levare il disturbo.
    Non mi sentivo pienamente a mio agio coperto di un solo mantello, per quanto pesante fosse. Le cose erano differenti con i fratelli del mio branco, perchè spesso ci risvegliavamo in forma umana l'uno accanto all'altro. Con le donne del branco, invece, era diverso: ero molto rispettoso nei confronti delle figure femminili e dunque non mi pareva il caso di aggiungere molta promiscuità in momenti lunari così delicati. La vidi armeggiare col panno bagnato e solo quando esso andò a contatto con la mia pelle io sobbalzai, muovendo un poco la gamba, come effetto del dolore. Deglutii lentamente, chiudendo e riaprendo gli occhi, prima di tornare a osservare la ragazza mentre si dedicava alla pulizia della mia ferita.
    In realtà questo rischio lo corro sempre ogni volta che mi trasformo, ma non posso evitare di farlo. Se tutti fossimo meglio disposti l'uno verso l'altro, queste cose non accadrebbero, ma sai bene anche tu quanto sia impossibile. Effettivamente, però, questa situazione non è stata per nulla piacevole. È solo grazie a te se ora sono al sicuro, Amanda.
    Commentai placidamente verso di lei, instaurando un contatto visivo. Dicevo semplicemente la pura verità: senza di lei non sarei stato in grado di proseguire velocemente e, anche se mi fossi allontanato dal cacciatore, la mia guarigione sarebbe stata sicuramente più lenta. L'osservai curarmi con minuzia, digrignando ogni tanto i denti per il dolore e la passata del tessuto sulla parte lesa della mia pelle. Sospirai sonoramente, tenendo d'occhio il suo lavoro.
    Sei brava. Fai spesso queste cose? Intendo soccorrere i feriti. Hai un'ottima manualità.
    Le domandai, sinceramente curioso della risposta. Il fatto che non fosse alle prime armi l'avevo già capito dal modo in cui mi aveva tirato fuori dai guai, ma volevo averne una conferma. Facendo parte dei ribelli, Amanda sicuramente aveva avuto a che fare con situazioni poco piacevoli, dunque poteva avere imparato lì ad aiutare e soccorrere i feriti. L'odore del mio sangue impregnava la stanza e mi fece fare una smorfia. Com'era possibile vivere sicuri in un mondo dove chiunque era pronto a voltarti le spalle, un mondo dove i poveri divenivano sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi e dove avremmo dovuto lottare anche per l'aria che respiravamo? Quei dannati regnanti non capivano quanti sforzi la loro popolazione dovesse sopportare per pagare tasse sempre più ingenti – tasse che sarebbero andate a coprire i loro vezzi e le loro spese superflue. Come se non bastasse, anche l'odio che impregnava la società stava divenendo sempre più forte. Mi chiesi, di lì a qualche anno, come avrebbe proceduto la situazione.
    Non abiti da sola, giusto? Mi ricordavo che mi avessi parlato di un fratello e un altro parente, se non erro...

