SALVATAGGIO

QUEST

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    La Torre di Londra, uno dei luoghi più temuti di tutta la città, l’inferno in Terra dicono molti ed effettivamente è così. Pochi sono coloro che sono riusciti a fuggire da quelle mura, si contano sulle dita di una mano e molti di loro hanno comunque trovato la morte poco più tardi, per più di un motivo, perché la Torre e chi la gestisce non lascia andare i suoi prigionieri facilmente, né può accettare di averli persi così. C’è chi è morto di stenti perché in condizioni terribili, chi è stato infine trovato e ucciso o peggio ancora, riportato nella Torre, in ogni caso ciò che succede al suo interno ti segna e non ti abbandona, non lo fa mai. David Morren, il capo dei ribelli, è uno dei pochissimi ad esserne uscito vivo e ad essere riuscito a tenersene lontano, ma ciò che ha visto è qualcosa che ancora appare nei suoi sogni o dietro le sue palpebre chiuse. Al tempo il caos dilagava, troppi erano coloro che venivano portati nella Torre, pochi quelli che potevano occuparsene quando fuori infuriava la guerra e l’orrore. E’ per questo che è riuscito a scappare, ma ancora ricorda, quel posto è ancora nella sua mente ed è per questo che ha deciso di guidare i suoi uomini al suo interno quella sera. Una missione suicida anche questa, al pari e forse di più di quella che molti di loro affronteranno fuori città, ma non possono fare altrimenti, devono recuperare i loro compagni, soprattutto devono recuperare lo scienziato catturato, devono farlo prima che li facciano a pezzi. Hanno trovato un passaggio nei giorni precedenti, un antico cunicolo che dal fiume porta fin all’interno della Torre, una via di fuga forse realizzata da antichi prigionieri di quel luogo, impraticabile, con l’ingresso sbarrato da detriti, travi e dai sedimenti del fiume, impossibile da usare all’apparenza, ma non c’è niente che la volontà decisa e determinata, se affiancata alla magia, non possa fare. Forse i soldati dei Lancaster non ne conoscono l’esistenza o forse molto probabilmente non credono che qualcuno possa essere tanto folle perché in ogni caso poi dovrebbero vedersela con ciò che c’è dentro la Torre. I ribelli hanno lavorato duro e più in fretta possibile e sono riusciti infine ad aprirsi un varco in quel cunicolo che è la loro unica via d’accesso e unica possibilità. Sono arrivati fino a dove lo stretto passaggio cessa di essere invaso dalle acque putride e ristagnanti del fiume e inizia a inerpicarsi verso l’alto, verso l’accesso in grado di portarli all’interno di quella minacciosa costruzione, figlia del tempo e dell’orrore, si sono spinti avanti fino a dove gli è stato possibile arrivare, ma la luce tremolante di alcune torce ha fatto capire loro di essere attesi. Un paio guardie sono state messe a sorvegliare il passaggio, probabilmente solo per scrupolo, forse perché nessuno si aspetta davvero un attacco alla Torre, né quella notte né mai. Soldati di guardia si muovono all’interno del complesso, pattugliando le zone a loro assegnate, mentre il vero orrore è dentro le mura. Tra di esse si nasconde ogni genere di atrocità, trappole di tempi antichi, poste a protezione di quel luogo da ladri e folli con l’intenzione di rubare i gioielli della Corona che ancora lì trovano sede, ma non è solo questo, perché ora la Torre è divenuta dominio degli stregoni e cacciatori di ribelli e sono loro il pericolo più grande. Questo è ciò a cui i ribelli, guidati da David Morren, stanno andando incontro. Riusciranno a lasciare quelle mura intrise di sangue e magia?

    •••


    Tenente conto che i pg iscritti non sono gli unici ad essere presenti, sia tra i soldati che tra i ribelli ci sono un tot di png. Qui saranno presenti i soldati posti a guardia della Torre, demoni, vampiri e licantropi. I ribelli sono invece una decina, compresi i pg iscritti. Anche i png devono essere affrontati e loro, ovviamente, sono quelli che potranno essere uccisi.

    turni
    Killian Jakies
    David Morren
    Julia Harrison
    Calliope Alisea Phoenix
    Isaac Sander
    Alexander Trevor Moore

    L'equipaggiamento di questo primo turno è quello da voi riportato al momento delle iscrizioni.
    Ogni pg ha 3 giorni disponibili per il proprio turno, dopodiché si andrà avanti. Il Master interverrà solitamente a fine giro, ma potrebbe farlo anche prima. Per tutte le altre informazioni leggete qui

     
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  2. Arabêlla
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    Killian Jackies » scienziato
    Mi risvegliai lentamente, confuso. Buio. Attorno a me vi era solo l'oscurità. Sbattei più volte le palpebre cercando di mettere a fuoco qualcosa, per tentare di comprendere ove mi trovassi. Nulla.
    Nonostante non vedessi niente, la testa girava vorticosamente. Avevo le vertigini e mi sentivo estremamente debole. Sentivo il capo, oltre che indolenzito, anche umido e caldo, come se vi fosse una ferita aperta, dalla quale scorresse copioso del sangue. Sbattei una seconda volta le palpebre e tentai di muovermi. Solo allora il mio cervello riuscì a captare nuove informazioni, lasciandomi intendere che le mie braccia, con la circolazione bassa, formicolanti e prive di sensibilità, erano alzate e bloccate da delle catene. Il mio corpo era sorretto quindi tutto dalle braccia, dolenti e al limite della sopportazione. Dopo aver compreso ciò, focalizzai la mia attenzione sulle gambe e i piedi, tentando di utilizzare la poca forza che mi rimaneva per tentare di gravare meno sulle braccia e sui polsi feriti e sanguinolenti. Le catene, strette attorno ad essi, stringevano, tagliavano e dilaniavano le mie carni. Tremante e instabile riuscii ad alzarmi, trovando immediatamente sollievo nel non sentire tutto quel peso sulle ormai insensibili braccia. Deglutii mentre una smorfia si andava a dipingere sul mio viso, provocata da tutto il malessere ed il dolore che invadeva il mio corpo. Mossi il capo, cercando di riuscire a scorgere qualcosa che non fosse solamente ombra. Nulla, buio pesto. Le gambe cedettero di nuovo e una nuova e potente scarica di dolore circolò di nuovo in me, permettendomi di ritornare poco più lucido, fu proprio in quel momento che la mente cominciò a porsi delle domande. Dove mi trovavo? Che diavolo era successo? Iniziai a riordinare i pensieri ed i ricordi per cercare di comprendere che cosa fosse accaduto. Era tutto così confuso nella mia mente, la botta in testa di sicuro non sarebbe stata utile per ricreare tutta la vicenda. Riprovai una seconda volta a sistemarmi sulle malferme gambe e, una volta riuscitosi, mi impegnai per giungere ad una conclusione. Rielaborai una sequenza di immagini, troppo veloci per essere comprese subito, ma precedenti al misfatto. Doveva essere avvenuto tutto così infatti retta che persino i ribelli con me erano stati colti di sorpresa. Era stato fin troppo facile catturarmi, anzi catturarci. Perché eravamo usciti dal nascondiglio? Mi morsi il labbro sforzandomi di ricordare. Dovevo aver finito qualche erba o qualcosa di simile ed avevo richiesto a David di poter uscire per poter fare rifornimento. Sicuramente il capo dei ribelli non si doveva esser fidato a mandarmi da solo, era a conoscenza della mia difficoltà nell'uccidere, anche per estrema difesa. Sì, doveva essere andata così, necessariamente. Ma perché eravamo stati catturati con così facilità? Il colpo ricevuto doveva avermi fatto perdere la memoria recente poiché più mi sforzavo e più non riuscivo a ricordare. Sarei dovuto andare avanti a ricostruire secondo logica, come avevo fatto sino a quel momento. I ribelli erano sempre stati troppo prudenti, fino alla paranoia ed anche io di certo non ero noto per la mia testa calda o per l'agire d'istinto, quindi dovevano aver preso ogni precauzione possibile e soprattuto aver studiato precedentemente la zona in cui ci eravamo recati. Mi sembrava impossibile che la mia avventura fuori dal covo fosse finita solamente con una botta in testa. Ero incapace di uccidere, ma non di difendermi. Ciò mi dava da pensare che qualcuno avesse conosciuto anticipatamente ed esattamente le nostre mosse. Qualcuno doveva averci tradito. Riuscivo a giungere solamente a questa conclusione. I miei pensieri vennero interrotti da un rumore, uno scatto metallico di una porta che si apriva. La stanza in cui mi trovavo venne illuminata da una torcia, comparsa improvvisamente nelle mani di un uomo. Non riuscivo a distinguerne i tratti, tanto meno potevo comprendere chi fosse. Il mio sguardo vagò attorno a me, cercando di capire dove mi trovassi. Era una vera e propria sala delle torture e pareva che come fosse comparsa la luce anche i lamenti degli altri prigionieri fossero ricominciati, dando vita ad una angosciante litania. Quella era la torre di Londra, la torre dove i ribelli venivano rinchiusi, torturati e uccisi. La fine era vicina. L'odore di morte impregnava ormai le mie narici.

    I’m just the same as I was
    Now don’t you understand
    That I’m never changing who I am

    « swän » code esclusivo del London gdr. Non usare senza il mio permesso.

     
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    DAVID MORREN » capo dei ribelli
    Era giunto il momento, quello per cui ci eravamo preparati, quello per cui avevamo deciso di rischiare le nostre vite nel tentativo di entrare all’interno della Torre di Londra, qualcosa che neanche un folle avrebbe mai voluto fare, perché nessuno usciva incolume da quel luogo e anzi, nessuno usciva di lì e basta. Io ci ero riuscito, era vero, ma al tempo era stato diverso, il caos, i morti e gli orrori della guerra erano troppi perché si potesse prestare davvero attenzione ai prigionieri di guerra, anche se quel prigioniero era il figlio di Jack Morren. Qualcuno doveva aver pagato caro per quella perdita, ma fatto stava che ero riuscito a fuggire, in pessime condizioni, ma ce l’avevo fatta, mi ero lasciato quel luogo di tortura e orrore alle spalle ed ero riuscito a tenermene lontano fin da allora, anche se questo non era bastato a togliermi dalla mente ciò che avevo visto in quel breve tempo in cui ero stato rinchiuso tra quelle mura. Era lì che li stavo conducendo, tra le braccia di quella fortezza, nelle mani del nemico, probabilmente verso la morte, perché sì, eravamo più che consapevoli che questo sarebbe potuto essere il destino che ci attendeva, il destino di tutti noi. Sangue e vite per una convinzione, per un ideale e per una battaglia. Ne valeva la pena? Sì, questa era la mia risposta, la risposta che avrei sempre dato, non importava il peso che avevo sentito sulle mie spalle e sul mio cuore quando li avevo guardati tutti negli occhi quel pomeriggio, quando avevo rivolto loro quello che poteva esser stato il mio ultimo discorso, quando avevo guardato volti che avrei potuto non rivedere, quando avevo forse decretato e suggellato la fine di molti di loro, così come di me stesso. Le loro vite erano nelle mie mani e lo sapevo bene, lo avevo sempre saputo, come avevo sempre saputo che ognuno di loro sarebbe stato più che determinato a sacrificare la propria pur di raggiungere il nostro obiettivo o anche solo un passo avanti verso di esso. Ognuno di noi sapeva a cosa andava incontro, ogni giorno, ogni minuto, la nostra vita sarebbe potuta finire in ogni singolo istante ed era per questo che combattevamo, per farla durare il più possibile e per far sì che fosse per una buona causa, che avesse un senso. Tutti loro lo avevano fatto per propria scelta, l’unirsi ai ribelli al principio, come l’agire e il seguirmi quella notte, nessuno di loro era stato costretto, ma si erano fatti avanti lo stesso, pur dopo le mie parole in merito al fatto che avremmo potuto non fare ritorno, noi che ci spingevamo verso la Torre, come coloro che si erano offerti per darci delle possibilità in più. Avevo imparato a conoscere quei ragazzi, erano divenuti compagni, amici, una famiglia, avrei dato la mia vita per loro senza pensarci un attimo così come sarei morto al loro fianco considerandolo il più grande degli onori, perché sebbene fossi il capo di quella resistenza, tutti loro erano la speranza e il futuro di quelle nostre idee, perché da solo non sarei riuscito a fare nulla, né forse sarei arrivato a divenire quello che ero ora. La nostra causa era e sarebbe sempre stata più importante di tutto, il primo e unico nostro obiettivo, lo scopo ultimo e più alto a cui avevamo votato le nostre vite, era tutto ciò che ci dava una speranza e che ci spingeva a combattere giorno dopo giorno. Ora che la storia della cura era trapelata, al covo si era sparsa la voce di ciò che accadeva davvero nei laboratori e per questo molti avevano compreso il perché avessi deciso di agire nonostante la follia dell’impresa, perché dopo che avevamo perso già uno dei nostri scienziati, Ania, sparita all’improvviso, non potevamo permetterci altre perdite. Ci stavamo muovendo per tutti loro, tutti coloro che erano stati catturati giorni prima, cosa che aveva suscitato furore e ardore all’intero del covo, ma se anche io che conoscevo quel luogo non avevo esitato un attimo sul da farsi, arrivando a quella conclusione fin dal principio, nonostante i tanti rischi, era soprattutto con lo scopo di recuperare Killian. Ognuno di noi era pronto a morire, ognuno di noi sapeva che sarebbe potuto avvenire da un momento all’altro, molti di noi avrebbero preferito essere lasciati al proprio destino piuttosto che mettere in pericolo altri compagni e la missione intera, ma anche se normalmente la cattura di alcuni miei uomini mi avrebbe comunque spinto ad agire, questa volta c’era ben più che solo degli amici e compagni da salvare, era la nostra stessa causa ad essere stata messa a rischio. Loro, gli scienziati, erano coloro in grado di darci davvero l’elemento capace di cambiare le sorti di quella situazione, contavo moltissimo su di loro e consideravo il loro operato prezioso e indispensabile per ciò che stavamo tentando di ottenere, perché se era possibile, se potevamo davvero ottenere una cura al vampirismo, allora avremmo riavuto la nostra libertà senza sacrificare le nostre vite e quelle di moltissimi umani che sarebbero immancabilmente periti in una nuova guerra. Eravamo pronti ad affrontarla se essa fosse giunta, ma volevo essere certo che non ci fossero altre strade, prima, che quella fosse l’unica. Non tutti credevano in quella ricerca, molti la ritenevano folle e impossibile, tra le nostre fila come tra quelle dei Lancaster, ma io ci credevo, volevo crederci, anche se qualche dubbio spesso era arrivato ad assalire anche me. Se eravamo arrivati a quel punto, parte del merito era anche di quei ragazzi che lavoravano giorno e notte nei laboratori, anche per potenziare le nostre armi e creare composti in grado di aiutarci nella nostra missione. Era per queste ragioni che dovevamo tenere al sicuro gli scienziati e per questo che dovevano salvare Killian e gli altri o almeno tentare. Avevo fatto in modo di non lasciare niente al caso nella peggiore delle eventualità, avevo lasciato una lettera a Femke, qualche riga in cui le dicevo di prendere il mio posto qualora mi fosse accaduto qualcosa, di continuare a combattere e guidare i ribelli, perché lei avrebbe saputo come fare, dopotutto era stata la mia vice, era stata al mio fianco, aveva visto cosa significava e cosa era necessario fare, ero convinto del fatto che fosse lei la persona più idonea a sostituirmi, nonostante tutto ciò che era successo e nonostante molti non sarebbero stati d’accordo. Le avevo anche lasciato scritto che era un ordine e che mi aspettavo che lo eseguisse, perché ero più che convinto che ne sarebbe stata pienamente in grado, sapevo che poteva farcela. Avevo lasciato scritte poche righe anche a Theo, dicendo lui di affiancare Femke, continuare la ricerca, trovare quella maledetta cura e portare avanti il nostro obiettivo, perché non avrei ammesso niente di diverso. Se non avessi fatto ritorno quelle lettere sarebbero state recapitate ad entrambi e la resistenza avrebbe continuato a vivere. Furono quei pensieri a confortarmi e infondermi coraggio alla vista della luce tremolante che illuminava il cunicolo nel quale ci eravamo fatti spazio, dopo il duro lavoro per renderlo il più possibile praticabile. Ci stavano aspettando o forse era stata solo cautela e prevenzione, ma fatto stava che ci ritrovavamo fin da subito ad affrontare il nostro primo ostacolo, quello che avrebbe anche potuto decretare la fine della nostra azione. Voltai il capo all’indietro, incrociando gli occhi di chi mi seguiva. Ero fiero di loro, sapevo di poter affidare la mia vita ad ognuno di quei ragazzi che mi avevano seguito quella notte, come sapevo che loro avrebbero fatto lo stesso con me, potevo leggerlo nei loro occhi, nella determinazione che vi si leggeva ora che la luce di quelle torce era intervenuta a spezzare il buio, potevo vedere la convinzione, la decisione e la fiducia sui loro volti, in me, io che li stavo guidando verso una missione suicida, con il peso delle loro vite su di me, ma con la convinzione che quella fosse la cosa più giusta da fare. Pensai a coloro che si erano recati ai confini della città, pensai al sacrificio che stavano compiendo e il rischio che stavano correndo, se fossi stato credente avrei rivolto una preghiera per loro, ma non lo ero e anzi credevo fossimo noi stessi a decretare il nostro futuro, tutto ciò che potevo rivolgere loro in quel momento era la mia gratitudine, ammirazione e fiducia. Era questo che eravamo, che erano i ribelli, persone pronte a combattere fino alla fine, l’una per l’altra e per un obiettivo più grande, era questo che ci muoveva e questo che non ci avrebbero mai tolto, potevano catturarci, sbatterci in una prigione, torturarci, ma non ci avrebbero mai privato di quelle idee e questo era tutto ciò che contava. Spostai lo sguardo su Julia, esattamente dietro di me, comunicandole unicamente con lo sguardo ciò che volevo facesse. Non potevamo attirare l’attenzione fin da subito, questo escludeva l’utilizzo di armi da fuoco, l’arco di lei invece era perfetto per liberarci di quelle guardie poste all’uscita di quel cunicolo, così come lo sarebbe stata qualsiasi arma silenziosa abbastanza da non farci identificare immediatamente. Non avevo idea di quale fosse la razza di quelle due guardie, ma poco importava, nella migliore delle ipotesi potevano trattarsi di licantropi, più semplici da eliminare, dunque. Il nostro odore era rimasto coperto da quello putrido e sudicio di quel cunicolo, ma dubitavo potessimo contare sulla cosa ancora a lungo, prima o poi ci avrebbero scoperto. Dovevamo agire subito, eliminare quelle due guardie e penetrare all’interno, da lì sarebbe iniziata la vera e propria sfida. Mi schiacciai contro la parete del cunicolo, così da permettere a Julia di sorpassarmi, lasciando così a lei quella prima azione.
    a warning to the people
    the good and the evil

    this is war
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  4. Wonderland
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    Julia Harrison » Umana/Ribelle
    Infiltrarsi nella Torre divenuta dominio degli stregoni e dei cacciatori di ribelli era pericoloso. Loro erano pazzi, folli, sconsiderati. Un gruppo suicida. Ma erano armati e pieni di ardore, c'era qualcosa che brillava in loro e li spingeva oltre ciò che il buon senso imponeva; non sarebbero stati schiavi, non quella volta, né mai più. Non potevano lasciare morire i compagni, non li avrebbero abbandonati al loro destino.
    Julia era invasa da una marea di pensieri mentre, insieme agli altri ribelli, spostava travi e detriti per liberare un passaggio che li avrebbe condotti all'interno di quella Torre maledetta. Si ferì le dita e si spezzò le unghie per fare il prima possibile, lottando contro il tempo e contro la disperazione. La faretra con le sue frecce stava fedelmente dietro la sua schiena, segno che ormai era giunto il momento di smettere di nascondersi e fosse necessario invece agire in modo più diretto. Dodici frecce dalle punte avvelenate, un arco in mano. La voglia di lottare e vincere. Calzava stivali alti e stretti che la protessero parzialmente dall'acqua putrida del cunicolo nel quale finalmente si infilò, insieme ai compagni. Il suo coltello era all'interno di quello destro, con l'elsa visibile e con la pietra incastonata che si illuminava in presenza di magia. Lei, di sovente, abbassava lo sguardo e la guardava, pronta all'evenienza. Al collo, infine, era legata una collana con un piccolo ciondolo a forma di bottiglia contenente una pozione che annullava la magia. Era tutto cos dannatamente pericoloso. Un pensiero scivolò lento lungo il resto della città, lì dove i suoi compagni tentavano un'impresa ardua quanto la loro, e una sottile inquietudine si insinuò fra i suoi sensi. Avrebbe dovuto salutare William? Dargli un bacio, un abbraccio, dirgli che dopo tutto quel tempo ormai gli voleva bene? Lo aveva guardato allontanarsi insieme agli altri, rimandando a un incerto “dopo” ogni discorso. Era impensabile, si diceva, che dopo i suoi genitori e dopo Calliope perdesse anche lui, ma si rese conto con sgomento di non riuscire a lasciarsi vincere da quell'insano ottimismo. In fin dei conti c'era gente, lì, che aveva perso davvero tutto, chi era lei per sperare in qualcosa di meglio? Nessuno era esente. Ma se il loro sangue doveva proprio essere sparso sulla città quella notte, che fosse allora il sangue di eroi e combattimenti, il seme della rivoluzione. Avrebbero dimostrato a tutti che qualcosa era possibile e altri, dopo di loro, avrebbero continuato. Un ideale viveva più a lungo di una vita umana.
    Continuò a camminare lungo il cunicolo, sforzando i muscoli delle gambe mentre l'acqua putrida le lambiva il corpo, ma era la sua ultima preoccupazione. Quando l'acqua si abbassò notevolmente, David la guardò e lei comprese fosse ora di agire. Lo sguardo scivolò immediatamente in avanti, oltre lui, lì dove doveva aver visto qualcosa. O qualcuno. Julia scorse luci tremolanti che segnalavano la presenza di nemici: due guardie appostate. Comprese la prima parte del messaggio, quindi tornò a fissare David, in attesa di ulteriori istruzioni. Quando lui si appiattì contro la parete del cunicolo le fu chiaro tutto. Si mosse piano in avanti, sfiorandogli il petto con la spalla dato lo spazio angusto. Si mise in obliquo, la schiena strisciò contro il corpo di lui, la faretra tenuta con la mano per non farle produrre alcun rumore, e infine lo superò. Non c'era spazio neppure per respirare. Puzza, buio, troppi pochi centimetri in cui muoversi, era tutto ristretto, ma lei riuscì a concentrarsi sul silenzio; non doveva produrre alcun rumore, neppure un fruscio, nulla, era questo ciò che contava ora. Non puntò nessuna luce in avanti perché avrebbe potuto attirare l'attenzione altrui, no, lei tentò di mantenere per loro l'effetto sorpresa. Prendere una freccia in quello spazio però era difficile e Julia fu costretta inginocchiarsi per poter piegare il braccio all'indietro senza sbattere sul tetto del cunicolo. Lo stivale alto le protesse in parte il ginocchio dall'acqua che ormai era bassa, ma il freddo le entrò ugualmente nelle ossa. Prese la prima freccia e la posizionò sull'arco. Tirò la corda e prese la mira. Il braccio sinistro era teso in avanti, il gomito del destro invece puntata dal lato opposto. Scoccare una freccia a un albero, durante un allenamento, era quanto di più diverso vi fosse dal mantenere la mano ferma in missione. Persino il respiro affannato dato dalla paura e dalla fretta poteva deviare la sua traiettoria, e pochi erano i centimetri che avrebbero fatto la differenza fra la vita e la morte. Sapeva come non compromettere i suoi tiri, suo padre l'aveva portata nelle sue missioni da sempre, facendo sì che la guerra diventasse normale per lei. In verità non ci si abituava mai alla tensione, così era per lei almeno, ma la mano rimaneva ferma e gli spazi angusti, il buio, erano diventati tutti fattori calcolati. Poteva, doveva farcela. Mirò al cuore della prima guardia. Il veleno delle sue frecce avrebbe dovuto fare effetto in ogni parte del corpo, ma lei stava mirando al cuore per uccidere al primo colpo. Scoccò la prima freccia e, immediatamente dopo, alzò la mano destra per prenderne una seconda in un gesto automatico e naturale, che non le richiedeva neppure la minima concentrazione. Questo perché tutta la sua attenzione era rivolta alla seconda guardia, che seguì con lo sguardo e puntò, subito, con la seconda freccia che aveva preso e messo nell'arco. Il cuore, di nuovo. Nessun rimpianto, nessuno scrupolo. Tese la corda, scoccò velocemente la sua seconda freccia. L'attacco era iniziato.

    Do you hear the people sing?
    Singing the song of angry men.

    It is the music of a people who will not be slaves again.