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    Amanda R. Mondrian » Witch
    La vita di chi aveva a che fare con il soprannaturale non era mai stata facile. Non lo era stata durante il regno degli esseri umani, quando tutti noi eravamo stati costretti a nasconderci, a fingere di essere delle persone comuni e di non essere nati invece con delle doti particolari, o di non averle acquisite nel tempo come per chi era stato trasformato. Eravamo stati costretti ad una vita di menzogne perché gli esseri umani non avevano mai amato molto ciò che era diverso da loro, condannandolo ad una terribile fine. Era stato così ad esempio per le streghe che erano state così sfortunata da farsi scoprire, o che forse avevano soltanto tentato di dire la verità sperando di essere accettate, di poter creare un mondo in cui convivere in armonia. La risposta degli esseri umani era stata quella di ucciderle con il fuoco, perché solo quello, secondo loro, avrebbe potuto purificarle dal demonio. Era così che loro avevano visto i nostri poteri in origine, come qualcosa di demoniaco, malvagio, impuro e non si erano invece resi conto di quanto quel potere avrebbe potuto aiutarli. Tanti di noi li avevano odiati per questo e avevano giurato che mai avrebbero aiutato un essere umano, perché troppi di noi erano stati uccisi per mano loro, troppe sorelle e fratelli della magia avevano incontrato la via dl fuoco. Ma se sotto gli umani questo era stato destino, le cose sotto il controllo dei vampiri non erano migliorate molto. Perché se gli umani non sapevano tutto su di noi, non sapevano per certezza che determinate creature esistessero e andavano quindi per leggende e supposizioni, i vampiri lo sapevano perfettamente e si erano assicurati di tenere tutte le razze sotto controllo, non soltanto gli esseri umani, ma anche tutti noi, rendendoci schiavi di ogni loro più piccolo desiderio. Questa era la sorte che era toccata alle streghe, costrette e divenire delle buone dame di compagnia, a piegare la propria magia al volere dei sovrani, sperando così di avere salva la propria pelle, o magari quella dei propri familiari. E se in parte potevo ormai capire mio fratello per quella scelta, per aver deciso di mettersi al loro servizio per assicurarsi che io e nostra madre non venissimo coinvolte, sapevo che io non sarei mai riuscita a fare una scelta come quella. La mia decisione era stata molto diversa, perché io non avrei accettato passivamente che le cose accadessero, che loro scegliessero di risparmiarmi in base a chissà quali capricci, no, io avrei lottato per la mia libertà, per la libertà della mia famiglia e della mia città. Ed era anche per questo motivo che mi ero unita ai ribelli, perché volevo fare la mia parte, in prima linea, per quella guerra e per quella che sarebbe giunta, non soltanto perché avevo ritenuto che quella fosse l’unica scelta giusta da fare.
    Eppure, sebbene avesse scelto di schierarmi dalla parte del popolo, di offrire la mia magia a chi ne aveva più bisogno, neanche io ero stata immune ai pregiudizi e avevo lasciato che questi mi accecassero, come nel caso di Logan. Ero troppo occupata ad odiare i Lancaster e ad essere arrabbiata con chiunque li seguisse, per aprire davvero gli occhi e vedere chi invece aveva scelto la mia stessa strada, decisamente più dura e pericolosa, ma sicuramente molto più gratificante. Era stato così anche con Logan la prima volta, quando avevo pensato che, essendo un licantropo, lui dovesse trovarsi necessariamente dalla parte dei vampiri, ma così non era e c’era voluto un po’ di tempo per capirlo e accettare di aver sbagliato. Non ce n’era voluto invece per scegliere di aiutarlo quella notte, quando lo avevo trovato ai piedi di un piccolo dirupo, senza l’ombra di un vestito addosso e con una ferita aperta che ancora non accennava a rimarginarsi a causa della freccia che ancora stava ben dritta nella sua gamba. Gli avevo sorriso appena, quando aveva fatto quella lieve battuta sul fatto che avessi scelto un ottimo momento per uscire nella foresta, dato che questo mi aveva permesso di trovarlo. Il fatto che fosse ancora in vena di fare delle battute di spirito era un buon segno. Però aveva ragione, non avevamo tempo da perdere se non volevamo che l’uomo che gli stava dando la caccia ci trovasse e ci attaccasse entrambi. Estrassi quindi la freccia, sotto sua richiesta, mentre lui usava tutta la sua concentrazione per evitare di gridare e attirare l’attenzione di quell’uomo, che sembrava proprio non volersi arrendere. Feci una piccola magia che potesse aiutarlo a non sanguinare per tutto il tragitto, notando il suo volto sorpreso di fronte a quello che avevo appena fatto mentre mi diceva che non aveva mai provato quel genere di effetto della magia su di sé. -E’ una cosa temporanea, per guarirla definitivamente dovrei concentrarmi di più e ci vorrebbe più tempo, ma ora è meglio se ce ne andiamo da qui. – dissi, semplicemente, perché non pensasse che avessi fatto chissà quale gran cosa quando quello era stato solo un semplice incantesimo. Mi rendevo conto che per chi non conosceva la magia ogni cosa doveva sembrare eccezionale, ma così non era e non volevo che lo pensasse e che si sentisse in debito con me, perché non doveva affatto. Inoltre a breve il suo corpo gli avrebbe permesso di iniziare a rimarginarsi da solo, quindi non avrebbe avuto bisogno di quel genere di magia. Il dolore non sarebbe sparito del tutto, così come dimostrò il suo digrignare i denti appena si mise in piedi, ma avrebbe aiutato almeno un po’ a rendere più agevole camminare.