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    "But I have no doubt... one day the sun'll come out!" - Coldplay <3

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    CALLIOPE ALISEA PHOENIX » ribelle
    Il giorno che per molto tempo avevo atteso era finalmente giunto: avrei potuto far ritorno fra i ribelli senza dovermi preoccupare di metterli in pericolo, avrei potuto riabbracciare tutte quelle persone a cui tenevo e che purtroppo non avevo avuto modo di vedere per troppo tempo. Quando mi era giunta voce di ciò che i miei compagni stavano organizzando, non avevo perso tempo e avevo immediatamente deciso di unirmi a loro e di offrire il mio aiuto. Ero fuggita in tutta fretta da Caufield, ringraziando Richard, il proprietario della locanda che mi aveva ospitato per tutto il tempo durante il quale ero stata lontana da Londra, e mi ero messa in viaggio per far ritorno nella città che ormai era divenuta la mia casa. Era stato difficile farvi rientro, ma alla fine ero riuscita a raggiungere il luogo nel quale sapevo che i ribelli si sarebbero incontrati per provare ad entrare nella Torre. Avevo sentito molto parlare di quel luogo sinistro, e avevo spesso letto la paura negli occhi di chi mi aveva confidato di averci trascorso un po' di tempo, probabilmente gli istanti peggiori della vita di ciascuno di essi. Ma ciò che mi tormentava quando nella mia mente immaginavo l'interno di quelle mura e il volto di coloro che se ne prendevano “cura”, era la possibilità che Clarissa fosse rinchiusa lì dentro, insieme con quei compagni che erano ormai stati catturati e trasferiti all'interno della Torre, per subire chissà quali crude torture. Era qualcosa di inimmaginabile, qualcosa che avrebbe potuto sicuramente cambiare la vita di chiunque fosse entrato lì dentro e ne avesse avuta la fortuna di uscire. Cancellare dei ricordi dolorosi, come quelli che avrebbe potuto procurare della violenza fisica, era una cosa che quasi nessuno riusciva a compiere. Io in prima persona, vivevo ancora di notti insonni, e sebbene qualche volta riuscissi a chiudere occhio, la cosa veniva ampiamente resa difficile e terribile dai sogni incredibilmente cruenti che facevano capolino nella mia mente: mi svegliavo di soprassalto, a volte strillando senza neanche accorgermene, credendo di essere ancora intrappolata in un passato che avrei voluto cancellare. Eppure, l'unica cosa che mi faceva andare avanti era il pensiero di tutti quelli a cui volevo bene, a cui mi ero affezionata senza riserve e che mi avevano dato la possibilità di ricominciare una nuova vita. Clarissa, come me, si era affezionata a molti dei ribelli che avevano avuto modo di conoscerla, compresa Julia, alla quale si era legata particolarmente. Il loro legame era stata un'altra delle cose che mi aveva spinto a rivolgermi ad Erik, in passato, per avere qualche chance riguardo la sopravvivenza di Clarissa. Avevo tanto desiderato poter tornare a guardare con i miei occhi il modo in cui il sorriso della mia piccola risplendeva sul suo viso nel momento in cui la mia migliore amica la sollevava dal suolo, tenendola fra le sue forti braccia, e la faceva roteare appena, divertendola come pochi riuscivano a fare. Era tutto ciò che volevo indietro... Chiedevo forse troppo?
    Giunta nei pressi del fiume, al cunicolo che ci avrebbe condotto fino alla torre, non vi trovai nessuno, ma appresi subito che vi avevano già fatto intrusione, dato che alcuni dei detriti che precedentemente sbarravano l'ingresso erano ormai posati ai lati, gettati per terra con noncuranza. Mi addentrai nel tunnel, stretto e cupo, dove riuscire a distinguere a che distanza si trovassero le mura e il soffitto dalla mia figura era davvero un'impresa alquanto complicata. L'acqua putrida invadeva ogni centimetro del suolo, bagnandomi gli stivali. Avvertivo l'umidità che attanagliava quel posto e che lentamente si aggrappava anche alle mie ossa. Finalmente, dopo aver camminato per appena qualche minuto, riuscii a scorgere delle ombre davanti a me: li avevo trovati. Il mio cuore prese a battere ad un ritmo frenetico, ero emozionata e sollevata di vederli ancora una volta, dopo che per tanto tempo mi ero chiesta se quel giorno sarebbe poi arrivato. E invece, eccoli di nuovo lì, alcuni dei miei compagni, a combattere ancora una volta per un ideale comune, qualcosa che ci avrebbe sempre tenuto uniti, oltre ogni logica e ragione. Un sorriso silenzioso si allargò sul mio viso, dopo che finalmente la mia vista si fu abituata all'oscurità permettendomi di riconoscere i profili della maggior parte di loro. Arrivai nel momento esatto in cui, sotto tacito accordo con David, Julia prese a scoccare due frecce in direzione di quelle due sentinelle posizionate poco più in la dal punto in cui ci trovavamo noi, ad assistere. Era speranza di tutti quella di riuscire ad uscire vivi da quella torre, una volta entrati. Sapevamo bene che sarebbe potuto accadere di tutto, ma una volta presa quella decisione, nessuno sarebbbe potuto ritornare sui propri passi. Anche se, sapevo bene, che tutti quanti confidavamo in David, e non era di certo la prima volta che ci lasciavamo guidare da lui. Aveva sempre dimostrato di sapere alla perfezione che tutto ciò che decideva di fare, ricadeva fra le sue responsabilità, e tutti quanti ci eravamo sempre affidati a lui, per ogni evenienza. David era davvero la persona più adatta per eseguire l'arduo compito di guidarci, di mettere d'accordo probabilmente più teste, idee, opinioni, di quanto si potesse immaginare. Sebbene tutta questa responsabilità ricadesse su di lui, nessuno aveva mai avuto dubbi riguardo la sua carica.
    Osservai silenziosamente gli abili movimenti che Julia compiva nell'afferrare le frecce e scoccarle in direzione delle due figure che si scorgevano in lontananza. Non era affatto cambiata, dopo tutto quel tempo: la sua concentrazione e determinazione erano sempre le stesse, e a notare tutto ciò, il cuore mi si riempì di gioia ed entusiasmo, che avrei fatto meglio a contenere se non avessi voluto distrarla nel momento esatto in cui stava eseguendo una delle cose per cui era più portata. Una volta che le frecce furono ormai partite in tutta velocità per colpire gli uomini che aveva puntato, mi feci largo tra gli altri, posando le mie fredde mani sulle spalle dei ragazzi accanto ai quali passavo, regalando loro sguardi carichi di rispetto e stima, e probabilmente affetto, dato che non vedevo i loro visi da troppo tempo. Giunsi alle spalle di Julia, e prima di avvicinarmi a lei, volsi lo sguardo a David. Uno sguardo che dimostrava tutta la mia gratitudine nei suoi confronti, la mia felicità nel rivedere anche il suo viso. Era il ragazzo che mi aveva insegnato ogni singola cosa e che mi aveva accolta quando ero giunta a Londra, comunicandogli che avrei voluto unirmi a loro per contrastare tutto quello che di orrendo stava capitando intorno a noi. Poi, posai la mano destra sulla spalla della mia amica, sospirando quasi per la gioia di quel contatto: era vero, era tutto reale. Io ero lì, insieme a loro e non riuscivo ancora a capacitarmene. Ma l'unica cosa davvero importante, in quel momento, era che avremmo dovuto portare a termine la missione per la quale eravamo venuti, tutti insieme. Non credevo sarebbe stato facile, ma non m'importava, avevo perso troppe cose per permettere che tutto potesse succedere ancora.

    I'm on hope
    above
    the broken dreams.

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    Isaac Sander » Stregone
    Ero tornato. Ero tornato finalmente, pieno di energie, pieno di me e pieno di magia oscura. Avevo praticato un incanto che prima di allora non mi ero mai spinto ad attuare, ma la necessità di rimettermi in sesto dopo l’attacco di Damian Astor mi aveva portato al limite. E, Dio, mi sentivo come rinato, avevo accolto in me la magia di un mondo invisibile, in stretto contatto col nostro e da cui noi stregoni prendevamo il potere. Era stato doloroso, avevo sentito le viscere rimettersi in sesto e allo stesso tempo qualcosa mi era stato tolto. Un pezzo di anima forse? Sicuramente era quel genere di incanti che non possono essere attuati più di un paio di volte: il numero di vittime che avevo dovuto sacrificare era stato notevole e avrei dovuto aumentarlo in una volta successiva ed, inoltre, la mia mente sarebbe stata completamente obnubilata dalla magia oscura. Non sarei stato in grado di controllarmi, avrei ridotto me stesso ad un corpo privo di razionalità e per quanto amassi la magia, non avrei mai permesso che la mia capacità cognitiva venisse meno. Era con quella che potevo studiare, apprendere e praticare. Ero tornato a Londra sgargiante come non mai, mi ero fatto rivedere in pubblico, le mie giornate erano ritornate intense, tra il lavoro alla Torre e le ore passate nei bordelli. La notte avevo ripreso le mie ronde, mi sentivo figlio dell’oscurità e le notti senza luna le sentivo come il mio ambiente naturale. Se ad un occhio esterno potevo apparire il solito stregone di sempre, in realtà dentro di me mi sentivo posseduto da una forza oscura più potente che mai, nei miei occhi cerulei era possibile scorgere un alone di oscurità che ogni tanto trapelava quando la luce del sole o di una semplice fiammella li illuminava. Dalla mia mano sinistra partiva, da palmo, un marchio antico, nero come il petrolio. Esso era come scavato nella pelle, come una scottatura, ma era vivo, non un semplice segno. Toccandolo si poteva sentire il flusso della magia che scorreva dentro di me e mi dava vigore, ma che allo stesso tempo mi incatenava ad un infausto destino. Quando quel marchio fosse giunto al cuore, allora avrei perso totalmente la mia identità, la mia sanità mentale e non sarei più stato in grado di utilizzare le mie abilità in maniera razionale. Era il simbolo di ciò che avevo compiuto. Ed io ne andavo estremamente fiero, il marchio di colui che si è spinto oltre il limite, la cui conoscenza supera quella di chiunque altro. Quello era la mia corona di alloro, il riconoscimento di ciò che ero riuscito a diventare dopo anni ed anni di studio e dedizione alla mia amata magia. Se gli stregoni come Nathan Mondrian non riuscivano a comprenderlo, era perché la loro visione della magia era schifosamente utilitaria, ai miei occhi erano dei villani con delle capacità che non volevano sfruttare appieno. Erano degli schifidi stregoni a metà. Con quella nuova forza, con quel nuovo contatto al mio luogo di origine –luogo che non avevo mai visto, ma solamente immaginato nella mia mente- io mi sentivo ulteriormente superiore a loro e loro ai miei occhi erano ancora più piccoli e insignificanti. Provavo maggior gusto a torturare i ribelli nella Torre, lo scorrere del loro sangue nutriva quella nuova presenza in me, mi spingeva ad essere ancor più crudele di quello che ero sempre stato. Un ghigno di soddisfazione oscura non abbandonava mai il mio volto. Chiunque fosse in grado di percepire la magia, avrebbe percepito attorno a me un’aura pericolosa, un monito ad avvicinarmi. La povera piccola streghetta del principe Niklaus aveva assistito a tutto ciò, ma non avevo la minima idea di che cosa avesse pensato e continuasse a pensare: le avevo mostrato fin dove si poteva spingere la magia, fin dove un uomo poteva spingersi. Soprattutto le avevo posto davanti agli occhi quale era il prezzo da pagare per tutto questo. Era davvero sicura di volersi insinuare in questo mondo? Quando la intravedevo a palazzo me lo domandavo, chinavo il capo in segno di saluto fissandola dritto negli occhi, intessendo con lei un fugace momento di complicità. Lei aveva assistito a tutto ciò che era successo ed ero sicuro che non lo avrebbe mai dimenticato. In quei giorni erano state sparse varie notizie, i ribelli avrebbero attaccato in città, sarebbero usciti allo scoperto eppure noi cacciatori non eravamo convinti delle voci che avevano posto in giro. Da quando avevamo catturato uno dei loro scienziati, pareva che il piccolo mondo di King’s Cross avesse ripreso vita. Avevamo deciso di dividere le forze: Mondrian era andato in città, sicuro di aver trovato il punto in cui i ribelli avrebbero attaccato ed io, assieme ad un altro manipolo di soldati, ero rimasto alla Torre a guardia del prigioniero. Mi ero armato portandomi una semplice spada ad una mano, dalla lama assai affilata, argentata che avrei potuto incantare a mio piacimento. Sulla cinta tenevo per sicurezza due fiale di Verbena e tre di Strozzalupo, sebbene non prevedessi l’arrivo di strane creature, assieme agli umani; al collo ovviamente il mio fidato amuleto. In quel momento mi ritrovavo nella zona delle celle ovviamente, dove il prigioniero era tenuto in catene, privo di qualsiasi cura e attenzione. Tenevo con la mancina l’elsa della spada, facendo toccare sonoramente la punta al pietroso pavimento ad ogni mio passo. Non so quanto i Lancaster saranno contenti di questo attacco dissi, rivolgendomi ovviamente al prigioniero. E chissà quante vite ti ritroverai sulla coscienza, quando tutto finirà, se sarai ancora vivo continuai, con un tono divertito. Mi avvicinai alla cella Magari ti mettiamo insieme a qualche amichetto, così non ti senti più solo dissi, facendo passare la lama della spada attraverso le sbarre della cella per andare ad alzargli il mento con la punta, in modo che mi guardasse negli occhi. Più sangue verserò, più i miei incanti saranno potenti, sarà curioso poter sfruttare le mie nuove abilità affermai, ritornando ora a passeggiare nella stanza. Un eco parve spargersi in tutta la torre: stavano arrivando davvero, dunque. Mi posi davanti alla porta, assieme ai soldati che sorvegliavano il prigioniero assieme a me. Li attendevo con un sorriso, infondo erano ospiti e dovevano essere trattati con gentilezza e premura. Il desiderio di sangue ribolliva in me, mi sentivo eccitato, fremente.

    La follia, come sai, è come la gravità:
    basta solo una piccola spinta.

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  7. »Nessie
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    ALEXANDER MOORE » human
    Dunque ci trovavamo nello stretto cunicolo che ci avrebbe portato nella torre di Londra. Fin dall'inizio cercai di mantenere la calma ma sapevo che non ci sarei affatto riuscito. Sentivo l'ansia smuovere ogni fibra del mio corpo e ad ogni minimo passo fatto dentro quel cunicolo stringevo la mascella sempre più stretta. Cercavo con lo sguardo i volti dei miei compagni e quel poco di tranquillità che riuscivo a scorgere nei loro sguardi serviva a tranquillizzare anche me. Ad ogni passo che facevo, ad ogni passo che ognuno di noi faceva la paura di fare un passo falso aumentava. La paura di mandare tutto a monte prima di riuscire ad arrivare nella torre e attaccare di sorpresa le guardie che ci sarebbero state. La voce di un nostro attaccato si era ormai sparsa e fino all'ultimo sperai che anziché esserci una sfilza di guardie ci fossero solo le guardie che si trovavano ordinariamente lì. Meno guardia c'erano più avvantaggiati potevamo essere. Poco prima dell'inizio della missione mi consolai dicendomi che se avessi fatto una brutta fine non avrei comunque avuto nulla da perdere ma la verità era che qualcosa l'avrei persa lo stesso. Avrei perso la possibilità di continuare nella mia missione e al pensiero di questo mi sentivo già sconfitto. Tuttavia in quel momento la mia mente era affollata da non pochi pensieri. Il mio ultimo pensiero prima che la mia attenzione fosse catturata da un movimento di David fu rivolto a Mackenzie. Da quando l'avevo vista non smettevo a non pensare a quella donna dal viso angelico. Da quando era iniziata la guerra era la prima volta che provavo un sentimento diverso dai sentimenti di complicità e affetto che provavo nei confronti dei miei compagni, della mia nuova famiglia, dei Ribelli. Rimpiangevo di non averla salutata, di non averle detto della mia partecipazione a questa missione non poco pericolosa... Rimpiangevo di non aver passato abbastanza tempo con lei. Avevo portato con me una bottiglietta contenente della verbena liquida, un pugnale e il pezzo forte: una pistola con delle pallottole fatte di verbena. Era stata mia madre che mi aveva insegnato a farle e finora si erano sempre rivelate molto utili. Avevo i pantaloni ormai sudici a causa dell'acqua che c'era in quello stretto cunicolo che bagnava i miei pantaloni, la fronte bagnata di sudore e l'ansia aumentava sempre di più. C'è stato un attimo, qualche giorno prima della missione, in cui pensai di abbandonare tutto. Pensai ciò alimentato dal desiderio di poter passare più tempo con questa donna. Piuttosto egoista come pensiero, è vero... Ma poi pensai a mio padre. Ai ribelli. Al resto della mia famiglia che era tenuto prigioniero in quella sudicia torre, in quel teatro degli orrori. Loro erano ben più importante. Se non ne fossi uscito vivo sarei morto da guerriero. E io dovevo lottare per loro, per quello in cui credevo, per far avere a Mackenzie un futuro migliore perché io ci credevo in una futura sconfitta dei Lancaster. Mio padre era un ribelle e questo David e suo padre lo sapevano. Ma perché non io? Non ho mai perdonato mio padre per aver tenuto questo nascosto a me e alla mia famiglia, mai. Era stato un vigliacco che temeva di metterci in pericolo. Come se cacciare queste creature non lo fosse già abbastanza. Io non sarei stato vigliacco come lui. Io ero diverso. Sgranai gli occhi ed osservai ogni minimo movimento di David e di Julia. Avevo capito cosa David volesse. Strinsi gli occhi e serrai la mascella ancora più forte, cercai di controllare il mio respiro e di essere il più silenzioso possibile. Julia scagliò la prima freccia, poi la seconda. Allungai leggermente il collo in attesa di un minimo movimento dei miei compagni, in attesa di un attacco di una guardia. L'ansia, la paura, i rimorsi sembravano essere scomparsi. La mia mente era vuota. Sentivo in me un istinto animale che mi avrebbe portato a dare il meglio di me per riuscire in ciò che credevo. Quegli uomini, i nostri uomini, dovevano essere liberati da quella torre delle torture anche a costo della nostra stessa vita.
    It's the moment to live
    and the moment to die,
    the moment to fight.

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  8. London gdr
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    I soldati a guardia dell’oscuro passaggio si rendono conto dell’arrivo dei ribelli, ma è troppo tardi. Chiacchierano tra di loro, convinti che nessuno potrà arrivare da quel luogo ormai sigillato da anni e quando finalmente uno di loro riesce a captare qualcosa la ribelle ha già scagliato una delle sue frecce avvelenate proprio su di lui. L’altro tenta di scappare, sa di non potercela fare da solo e quindi corre a suonare l’allarme prima di essere colpito dalla seconda freccia. Le campane risuonano lungo l’oscuro corridoio alle loro spalle e i ribelli sanno di non poter più giocare sull’effetto sorpresa. Si mettono comunque in modo, il capo dei ribelli si affida alla sua bussola incantata affinchè lo guidi lì dove desidera, ma un gruppo di tre vampiri in veloce discesa dalla torre si avventa su di loro per placare la loro ascesa. I ribelli si dividono, un piccolo manipolo riesce a sviare i vampiri e procedere verso l’interno della torre mentre il restante si ferma a combattere i vampiri.


    Non è stato specificato chi esattamente tra i ribelli resta a combattere contro i vampiri e chi invece prosegue, potete decidere voi in questo caso cosa far fare ai vostri pg. Tutti i ribelli giocanti possono anche rimanere a combattere o salire tutti e lasciare ai pgn il resto dell’azione. Chi si trova sulla Torre può descrivere l’arrivo di qualche png.
     
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  9. Arabêlla
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    Killian Jackies » scienziato
    Non ero mai stato un uomo dalla personalità forte, non ero mai stato un leader, ma nonostante questo quando ritenevo che una determinata cosa andasse fatta, tentavo in tutti i modi di portarla a termine. La cura era una di quelle poche cose per le quali avevo ritenuto giusto perseverare, fino allo sfinimento, fino alla morte se fosse stato necessario. Durante tutta la mia vita, quasi fosse un paradosso, uccidere era stato ciò che più mi aveva frenato. Da soldato avevo rischiato parecchio, questo perché togliere la vita ad una persona o a qualsiasi essere vivente, per me, andava contro la natura stessa, contro qualsiasi Dio esistente. Era ingiusto. Non ero un fanatico, ero religioso sì, ma la religione non mi aveva mai indotto alla pazzia. Non avevo ritenuto giuste le crociate passate, così come non ritenevo corretto uccidersi per una fede diversa. Sullo stesso principio si basavano anche le mie teorie riguardanti le varie specie. Perché decretare la fine di una vita, sebbene diversa da noi? Chi ci conferiva tale potere?
    Ecco, proprio perché era quello il mio modo di pensare, ero sempre stato considerato un debole, un inetto. Anche mio padre lo aveva pensato e me lo aveva fatto comprendere in più modi, ma nonostante quello non avevo mai smesso di volergli bene finché era rimasto in vita. Probabilmente anche tra i ribelli stesso vi erano coloro i quali mi consideravano uno con poco polso, forse era anche vero, ma non ero un codardo e conoscevo i miei limiti, la mia paura ed il mio disgusto nell'uccidere. Avevo tolto la vita a qualcuno e innumerevoli volte, spesso durante i miei esperimenti, ma mai era diminuito il peso che sentivo sul mio cuore ogni qual volta qualcuno spirava davanti al mio sguardo. La delusione di aver fallito ancora e di non aver nemmeno fatto un passo avanti per la cura al vampirismo mi deprimevano e frustravano. Uccidere e non progredire mi devastano.
    Non ero mai stato un uomo d'azione e forse era stato anche per quello che, in quel momento, mi trovavo incatenato nella torre di Londra, il posto più temibile sulla faccia della terra, quello da cui nessun prigioniero, David Morren come eccezione, era mai uscito o se lo aveva fatto era stato da morto al di sopra di una lettiga. Non desideravo morire, non prima di aver aiutato mio fratello, non prima di averlo salvato dalla sua eterna sofferenza. Pessimista di natura, mi ritrovai a guardarmi attorno, sempre più conscio del fatto che quel luogo sarebbe diventato ben presto la mia tomba. Una sorta di angoscia parve impossessarsi di me, non permettendomi di ragionare e pensare con lucidità. Avrei voluto mantenere la calma, ma il mio corpo non sembrava riuscire a stare calmo, la mia mente confusa inviava segnali errati ed io reagivo di conseguenza. Una strana presenza si avvicinò a ove ero imprigionato e fu allora che vidi per la prima volta uno dei miei aguzzini. Lo sguardo da pazzo e da assassino che mostrava l'uomo mi fece raggelare il sangue nelle vene, mentre i miei muscoli in uno spasmo involontario si contrassero visibilmente. La mia attenzione era rivolta totalmente a lui, sebbene, un po' per la luce fioca e un po' per i miei occhi stanchi e provato, non riuscivo a mettere a fuoco bene la sua figura. Emanava un odore di potere e di perfidia, che quasi sovrastava il fetido puzzo della prigione. Temibile fu l'aggettivo che gli affibbiai, riuscendo a scorgere una spada tra le sue mani. Si rivolse a me con la sua irritante voce, la quale mi fece arricciare il naso. Continuai a guardarlo dritto negli occhi, mentre uno strano desiderio di morte s'impossessava di me. Ne fui terrorizzato, anche perché non avevo mai provato un simile desiderio. Era male ciò. Io non ero come lui, così felice di intrattenersi in una disputa all'ultimo sangue. Sarei ben felice di avere sulla coscienza il peso della tua morte e di tutti gli aguzzini di questo infernale posto. Non potevo essere stato realmente io a parlare! Non solo perché avevo ammesso che avrei trovato fin divertente vedere infilzata su una forca la testa di quell'essere spregevole, ma anche perché se fossi stato ucciso avrei vanificato il salvataggio dei ribelli. Stavano davvero venendo in mio soccorso? O era solo una beffa di quell'uomo? Mentiva? Anche se la sua eccitazione per quell'evento era palpabile, come se realmente non vedesse l'ora di spargimenti di sangue. Trattenni a stento un conato di vomito a quel disgustoso pensiero, non molto lontano dalla realtà purtroppo. Il pazzo non aveva ancora concluso con me e ben presto mi ritrovai la sua spada sotto il mio mento, non risposi questa volta alle sue futili parole. Tacqui, voltandomi, una volta che ebbe allontanato l'arma, verso dove udivo concitati rumori. Trattenni il fiato, scosso da improvvisa adrenalina. Un urlo squarciò la cantilena lamentosa dei prigionieri. Erano arrivati. I ribelli erano giunti. Folli. Ma la speranza sostituì il mio pessimismo iniziale.