    Scossi piano il capo quando mi chiese se non ci fosse un sortilegio per far cambiare definitivamente idea a quell’uomo sul fatto si seguirci e volerci attaccare. -Non è mai un bene utilizzare la magia per manipolare la mente delle persone, può essere molto pericoloso. – gli spiegai, facendogli capire in quel mondo che esistessero incantesimo per quello che mi aveva chiesto, ma che non avevo intenzione di usarli. Non volevo fare del male a quell’uomo nonostante tutto, non in quel modo per lo meno. Portarlo sino a casa non fu semplice, anche perché a mano a mano che il tempo passava l’incantesimo iniziava a svanire e lui ricominciava a sentire tutto il dolore della sua ferita, ma entrambi riuscimmo a tirare un sospiro di sollievo quando io ci chiusi la porta di casa alle spalle. -Felice di sentirtelo dire. – risposi, con un sorriso ora più divertito dato che quell’uomo non avrebbe potuto trovarci in casa mia e di certo non lo avrei lasciato entrare, non se voleva fare del male a Logan. Mi sentivo un po’ più tranquilla, ma Logan aveva comunque bisogno di alcune cure piuttosto urgenti per evitare che la sua ferita potesse infettarsi, o in generale peggiorare. Per questo lo guidai verso la mia camera, così che potesse distendersi più comodamente e darmi quindi la possibilità di dare un’occhiata più attenta alle sue ferite. Cercò di tranquillizzarmi dicendomi che stava bene e che aveva giusto bisogno delle primissime medicazioni e di un paio di pantaloni e che poi se ne sarebbe andato. -Tu non andrai da nessuna parte questa notte. – risposi, con aria piuttosto decisa, mentre terminavo di pulire la sua ferita. Se pensava davvero che lo avrei lasciato andare in giro da solo con quella ferita si sbagliava di grosso, però avrei davvero dovuto procurargli qualche vestito, per rendere un po’ meno imbarazzante quella situazione. -Voglio essere sicura che tu stia bene, non voglio che ti succeda qualcosa, non me lo perdonerei. – gli spiegai, sperando che questo bastasse a convincerlo a smetterla di fare storie e accettare l’idea di passare la notte a casa mia, così che potessi tenere sotto controllo la sua ferita. -Ma ti procurerò dei vestiti. – aggiunsi, con un leggero sorriso, cercando anche di tranquillizzarlo a riguardo. Non avevo intenzione di tenerlo in ostaggio, sarebbe stato libero di andarsene in qualunque momento se davvero non ci fosse stato modo di convincerlo, ma speravo che fosse abbastanza ragionevole da capire che era meglio che rimanesse a riposo ancora per qualche ora, almeno per essere in forze prima di decidere di tornare a casa sua. Mi disse che quello che aveva corso quella notte era un rischio a cui era più o meno abituato considerando che lo viveva durante tutte le notti di luna di piena, ma chiaramente non poteva farne a meno anche se magari un po’ di intolleranza in meno avrebbe aiutato a rendere il tutto meno problematico. Scossi leggermente in aria una mano quando mi disse che era sicuro solo grazie a meno, scuotendo appena il capo. -Non ci pensare neanche, non ho fatto nulla di che. – dissi, in maniera piuttosto tranquilla, rivolgendogli un altro sorriso. E lo pensavo sul serio. Anche lui probabilmente avrebbe fatto lo stesso per me se le situazioni fossero state invertite e non avevo fatto nulla più di quello che il mio istinto mi aveva suggerito, quindi non aveva davvero nulla di cui ringraziarmi. Continuai a sistemare la sua ferita, passandoci sopra un unguento che avrebbe aiutato a rimarginare la ferita un po’ più in fretta, per poi sollevare di nuovo lo sguardo su di lui quando mi chiese se mi capitasse spesso di soccorrere i feriti. Annuii, senza avere alcun timore nel rivelarglielo. -E’ quello che faccio di solito. David raramente vuole che li segua in missione, preferisca che io li aspetti per aiutarli nel caso in cui siano dei problemi. – spiegai, senza tuttavia andare troppo a fondo in quel discorso, non perché non mi fidassi di lui o temessi che lui potesse denunciarmi, ma semplicemente perché parlare dei feriti e delle perdite che avevamo subito non era un argomento semplice per me. avrei voluto poterli salvare tutti e ci aveva sempre provato, ma qualche volta le ferite erano troppo profonde, oppure riuscivano a tornare indietro troppo tardi e allora non c’era più nulla da fare, la magia non poteva riportare indietro qualcuno che era già morto.