    I’m just the same as I was
    Now don’t you understand
    That I’m never changing who I am

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    DAVID MORREN » capo dei ribelli
    Nei giorni a venire non si sarebbe parlato che di questo, di come un gruppo di ribelli avesse tentato di entrare nella Torre di Londra, fare breccia tra le difese dei Lancaster per salvare dei propri compagni, rischiare il tutto per tutto in nome di un ideale e di una missione di libertà e speranza. Speranza, fossimo riusciti nel nostro intento o meno, ciò che mi auguravo era che gli esseri umani potessero ritrovare della speranza, in noi ribelli, nella nostra causa, in generale nell’umanità e nella lotta per la libertà che stavamo combattendo e che era la lotta di tutti noi, umani e non, perché non eravamo gli unici ad esser stati schiacciati e soggiogati dal dominio dei vampiri, non eravamo gli unici a desiderare un futuro migliore. Ero consapevole che un ritorno al passato non sarebbe mai stato possibile, ora che il mondo del sovrannaturale si era infine rivelato, uscendo dall’ombra e dalla paura in cui era stato relegato per così tanto tempo, le cose non sarebbero più potute tornare a come erano state, gli uomini non avrebbero mai riottenuto il dominio incontrastato, anche solo pensarlo era folle, una speranza vana e irrealizzabile. Non era per questo che combattevo, ciò che cercavo non era il potere, ma la libertà, un futuro diverso, dove non vi sarebbero stati più oppressi ed oppressori, qualcosa che sarebbe stato necessario costruire e creare dal principio, perché totalmente nuovo, qualcosa di mai realizzato prima di allora. Forse non tutti i ribelli erano della mia stessa idea, probabilmente molti di loro desideravano spazzare dalla faccia della Terra qualsiasi creatura e per quanto io stesso nel profondo desiderassi annientare i vampiri e le creature spregevoli che li affiancavano, ero ormai consapevole che il passato sarebbe rimasto sempre e solo tale. Per certi versi, persino la stessa ricerca di una cura al vampirismo contraddiceva questo mio pensiero e questa mia speranza per un futuro migliore e completamente diverso, ma non poteva esservi cambiamento senza una scossa potente, non per come stavano le cose in quel momento, non in tempi come quelli e allora ciò che dovevamo fare era gettare le basi per un mutamento futuro, strapparci a quella condizione anche con la forza e la violenza, se necessario, riacquisire la dignità e la libertà perduta, prima ancora di pensare a come evitare che quei tempi di sangue e distruzione potessero tornare ancora una volta, in un futuro prossimo o lontano. Stavamo scrivendo la storia in quel momento, con ogni nostra azione, perché il futuro avrebbe trovato le sue fondamenta in esse e allora tutto ciò che stavamo facendo, i sacrifici, le perdite, niente sarebbe stato vano. Non sapevo se avrei vissuto abbastanza per vedere il nuovo mondo per il quale stavo lottando, ma avrei fatto del mio meglio per fare sì che potesse avverarsi, anche se ciò significava dare la mia stessa vita. Vedevo la speranza negli occhi dei miei compagni ed era questa che volevo potessero trovare anche tutti gli altri, anche coloro che si erano arresi e avevano smesso di lottare, era anche per questo che stavamo agendo quella notte ed ero certo che le nostre gesta sarebbero rimaste nella memoria della gente, tra gli abitanti di Londra e non solo, perché azioni simili sarebbero corse nel vento e di bocca in bocca e neanche i Lancaster avrebbero potuto fermare tutto ciò. Osservai Julia superarmi al mio cenno e tendere l’arco, ricercare lo spazio necessario per compiere quei movimenti e prepararsi a scoccare la freccia così come l’avevo vista fare tante e tante altre volte prima di allora, perfetta in ogni suo tiro, una forza e sicurezza per il nostro gruppo, così come lo era chiunque ne facesse parte. Talenti e conoscenze diverse ma messi al servizio di un solo scopo, non eravamo soldati ma persone comuni che avevano imparato a combattere e ora mettevano quelle abilità al servizio di un ideale più grande, ma non solo, perché non eravamo solo questo, non era solo sulla forza e la capacità di combattere che facevamo affidamento, ma anche su menti brillanti, come quelle degli scienziati che si erano uniti a noi, quella di Killian, ora rinchiuso in quella Torre. Il mio corpo si tese, i muscoli si contrassero, pronti a scattare, quando vidi la prima freccia conficcarsi nella carne di una delle guardie e dare così inizio al nostro attacco, perché nonostante la velocità di Julia, la guardia fu più rapida di lei, abbastanza da correre a dare l’allarme e avvertire il resto della guarnigione a sorveglianza della Torre. Serrai la mascella, stringendo la presa sulla pistola e sollevando il braccio libero a frenare ancora chi mi seguiva in quel cunicolo stretto, mentre la seconda freccia raggiungeva la guardia, ponendo un fine al suo allarme, anche se ormai troppo tardi. Non una voce si sollevò in quello spazio angusto, ma riuscii ugualmente a percepire la tensione, le menti correre febbrili verso lo scontro che sarebbe avvenuto di lì a pochi secondi, i movimenti di chi si spostava per far spazio ad una nuova figura. Avevo avvertito i ragazzi che qualcuno, quella notte, avrebbe potuto unirsi a noi, non avevo fatto il nome di lei, di Calliope, perché avevo voluto evitare reazioni negative, ma avevo deciso ugualmente di avvertirli cosicché non reagissero male al suo arrivo, nel momento in cui nessuno avrebbe più osato lamentarsi, perché sapevo che sarebbe giunta, sapevo che si sarebbe riunita a noi infine, l’avevo informata di quell’attacco per questo motivo. Incontrai il suo sguardo, rivolgendole un breve cenno di assenso, un bentornata che era anche un ringraziamento, perché avremmo avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile e perché ero contento di rivederla tra le nostre fila. Eravamo stati individuati e anche quel nascondiglio non poteva più proteggerci, non potevamo far altro che combattere. Non erano necessari incoraggiamenti, né erano più utili parole che li avrebbero spronati a lottare, perché ognuno di noi era lì per quel motivo e ognuno di noi era pronto ad affrontare ciò che ci aspettava, dunque non persi altro tempo - ORA! - a quelle parole scattai in avanti, verso l’uscita di quel cunicolo e sbucando all’aperto, constatando con sollievo e sorpresa che ci trovavamo all’interno della seconda cinta muraria, lì dove vi erano gli edifici principali e l’ingresso alle prigioni. Mi guardai attorno il tempo necessario per individuare le guardie che, ad armi sfoderate, si dirigevano correndo verso di noi, confluendo nello spazio in cui ci trovavamo, ancora abbastanza distanti da permetterci di scattare verso il luogo di cui dovevamo trovare l’entrata. Abbassai rapidamente lo sguardo alla bussola fissata alla cintura, affidandomi all’incantesimo che era stato imposto su quell’oggetto e che ci avrebbe condotto ovunque desiderassimo andare, ovunque il suo possessore volesse recarsi, ovvero le prigioni, il cuore di quel complesso di morte. Il mio sguardo seguii la direzione indicata dall’ago, fino ad un’entrata stretta tra due maestosi ma bassi bastioni, l’accesso che ci avrebbe condotto a quel luogo di orrore che era l’incubo di chiunque in città - Da questa parte! E’ lì! - esclamai a gran voce ai miei compagni, perché potessero udirmi e seguirmi verso il luogo indicato, ma in quello stesso istante tre soldati ci piombarono addosso sfruttando la loro velocità innaturale e sfoderando spade e armi da fuoco, così come i denti aguzzi che dimostrarono la loro natura. Mi abbassai appena in tempo per evitare il colpo di una di queste, tendendo il braccio e la pistola verso uno dei vampiri, scagliatosi contro uno dei nostri. Sentii la pallottola sibilare, ma il mio sguardo fu catturato dall’arrivo di altri soldati, i quali ci avrebbero impedito di raggiungere la nostra meta se solo non ci fossimo mossi in quell’esatto momento. Incontrai lo sguardo di uno dei miei uomini e lo vidi annuire, lo sguardo duro e fermo che ben comunicava le sue intenzioni e ciò che a parole non poteva esprimere. Annuii di rimando, mascella serrata così forte da far male. Dovevamo muoverci, raggiungere l’entrata alle prigioni il più velocemente possibile, farlo subito, mentre alcuni di noi si sarebbero fermati lì a combattere, a tenere occupate le guardie per permetterci di procedere - Dobbiamo raggiungere quell’entrata, dobbiamo farlo subito - esclamai ai ribelli più vicini a me, scattando poi nella direzione indicata e verso la quale stavano ora convergendo altre guardie, prive di denti aguzzi ma ugualmente veloci, probabilmente dei licantropi. Alcune frecce vennero scagliate verso di noi dall’alto delle mura e una di esse andò a ferirmi il braccio che non teneva la pistola, colpendolo di striscio e facendomi ringhiare di dolore, ma non fermare, perché se mi fossi fermato sapevo sarebbe stata la mia fine - E’ Morren! E’ David Morren! - alcune voci concitate presero a spargersi per l’ampio spazio aperto del complesso, dove ora si muovevano svariate guardie - Si dirigono verso le prigioni, fermateli! - altre voci e passi veloci, mentre l’infuriare di un combattimento alle nostre spalle mi comunicava che alcune delle guardie erano state bloccate dai nostri, dandoci il tempo di avanzare - Lasciateli andare, ci penserà lo stregone - questa volta la voce sembrò divertita e quella perversa malignità mi riportò alla mente ricordi di istanti passati in quel luogo, incubi notturni e i mostri che ci attendevano tra quelle mura. Raggiunsi l’entrata delle prigioni senza altre difficoltà, puntando la pistola contro la serratura dell’inferriata che sbarrava il nostro cammino e l’accesso a quel luogo pericoloso. Il proiettile contro il ferro generò scintille e un rumore metallico e il cancello si spalancò in risposta, lasciandoci entrare e sprofondare nell’oscurità di quel luogo illuminato solo da tremolanti torce fissate alla parete. Con un ultimo sguardo mi voltai verso lo spiazzo aperto in cui ci eravamo trovati fino a qualche secondo prima e dove vidi alcune guardie ferme a metri di distanza, un ghigno sulle labbra, probabilmente certi dell’inutilità del loro intervento ora che avevamo messo piede in quel luogo, quasi spettatori divertiti di un massacro o meglio, di una missione suicida. Mi voltai nuovamente verso l’interno dell’edificio, sfruttando la luce delle torce per avanzare e controllare la bussola - Non ci seguiranno, ci danno per spacciati e non hanno poi così torto, in questo luogo vi sono trappole e incantesimi di ogni genere e a quanto pare anche almeno uno degli stregoni. Dobbiamo fare attenzione, lì fuori è stato solo l’inizio, è qui dentro il vero pericolo. Julia, sei certa che quella pietra funzioni? Potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte - le chiesi, guardandola in volto in quella semi oscurità, per poi spostare lo sguardo verso i pochi che mi avevano seguito - Potrebbero esserci dei soldati anche qui dentro, forse sarà necessario dividerci ancora. State pronti. Qualsiasi cosa accada, ricordate per che cosa stiamo combattendo - mi concessi quegli ultimi istanti per scambiare quelle ultime parole con i miei compagni, per poi sollevare ancora una volta la bussola e annuire - Voi, vi voglio subito dietro di me, Julia, tu resta al mio fianco - dissi alternando lo sguardo tra i miei compagni, per poi voltarmi verso il corridoio che sprofondava nell’oscurità e calava verso il basso.
    a warning to the people
    the good and the evil

    this is war
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    so che Julia seguirà David, quindi mi sono rivolta specificatamente a lei, ma con quel ''voi'' David starebbe rivolgendosi a Calliope e Alexander, solo che non sapendo per certo che cosa volevate far fare ai pg ho preferito lasciare sul vago, spero vada bene! Andate pure avanti e fateli procedere fino alle prigioni, altrimenti non ci arriviamo mai XD
     
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  11. Wonderland
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    Julia Harrison » Umana/Ribelle
    Julia sentiva il rumore del suo stesso flebile respiro, un soffio di vita e di morte. Tesa, seria, concentrata, scoccò la prima freccia che giunse a destinazione, colpendo una delle due guardie. Priva di esitazione, rapida e attenta, la ragazza prese la seconda freccia e seguì il movimento della seconda guardia. Doveva essere il più veloce possibile e impedirgli qualsiasi azione. Tese l'arco, scagliò la freccia, ma il rumore dell'allarme le arrivò all'orecchio un attimo prima che lui cadesse a terra, sconfitto. Era troppo tardi, l'allarme ormai suonava.
    “Dannazione...” imprecò a denti stretti, in un sussurro flebile. Trattenne il respiro, spaventata e innervosita dall'aver in parte fallito il suo ruolo. La battaglia era iniziata.
    Quando sentì una mano sulla spalla, si voltò con un sospiro. Sapeva che c'era David dietro di lei: forse aveva un piano, forse voleva complimentarsi per aver comunque colpito le guardie, forse rimproverarla per non essere stata più rapida. Forse aveva un piano per portarli verso la salvezza. In preda alla confusione, si voltò rapida, parlando prima ancora di guardarlo.
    “Mi spiace Dav...” Ma non era David ad averla richiamata. Quando vide chi c'era al suo posto le si spezzò la voce e il suo viso impallidì di colpo. Completamente raggelata, con il sottofondo caotico dell'allarme suonato, spalancò gli occhi scuri, come se avesse di fronte un fantasma. La sua bocca schiusa tremò. Dopo un lungo istante di incredulo stupore abbassò di scatto lo sguardo verso il suo pugnale, cercando la pietra incastonata che si illuminava in presenza di magia. Era spenta. Questo significava forse che la donna di fronte a lei era davvero... Lei? Con un groppo alla gola e gli occhi umidi rialzò lo sguardo verso i lineamenti di quel viso che conosceva a memoria, offuscati dalle sue stesse lacrime che stava trattenendo a fatica. Era lei. Si gettò a capofitto contro Calliope, col rischio di travolgerla, cingendole il corpo con le braccia e stringendola a sé il più forte possibile. Mormorò il suo nome contro il suo orecchio, con la voce incrinata di felicità e stupore. “Calliope... Calliope.” continuò a bisbigliare senza riuscire a smettere. Era senz'altro il momento peggiore per lasciarsi andare a quel tipo di felicità, ma nessuno l'aveva avvertita ed era impossibile, per lei, adesso, resistere a quell'ondata di violente emozioni. Completamente stravolta si staccò dall'amica a fatica, spinta dalla voce di David che li incitava tutti ad avanzare, e tornò a fissare il resto del cunicolo. Doveva concentrarsi. Non rimuginare su Calliope, ma su come rimanere viva. Perse tempo per mettere a fuoco il posto, per ritrovare la concentrazione, per asciugarsi le lacrime che le appannavano la vista, per abituarsi a quell'incessante rumore dell'allarme. Continuava ad essere sconvolta, ma si mosse in avanti verso l'uscita del cunicolo e tentò di afferrare la mano di Calliope per trascinarla con sé, dietro David. Intenzionata a non perderla, non ancora, non di nuovo. Aveva un milione di cose da chiedere, ma non poteva. In piedi, con l'arco sempre fra le mani, fissò i nemici che avanzavano con gli occhi ancora appannati di lacrime. A causa del suo umore perse il tempo necessario a riprendere le sue due frecce e dovette, a malincuore, rinunciarvi. Ma riuscì a seguire il capo verso un’entrata stretta tra due maestosi bastioni, l’accesso che evidentemente li avrebbe condotti verso le prigioni. Ancora a metà strada, d'improvviso vide delle frecce giungere verso di loro. Una colpì David di striscio e una seconda le sfiorò la guancia graffiandole la pelle. Un rivolo di sangue le scivolò mentre lei, terrorizzata, tentò di evitarne una terza appiattendosi a terra. Dandosi uno slancio col piede, il ginocchio piegato e la gamba che veniva di colpo tesa, scattò in avanti per raggiungere le spalle di David mentre lui era intento a forzare la serratura con la propria pistola. Si voltò di scatto e appoggiò la schiena contro la sua, coprendogli le spalle con naturalezza. Prese la terza freccia dalla faretra, la mise sull'arco e tese la corda per colpire un nemico che si stava avvicinando. Non sapeva se fosse vampiro, soldato, licantropo o altro: lei lo colpì, dritto sul petto, per proteggere David. Il rumore infernale del proiettile contro il metallo si mischiò al caos della battaglia e le fece comprendere intanto che il cancello si fosse finalmente aperto, poi di colpo, varcata quella soglia dietro l'amico, fu buio pesto. Torce tremolanti accompagnarono con una luce fioca e inquietante la loro follia fatta di speranza e buone intenzioni. “Ma Calliope...” mormorò ancora incredula, senza riuscire a rimandare la questione. Non le uscì fuori nessun'altra parola però e subito dopo scosse il capo, come per tentare di recuperare ancora la concentrazione. Le parole di David l'aiutarono a focalizzare l'attenzione su ciò che, ora più che mai, contava realmente: la loro vita. Julia si schiarì la voce e prese un profondo sospiro, annuendo con foga.
    “Funziona. Non ci abbandonerà proprio adesso.” mormorò, tentando di fare un sorrisino incoraggiante. Le uscì fuori solo una smorfia impaurita, ma a modo suo stava tentando di stemperare la palpabile e sacrosanta tensione. Con un movimento atletico del corpo si piegò in avanti e prese il coltello dallo stivale, lo infilo nella sua cintura, assicurandolo lì e lasciando così in bella vista la pietra che adornava l'elsa.
    “Potete vedere tutti da qui la pietra di questo pugnale. Se si illumina, siamo in presenza di magia, e quindi occhi aperti.” mormorò ai compagni, prendendo una nuova freccia dalla faretra per posizionarla sull'arco. Fissò il profilo di David, affiancandolo lungo il tragitto verso le prigioni. La sua bussola era la loro guida, lui era la loro guida. “Come ti senti? Sei ferito” gli chiese, in preda a un febbrile bisogno di comunicare. Lo fissò per intero, scovando una ferita sul suo braccio. Sembrava superficiale. Voleva sentirlo vicino, voleva sentire vicino Calliope, Alexander, tutti loro. Ne aveva bisogno. Passò il polso sul suo viso, portando la stoffa della manica sul sangue che le colava dalla guancia per asciugarsi. Anche lei aveva solo un graffio superficiale, nulla che ancora potesse impedirle movimenti e attenzioni. ”Li uccideremo tutti.” decretò, vinta da un rinnovato e profondo coraggio scaturito dalla paura. Puntò ancora l'arco con la freccia in avanti, pur senza tendere la corda, continuando a seguire la bussola per avanzare verso le prigioni. Che fosse la realtà o solo una sua inquietante visione delle cose, il corridoio sembrava condurli nell'oscurità più totale. E non le piaceva affatto.

    Do you hear the people sing?
    Singing the song of angry men.

    It is the music of a people who will not be slaves again.

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    CALLIOPE ALISEA PHOENIX » ribelle
    Mi ero domandata spesso come avrebbero reagito gli altri ribelli vedendomi tornare fra di loro, dopo tutto quel tempo trascorso a corte con Erik, sempre pronta a servirlo e a tacere su ogni cosa. Probabilmente mi avevano dato ormai per morta, e se anche avessero immaginato il contrario, avrebbero pensato che avrei potuto facilmente vendermi ai Lankaster, mettendo in pericolo ogni singolo volontario che era entrato a far parte dei ribelli da quando era scoppiata la guerra. Fortunatamente, non avevo lasciato che una situazione scomoda come quella potesse plasmarmi, facendo capovolgere le mie opinioni e lasciando che cambiassi i destinatari del mio immenso rispetto. Ero giunta fin lì, quella sera, per provare ancora una volta che Calliope era sempre la stessa e che, nonostante avesse dovuto sacrificarsi per amore della propria unica figlia, era nuovamente pronta e attiva per cercare in qualsiasi modo di rendere giustizia a chi la meritava. Le frecce filarono silenziose in direzione delle due figure, anche se la seconda andò a colpire la guardia solo un attimo dopo che questa ebbe attivato l'allarme che avrebbe avvertito chiunque, al di fuori del tunnel, del nostro arrivo. Julia si voltò verso di me, probabilmente convinta che la mano posata sulla sua spalla appartenesse a David o a qualcuno che si trovava dietro di loro prima del mio arrivo. Non sapevo cosa aspettarmi da lei, quale reazione avrebbe suscitato nella sua persona il fatto che io fossi proprio lì, davanti i suoi occhi. Temevo che avrebbe potuto prendere male il mio arrivo, l'apparizione della sua migliore amica dopo che per mesi interi non ne aveva avuto notizia. Eppure, l'unica cosa alla quale riuscii a pensare, una volta che il mio sguardo si fu finalmente incrociato col suo, era che, nonostante mi fossi programmata cosa dire e cosa fare in sua presenza, avrei voluto abbracciarla e sapere che stava bene. Ci mise qualche secondo per rendersi davvero conto della mia presenza in carne ed ossa a solo qualche centimetro di distanza da lei, poi si avvinghiò con entrambe le braccia alla mia vita, stringendomi in un abbraccio che distese quasi un velo di tristezza su di me: in quel momento, ero io che non riuscivo più a distinguere la realtà dalla finzione. Avevo sognato così tante volte un abbraccio che quando era giunto finalmente il momento di riceverne uno reale, mi ero sentita strana, inadeguata, come se non fosse stato ciò che avevo desiderato per mesi. Da quanto tempo non abbracciavo una persona? E da quanto non donavo il mio affetto a qualcuno? «Julia...» sussurrai, piano. Volevo essere certa che la voce fosse la mia, che ne possedessi ancora una. Solo dopo qualche secondo sollevai le mani in direzione del suo viso, contro la mia spalla, e le accarezzai dolcemente i capelli per un brevissimo istante, prima di allontanarla da me. David aveva bisogno di due combattenti decise e forti, non di due fragili persone, legate da un rapporto quasi di sorellanza, che si ritrovano dopo tempo. Sorrisi a Julia, e dopo aver afferrato la mano che mi aveva teso poco prima, la spinsi in avanti, costringendola quasi a camminare. «Caccia quelle lacrime, non ci servono stanotte.» le dissi stringendole appena più forte la mano, una volta alzato il passo verso l'uscita del cunicolo buio. Ci ritrovammo all'interno della seconda cinta muraria, dove altre guardie attendevano il nostro arrivo: tre uomini, probabilmente vampiri, ci piombarono addosso ma vennero fermati da alcuni ragazzi dietro di noi; decisi di estrarre il pugnale che avevo sistemato nello stivale destro, proprio nel momento in cui David ci spiegò che avremmo dovuto raggiungere in tutta fretta l'entrata alle prigioni, quella che la sua bussola incantata stava indicando. Perciò mi abbassai e allungai una mano verso l'orlo di stoffa degli stivali che arrivava quasi al ginocchio, e infilai l'indice e il pollice tra la pelle e lo stivale, ed estrassi frettolosamente la lama ormai riscaldata dal calore della mia carne. Mi sollevai e mi accorsi che dall'alto scoccavano delle frecce in nostra direzione. Non allentai la stretta di mano con Julia, avevo bisogno di sentirla accanto a me, di saperla viva. Una delle frecce aveva colpito un braccio di David, un'altra la guancia di Julia, e una terza stava sfrecciando ancora una volta in loro direzione. Julia si abbassò nuovamente, così che io ebbi modo di provare a deviare quella freccia grazie alla mia arma appena sfoderata: la freccia con la punta in ferro si scontrò con la lama del mio pugnale e volò nella direzione opposta, finendo per terra. Riprendemmo a camminare in fretta, per raggiungere David ormai giunto dinanzi all'ingresso che ci avrebbe permesso di arrivare alle prigioni. Un rumore metallico sovrastò qualsiasi altra voce e suono udibili in quel momento: David era riuscito ad aprire il cancello che avremmo dovuto attraversare e che probabilmente ci avrebbe condotti ad una morte certa. Tuttavia, non avevo paura, volevo solo che i miei pensieri si annullassero in modo tale da permettermi una lucidità mentale e sentimentale che avrebbe potuto rendermi solo più forte e decisa. Non mi curai di ciò che alcune guardie della torre stavano dicendo poco distanti da noi: le loro parole non scaturirono in me altro che rabbia nei loro confronti, e nei confronti di chiunque fosse diverso da quelli come me e come i compagni che avevo accanto. Abbandonai la mano di Julia nel momento in cui lei dovette scoccare una freccia contro una delle guardie che si stava avvicinando alle mie spalle. Dopo che l'uomo fu colpito in pieno petto, posai una mano all'altezza dell'addome della mia amica e la spinsi oltre l'ingresso, facendolo attraversare anche prima di me ad alcuni di noi che avevano deciso di salire insieme con David nella torre. «Presto!» esclamai a quei pochi, incitandoli a fare in fretta, prima che qualcuna della guardie decidesse di far sparire i loro ghigni dalle labbra e si precipitasse ad attaccare ancora, per sterminarci completamente e toglierci ogni possibilità di sopravvivenza. «Non ne uscirete vivi.» strillò uno di loro in mia direzione. Neanche questa volta mi curai delle parole che giunsero alle mie orecchie come spilli incandescenti. Sapevo che probabilmente quell'uomo aveva ragione e che stavamo rischiando tutto, addentrandoci nella torre, ma non era quello il momento di preoccuparsene. In qualche modo, quelle parole mi resero ancora più determinata e decisa. Prima di oltrepassare la soglia che mi avrebbe fatta inghiottire in un buio pesto, mi accertai che nessun altro fosse rimasto fuori, dopo di ché raggiunsi gli altri, all'interno dell'edificio. Udii David parlare dei pericoli che avremmo incontrato una volta dopo essere entrati nella torre, e assicurarsi che la pietra di Julia funzionasse a dovere. Avanzai, raggiungendo David. I miei occhi si abituarono presto all'oscurità che regnava in quel luogo terrificante. Quando David ordinò di stargli dietro, riposizionai il pugnale nel punto in cui lo avevo sistemato inizialmente e con entrambe le mani estrassi la spada dalla sua fodera, dietro la mia schiena. Il rumore che scaturì dal contatto tra le due superfici fu lieve, eppure riempì quel silenzio soffocato e carico di angoscia che ci intrappolava nel buio. Ne strinsi il manico con entrambe le mani e lasciai che la punta della lama si posasse sul pavimento in pietra. «Vi copriamo le spalle.» dissi, con tono deciso. Poi sollevai la spada dal terreno, mantenendola solo con la mano sinistra, e cominciai a camminare, seguendo i passi di David e Julia davanti a me. Non avevamo idea di quello che avremmo trovato sul nostro cammino, eppure nessuno mai si sarebbe sognato di tirarsi indietro proprio in quel momento così decisivo.
    Per qualche istante, m'illusi che sarebbe stato facile poter raggiungere le prigioni: il buio che ci circondava era spezzato solo dal rumore dei nostri passi e dai respiri tesi e spezzati che regolavano il nostro battito cardiaco. Mantenevo la spada a pochi centimetri dal terreno e ogni tanto si sentiva il suono provocato dalla punta della lama che batteva sul terriccio di pietre sotto i nostri piedi. Fu mentre stavo afferrando il manico della mia stessa spada con la mano destra che un rumore sordo proruppe nel silenzio: qualcuno era venuto a farci visita. Una risata squarciò il silenzio e poi dei passi affrettati risuonarono in lontananza. Per un istante, ci fermammo tutti, prestando attenzione ad ogni singolo particolare che potesse avvertirci di una presenza sgradita. Mi guardai intorno, con attenzione, cercando di mettere a fuoco ogni centimetro del corridoio buio e largo, mentre con la spada ferma tra le mani, puntavo il vuoto pronta ad attaccare un'eventuale minaccia. Eravamo giunti allo sbocco che conduceva alle prigioni: una flebile luce proveniva dalla parte destra di quello che all'apparenza mi era sembrato un corridoio senza fine. «Dobbiamo uscire di qui in fretta.» consigliai, rivolgendomi a David davanti a me. Solo qualche passo ancora e avremmo raggiunto la fonte di luce che tanto avremmo voluto vedere e che allo stesso tempo, ero sicura, avremmo detestato per quello che ci avrebbe mostrato.
    Non ci volle molto, fummo veloci e scaltri: gemiti di dolore, lamentele e cattivo odore, impregnavano quel luogo. Un brivido mi corse lungo la schiena alla vista di ciò che era situato entro quelle mura di pietra. Ad attenderci, guardie che non riuscii neanche a contare per colpa di un'agitazione che aveva appena preso possesso del mio stomaco. La prima cosa che feci, invece, fu quella di guardarmi intorno per cercare più di un viso conosciuto, nonostante Julia e David davanti a me occupassero gran parte del mio campo visivo; Clarissa era lì dentro? Non riuscivo a scorgere alcun vestitino azzurro di piccola taglia, e ne fui ampiamente sollevata. Killian, uno dei ribelli catturati, era imprigionato in una delle celle, poco distante dall'ingresso. «Killian!» esclamai con un filo di voce, osservando in che stato era ridotto.