    Terminai di sistemare la sua ferita, andando poi a porre su di essa delle bende che avrebbero tenuto l’unguento premuto sulla ferita. Avevo scelto di non ricucirla perché sapevo che con lui non sarebbe servito, con un po’ di riposo si sarebbe rimesso in forze e allora il suo processo accelerato di guarigione, insieme a quell’unguento, avrebbero fatto tutto il lavoro in un tempo abbastanza breve, non era necessario che gli provocassi altro dolore ricucendo la ferita. Gli rivolsi un’occhiata interrogativa e leggermente curiosa quando mi chiese delle altre persone che vivevano con me, per poi annui di nuovo quando nominò mio fratello, che aveva avuto modo di vedere la notte in cui avevamo recuperato alcuni dei nostri dalla prigionia dei Lancaster. -Mio fratello e mia madre, sì, stanno dormendo, ma a mio fratello non dispiacerà se ti presterò alcuni suoi vestiti. – dissi, cercando di fare mente locale per capire che cosa potesse fare al caso suo dato che Nathan era decisamente più grosso di Logan e la maggior parte delle sue cose gli sarebbero state troppo larghe, ma qualcosa sarei comunque riuscita a trovarlo. Diedi un’altra leggera occhiata alla ferita, per poi rialzarmi in piedi con un altro sorriso. -Vado a cercarti dei vestiti tu non muoverti o dovrò ricominciare da capo. – dissi, fingendo un’aria severa, ma continuando comunque a sorridergli. Era decisamente più semplice farlo ora che eravamo fuori pericolo e che nessun cacciatore pazzo ci rincorreva per ucciderci. Gli rivolsi un altro veloce sguardo, giusto per assicurarmi che non avesse davvero intenzione di rimettersi in piedi, poi scivolai velocemente fuori dalla stanza, andando alla ricerca di qualche vestito ormai troppo piccolo per mio fratello. Raggiunsi la cassapanca che stava in fondo al corridoio, infilandoci la testa dentro e iniziando a scavare al suo interno, cercando di non fare rumore per evitare di svegliare il resto della casa, per poi sorridere piuttosto soddisfatta quando riuscii nel mio intento. Tornai nella mia stanza con un paio di pantaloni ed una semplice maglietta poggiandoli delicatamente sul letto. -Ecco a te. – dissi, prima di rendermi conto che rimanere lì mentre si cambiava non doveva essere esattamente la scelta migliore, arrossendo leggermente, come se mi fosse ricordata soltanto in quel momento di quanto la situazione potesse essere imbarazzante. -Ti lascio il tempo che ti serve, chiamami se hai bisogno di qualcosa, ok? – aggiunsi, con un timido sorriso, prima di sgattaiolare di nuovo oltre la porta, chiudendomela alle spalle per dargli un po’ di privacy, posandomi contro di essa prima di emettere un leggero sospiro.
    Iniziavo ad essere un po’ più timida ora che non avevo nulla di cui preoccuparmi, ora che non dovevo più mettermi all’opera per fare ciò che sapevo fare meglio. Attesi che lui si mettesse i vestiti, per poi capire se preferisse dormire un po’ in solitudine o se mi avrebbe invitata a rientrare. Speravo solo che Nathan e la mamma non si svegliassero in quel momento e che avrei avuto tempo fino al mattino seguente per trovare le parole migliori per spiegargli quanto era accaduto.

    I'm done getting pushed
    around by all of you
    I did it beacause I wanted to

    « swän » code esclusivo del London gdr. Non usare senza il mio permesso.

     
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