    I'm on hope
    above
    the broken dreams.

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    Ok, io li ho fatti andare avanti! Spero vada bene ciò che ho scritto! (:
     
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  13. London gdr
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    Non avendo postato nei giorni a disposizione, Isaac e Alexander saltano il turno.



    I ribelli avanzano, escono dal loro nascondiglio e proseguono la loro folle corsa all’interno della Torre, verso le prigioni, prima che un gruppo di soldati li divida. Tre di loro restano indietro, permettendo ai loro compagni di avanzare, probabilmente solo grazie al sacrificio delle loro stesse vite. Vengono circondati da creature di ogni sorta, ma non è tempo di pensare a loro poiché il resto del gruppo, capitanato dal giovane Morren, va avanti. Lo riconoscono le guardie, lo hanno già visto in passato e non possono lasciarsi sfuggire un’occasione come quella, sanno che non verrebbero mai perdonati per un simile gesto. Lo attaccano quindi, lui e i suoi compagni, ma questo non basta a fermarli perché sono troppo motivati per lasciarsi scoraggiare dai primi attacchi del nemico. Quattro dei dieci rimasti vengono feriti prima di raggiungere l’entrata delle prigioni ed essere lasciati al proprio destino. I soldati si fanno beffe di loro, nessuno pensa che potranno farcela e quindi si concentrano sui compagni che sono stati lasciati indietro. Le prigioni sono buie, illuminate solo dalla fioca e tremolante luce di alcune torce alle pareti che nascondono segreti pericoli. Basta un passo errato per cambiare le sorti di un uomo, una sola mossa sbagliata e le leve collegate alle pareti e al pavimento scatteranno senza dare la possibilità di nascondersi. Questo è ciò che accade ad uno di loro, un ragazzino troppo eccitato all’idea di far parte di quella missione per prestare reale attenzione a ciò che fa. Calpesta la mattonella sbagliata e una lancia gli trafigge la spalla, seguita da altre che iniziano ad impazzare per tutto il corridoio. Si affidano al pugnale della giovane ribelle, in grado di riconoscere la magia attraverso la pietra posta su di esso ed è questa ad accendersi quando sono quasi all’uscita, dove due porte si ergono proprio di fronte ai loro occhi: una è reale e porta al piano superiore dove si trovano i prigionieri, l’altra è un’illusione, creata appositamente per nascondere il tranello al suo interno, una piccola stanza all’interno della quale due demoni attendono nell’ombra l’arrivo dei meno attenti. Ma il fato sembra essere dalla parte di quei giovani temerari e li porta a scegliere la porta giusta, quella che li condurrà davvero nel luogo in cui i loro amici sono nascosti. Una risata maligna riecheggia per gli spogli corridoi di pietra della torre, bassa e spaventosa, divertita all’idea di poter finalmente entrare in scena. Un manipolo di soldati osserva i nuovi arrivati, ma rimane fermo, non si muove verso di loro, in attesa che questi compiano la loro mossa e cadano nella trappola che ad essi è stata riservata. La figura del loro compagno si erge di fronte ai loro occhi, imprigionato contro una parete, in fin di vita, ma quella visione non è reale, ciò che li attende se andranno avanti è un baratro che si conclude con lance appuntite, pronte ad accogliere gli uomini nella morte. Sono felici all’idea di aver trovato il loro amico così in fretta, ma questo suona come un campanello d’allarme. Il vero scienziato li scorge, vede i suoi amici e ha davanti agli occhi il baratro che li attende e sa che solo lui può davvero aiutarli tentando di guidarli attraverso gli occhi della verità.

    Potete decidere voi se farvi ferire o meno dalle lance nel corridoio. La pietra agirà per scoprire la magia nelle due porte quindi non potrà farlo davanti al falso Killian, la bussola di David potrà dare un primo vago segnale ma poi anche lei smetterà di funzionare per un po’, solo lo scienziato e il vostro sesto senso può aiutare i ribelli.

    Situazione attuale:
    David: ha usato 2 proiettili, gliene restano 8, la bussola dentro la prigione non funzionerà correttamente.
    Julia: ha usato 3 frecce, quindi gliene restano 9, la pietra non funzionerà davanti all’inganno di fronte al baratro.
    Alexander: usa almeno 1 dei 10 proiettili prima di entrare nelle prigioni.
    Isaac: la spada in questo turno non può essere incantata.

    Le altre armi sono ancora tutte funzionanti.

    Edited by London gdr - 13/3/2014, 00:00
     
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  14. Arabêlla
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    Killian Jackies » scienziato
    Il pazzo psicopatico che pareva entusiasta di uccidere non rispose alle mie provocazioni e da un lato ne fui felice, poiché mi avrebbe risparmiato dal subire nuove percosse per la mia improvvisa e sorpresa lingua lunga, ma dall'altro lato, se si fosse concentrato su di me, invece che sui miei fedeli compagni arrivo, avrebbe concesso a quest'ultimi un, seppur minimo ed insignificante, vantaggio. Così non fu, poiché lo stregone volse completamente la propria attenzione e concentrazione all'eccessivo rumore prodotto da coloro che stavano venendo a recuperarmi. Ero felice e terrorizzato allo stesso tempo, poiché temevo per loro più che per la mia di vita. Non volevo buttassero via munizioni e le loro stesse vite per salvare la mia. Una contro cinque, sei o erano di più? Inutile porsi tali domane circa il loro numero, ormai erano quasi giunti da me, pronti a lottare e a morire se fosse stato necessario. Ero così importante per loro? Sarebbe stata la prima volta che qualcuno mi riteneva così decisivo e necessario in tutta la mia esistenza e di ciò non potevo che esserne fiero. Però vi era qualcosa che mi frenava, come se un cattivo presagio mi attanagliasse nel profondo. Mi pareva quasi di vedere il futuro spargimento di sangue, quell'inutile sangue che avrebbe bagnato il pavimento già consunto di quelle carceri, rendendolo scivoloso e infernale. Attendevo quegli uomini e quelle donne coraggiose con ansia, con estrema ansia, spaventato da ciò a cui avrei potuto assistere. Fare da spettatore in una lotta era ciò che avevo desiderato sempre, piuttosto che combattere, ma non quella volta, poiché vite innocenti altrui stavano per essere sacrificate. Avevo teso le orecchie, concentrato su qualsiasi rumore che mi avvertisse del loro arrivo. Quando il trambusto si fece più vicino alzai anche il capo e finalmente li vidi. Erano giunti nella torre più controllata di sempre ed erano integri, almeno per il momento. Davanti a me però si estendevano un baratro, almeno così mi pareva di scorgere. La mia visuale della situazione non era granché e gli occhi gonfi, stanchi e lividi non mi aiutavano nell'intento. Portai nuovamente lo sguardo sui miei compagni, osservandoli silenziosamente, cercando di capire il perché si stessero avvicinando sempre più a quella sorta di burrone.
    Urlai perciò con le forza che mi rimanevano: Fermatevi! È una trappola! Vi prego fermatevi! il manipolo di soldati presenti era fermo e pareva non vedere l'ora di vedere cadere almeno una parte dei ribelli. Quei pazzi umani non sembravano aver udito le mie parole, le quali da monito si erano disperse tra le mura di quella prigione, dissolvendosi in nulla. Iniziai a sudare in preda alla paura. Moriranno tutti. Cadranno! Li stai portando alla morte Killian! Iniziai a guardarmi attorno, angosciato, in preda al panico, incapace momentaneamente di fare qualcosa per salvarli. Abbassai il capo, guardando a terra per concentrarmi meglio. Il sudore imperlava la mia fronte ed in breve tempo alcune goccioline caddero a terra. I miei occhi vagavano sul terreno. Dovevo pensare e in fretta. M'illuminai quando il mio sguardo finì su un paio di detriti, non molto distanti dai miei piedi. Tentai di reggermi sulle gambe e con un colpo secco colpii uno dei piccoli detriti, scagliandolo nella direzione dei ribelli. Finì nel precipizio, producendo un eco abbastanza rumoroso mentre rimbalzava contro le pareti della cavità. Non avevo idea se quel suono sarebbe arrivato a loro e se avesse potuto essere d'aiuto, ma con maggiore forza calciai il secondo detrito e sperai con tutto me stesso che oltrepassasse il baratro, giungendo da loro e svelando parte dell'inganno. Le gambe mi cedettero e in un gemito di dolore fui costretto a ripiegare sulle braccia. Non vidi però che fine avesse fatto ciò che avevo calciato.

    I’m just the same as I was
    Now don’t you understand
    That I’m never changing who I am

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    DAVID MORREN » capo dei ribelli
    Non era cambiato nulla in quel luogo di tortura e morte, tutto era esattamente come lo ricordavo, anche se allora, durante la guerra, non c’era angolo di Londra che non fosse occupato da scontri, caos, movimenti frenetici di chi non sapeva bene dove rivolgere la propria attenzione e il proprio intervento, di chi aveva troppe cose da tenere sotto controllo per riuscire veramente a farlo, anche tra quelle mura impregnate di sangue e al tempo animate da spostamenti caotici di pattuglie, soldati che entravano e uscivano velocemente, prigionieri condotti al loro interno ogni giorno in numero maggiore, ribelli che tentavano di farvi breccia, una confusione tale che spesso non ci si accorgeva neanche di chi veniva portato fin lì. Così era successo al sottoscritto, catturato con un altro manipolo di ribelli quando ormai la guerra risultava segnata nella sua sorte, nonostante il perpetuarsi degli scontri tra coloro che avevano appoggiato i Lancaster e chi ancora lottava ormai più per disperazione che convinzione. Sapevo che non avrei mai dimenticato per il resto dei miei giorni quel che al tempo vidi in quel luogo, le celle stracolme fino a limiti indicibili, i prigionieri schiacciati in quei luoghi angusti, i loro corpi torturati e mutilati da chi aveva voluto divertirsi con loro più che dal risultato degli scontri a cui dovevano aver preso parte, soldati che alla fine avevano trovato la soluzione più semplice per svuotare un po’ le prigioni e fare spazio ai prigionieri che giungevano ogni giorno, il sangue che impregnava le pareti e i pavimenti, quell’odore nauseabondo che mai avrei dimenticato, così come le grida, chi invocava la morte, chi gridava di dolore, i volti di chi si era arreso e attendeva la fine e chi invece continuava a lottare. Io ero stato tra questi, anche se provato, se torturato e ridotto al limite, ero riuscito a fuggire portando con me i pochi che avevano avuto la forza e il coraggio di seguirmi e credere nella follia dell’impresa. Ricordavo i loro volti mentre venivano attaccati dalle guardie che alla fine si erano rese conto di noi, nel caos della guerra, avrei ricordato per sempre i loro corpi senza vita crollare a terra, come avrei portato sempre su di me i segni di quello scontro, il ricordo di quel giorno in cui riuscii a fuggire solo grazie ad uno degli uomini più fedeli a mio padre, uno dei suoi più grandi amici, sacrificatosi perché potessi allontanarmi da quel luogo di morte, ricongiungermi a colui che aveva dato inizio a tutto quanto, Jack Morren, mio padre e così continuare a combattere, in un modo o nell’altro. Avevo portato alla morte chi aveva creduto in me e alla fine ero giunto troppo tardi. Mi era bastato guardarmi attorno per comprendere che quella guerra era ormai finita, che avevamo perso, che eravamo stati devastati, mi era bastato questo per capire dove avrei trovato mio padre, perché me lo aveva ripetuto più e più volte, mi aveva detto che qualunque cosa fosse successa, l’importante era che ciò che avevamo fatto non venisse dimenticato, ma al contrario tramandato, raccontato, così da non arrenderci, non del tutto, ma anzi avere la speranza di poter trovare nuova forza, nuove idee, nuovo coraggio in futuro. Quando ero giunto in quei nascondigli che mio padre aveva scelto come nostro rifugio, avevo trovato ciò che nel profondo una parte di me si era aspettata, caos, corpi senza vita, ma non lui e mi era bastato un istante per capire il perché. Quella notte stavo facendo ciò che avevo fatto a quel tempo, stavo conducendo alla morte giovani con un sogno e una speranza, lo stavo facendo perché li condividevo anche io e perché, ancora una volta, ero pronto a rischiare la vita pur di realizzarli o per lo meno tentare di farlo. Ero stato io stesso ad avvertire Calliope di ciò che sarebbe avvenuto quella notte e vederla arrivare non mi sorprese come fece con altri di noi, indecisi se essere preoccupati e allarmati di quell’arrivo o felici di avere un’altra persona in più dalla nostra parte. Era stata parte del gruppo, un tempo, aveva legato con molti di quelli che militavano dalla nostra parte, un’amica, una compagna, una persona fidata e sebbene molti ignorassero il vero motivo per cui ci aveva lasciati, io sapevo che poteva essere tutto questo ancora una volta, perché nonostante non avessi completamente approvato la sua decisione, al tempo, l’avevo sempre compresa. Vidi lei e Julia stringersi nell’abbraccio di due sorelle che si ritrovavano dopo tanto tempo e voltai il capo a quella scena, quasi a voler lasciare loro quel momento e perché, per un motivo o l’altro, me ne sentivo escluso - Rimandate convenevoli e spiegazioni a quando saremo usciti di qui - sussurrai con tono duro, severo, ma affatto di rimprovero, dopo qualche breve istante che concessi alle due donne per esprimere la loro felicità. Sapevo bene cosa significasse ritrovare un amico che si era creduto perduto e inoltre ero convinto che a tutti noi servisse quel tipo di speranza e conforto, il sapere di avere qualcuno accanto, qualcuno per cui combattere e a cui affidare la nostra vita, il punto era che non avevamo tempo per cose simili quella notte. Ci furono addosso non appena uscimmo da quel cunicolo, ma quella era qualcosa che ci eravamo aspettati, per cui eravamo stati pronti e per cui sapevamo cosa fare. Ci separammo e mentre un gruppo di noi li teneva impegnati, scattai verso l’entrata delle prigioni seguito dai restanti, mentre una pioggia di frecce giungeva dall’alto a ferirci soltanto, senza però riuscire a fermare il nostro avanzare. Sentii le frecce di Julia sibilare ancora mentre mi copriva le spalle e poi Calliope spingerla all’interno del buio passaggio e assicurarsi che nessuno fosse rimasto fuori, mentre le guardie si beffavano di noi e ridevano della sorte che ci avrebbe atteso in quel luogo. Non mi ero mai fidato della magia in passato, l’avevo sempre e solo guardata con sospetto e diffidenza né mai avevo voluto affidarmi a qualcosa di magico, ma le cose erano cambiate e anche io avevo imparato a mutare il mio giudizio. Eravamo muniti di oggetti magici, quella notte, sia io che Julia e mi auguravo vivamente che funzionassero, poiché gran parte della nostra impresa era affidata ad essi, non tanto perché non ricordassi i terribili passaggi che già al tempo avevo affrontato per uscire da quel luogo, ma perché la Torre stessa era piena di magia, sarebbe bastato un solo incantesimo a sviare i nostri sensi e farci finire in qualche trappola, per non parlare degli stregoni che lì si trovavano. Avevamo bisogno di tutto l’aiuto possibile e se quell’aiuto doveva provenire dalla magia, allora me ne sarei fatto una ragione. Annuii alla conferma di Julia in merito alla pietra che ornava il suo pugnale e allo stesso modo vidi gli altri sfoderare le armi e rinsaldare la loro presa su di esse e io feci lo stesso, lasciando andare la bussola lungo il fianco e sfoderando il pugnale imbevuto di veleno che avevo portato con me - Occhi aperti in ogni caso, c’è magia ovunque qui dentro e ben più potente - rincarai, senza esplicitarlo apertamente, ma facendo comprendere tutti loro che non eravamo al sicuro solo perché avevamo anche noi, dalla nostra parte, della magia, perché non mi sarei sorpreso affatto se in quel luogo vi fossero stati incantesimi per annullare l’effetto di tutto ciò che di magico non apparteneva alla Torre - Sto bene, non preoccuparti - risposi a Julia, lapidario e veloce, perché era vero e perché lo avrei detto comunque, ma soprattutto perché non avevamo il tempo di preoccuparci delle nostre ferite, ferite che vidi anche sul corpo di lei, in una rapida occhiata che le rivolsi, accertandomi anche così di come esse non fossero gravi. Iniziammo ad avanzare con cautela, passando da zone completamente oscure ad altre illuminate appena da torce tremolanti, con gli unici rumori dei nostri passi prudenti, il crepitio delle torce e il gocciolare delle pareti umide ad accompagnarci Lo sguardo davanti a me e a momenti sulla pietra di Julia, per assicurarmi che non vi fossero tranelli in agguato, mentre procedevo in testa al gruppo e sentivo crescere un’inquietudine in petto dovuta al fatto che non avessimo ancora incontrato trappole di alcun tipo, cosa che poteva essere certamente un bene, ma anche il presagio di un male maggiore, perché se stavamo riuscendo a percorrere quei cunicoli senza troppe difficoltà, significava che qualcuno voleva che lo facessimo e che giungessimo fin lì dove eravamo diretti. I tratti illuminati dalle torce mi apparivano familiari, ma dopotutto quel luogo sembrava un mortale labirinto le cui pareti si susseguivano sempre tutte uguali, in una successione di altri cunicoli oscuri e torce, mentre scendevamo sempre più verso il basso. Una risata e il rumore di passi veloci ci costrinsero a fermarci, immobili nel cuore dell’oscurità e tendere l’orecchio verso la direzione dalla quale essi erano giunti, ma capirlo era impossibile, ogni suono sembrava echeggiare e rimbombare in quegli spazi angusti. Udii le parole di Calliope e seppi che aveva ragione, ma c’era ancora quel particolare, il fatto che non avessimo incontrato ostacoli di alcun tipo fino ad allora e questa cosa non mi piaceva neanche un po’. Fu per questo che mi limitai ad alzare la mano a fermare i miei compagni, mentre scrutavo il tratto restante del corridoio di cui ora si riusciva ad intravedere la fine che quasi come un miraggio e una seducente ma pericolosa promessa si mostrava ora a noi in un baluginio di luce lontano. Sentii qualcuno farsi avanti tra gli altri per raggiungermi e quando voltai il capo incontrai lo sguardo di Denny, uno dei più giovani tra noi, abile con la pistola, ma con il pessimo difetto di non saper pazientare - Ho sentito dei rumori provenire da dietro di noi, se rimaniamo qui ci prenderanno. Dobbiamo procedere, cosa stiamo aspettando? Siamo quasi arrivati! - sibilò in un sussurro di impazienza e eccitazione, mentre una luce quasi folle gli animava lo sguardo. Lo vidi fare qualche passo in avanti dal punto in cui ci eravamo fermati - Denny fermati - gli ordinai in un ringhio basso e d’avvertimento. I miei occhi saettarono verso il pavimento e in quell’attimo che per un istante parve congelarsi nel tempo, lo vidi. Il tremolare della torcia l’aveva illuminato brevemente, ma avevo comunque avuto modo di scorgere quella mattonella diversa dalle altre, la stessa su cui il giovane andò a poggiare un piede prima che potessi dire o fare alcunché - DENNY NO - urlai, lanciandomi in avanti, afferrandolo alla vita e trascinandolo a terra, ma non abbastanza in fretta perché una corta lancia fuoriuscisse dall’oscurità a trafiggergli la spalla. Lo sentii urlare, ma la mia attenzione ora era rivolta altrove, non a chiunque doveva trovarsi in quel luogo e che doveva averci ormai udito, ma al rumore meccanico che si sparse nell’aria, il suono di un meccanismo che entrava in funzione dopo chissà quanto tempo. Mi voltai verso gli altri, questa volta con il terrore dipinto sul volto - GIU’! - gridai nella loro direzione, solo per poi vedere il meccanismo scattare e una serie di lance impazzare per il corridoio da una parte all’altra delle mura, partendo dallo spazio che ci eravamo lasciati alle spalle e pian piano raggiungendoci, come se una serie di balestre fossero disposte lungo le mura e scattassero secondo un preciso ordine, non appena quella precedente aveva rilasciato il proprio dardo. Mi rialzai a fatica, afferrando Denny e rimettendolo in piedi, mente il meccanismo di lance si avvicinava a noi. Non avevamo altra scelta se non quella di correre e così facemmo, mentre alcune lance iniziavano a raggiungerci e a colpire altri di noi. Solo quando fummo alla fine del corridoio mi voltai e il mio sguardo andò a cercare quello degli altri, sperando di incrociare i loro occhi, di tutti loro, ma così non fu e un rapido sguardo verso il corridoio che ci eravamo lasciati alle spalle mi fece scorgere il corpo di uno di noi, rimasto trafitto dalle lance. Deglutii, lasciando andare Denny contro una parete forse fin troppo bruscamente. In un altro caso mi sarei infuriato con quel ragazzino che ci aveva messo in pericolo tutti con la sua stupida impazienza, la quale era costata persino una vita, ma non c’era il tempo per farlo, perché potevamo ritrovarci guardie addosso da un momento all’altro. Davanti a noi si stagliavano ora due porte e un bagliore improvviso illuminò l’oscurità, facendo volgere più di uno sguardo verso la pietra incastonata nel pugnale di Julia. Mi avvicinai a lei, osservando quell’avvertimento e voltandomi verso le due porte, senza però riuscire a comprendere a quale delle due quella pietra si stesse riferendo. Afferrai la mia bussola ma quella si limitò per un istante a puntare la porta di sinistra prima di iniziare a muoversi impazzita, l’ago che continuava a girare su sé stesso, senza più alcuna reale utilità. Imprecai, tornando a rivolgermi alla ribelle - Julia..? - pronunciai, affidandomi a lei e chiedendole a quel modo di indicarci la strada da prendere. Non potevo essere certo al cento per cento che la porta di sinistra fosse quella corretta e l’ultima cosa che volevo era condurli tutti in un tranello, in quel momento solo lei poteva darci un barlume di certezza e così indicarci la via. Mi affidai a lei, lasciandole quella dura decisione di cui comprendevo il peso e che avrei voluto poter essere io a prendere, se non altro per assumermene la responsabilità, ma non potevo far nulla se non indovinare in quel momento e dunque mi tirai indietro, pronto a seguirla non appena avesse deciso quale percorso intraprendere. Non potevamo portare Denny non noi, non nelle condizioni in cui si trovava e dunque, una volta che Julia ebbe identificato la porta giusta, procedemmo, con la promessa al giovane di tornare a prenderlo, se mai fossimo riusciti nell’impresa. Tornai ad affiancare Julia e capeggiare lo sparuto gruppo davanti a ciò che si aprì alla nostra visuale. Eravamo giunti nelle prigioni. Una nuova risata si fece avanti dall’oscurità, ma ancora non ebbi modo di vedere chi fosse stato, anche se ne avevo una vaga idea, la mia attenzione era invece concentrata esclusivamente sui soldati che parevano attendere, immobili, una nostra mossa. No, questo non era affatto rassicurante, perché se attendevano, se non ci erano ancora piombati addosso, significava che stavano aspettando che facessimo un passo falso e questa volta non avrei permesso ai miei compagni di morire per una trappola magica. Il mio sguardo rimase fisso in quello delle guardie, mentre anche solo le grida di dolore e l’odore che riempivano quel posto andarono a richiamare ricordi del passato e a torcermi lo stomaco. Sentii Calliope chiamare Killian e a quel suono lo vidi anche io, chiuso in una cella, imprigionato ad una parete e in fin di vita, vista che bastò a farmi digrignare i denti con rabbia e rendere più salda la presa sulle mie armi. Per arrivare a lui avremmo dovuto superare il manipolo di soldati che ancora attendeva, cosa che forse saremmo riusciti a fare, ma la cosa continuava a non convincermi affatto - C’è qualcosa che non va - mormorai a coloro che mi erano vicini, abbassando lo sguardo dapprima sulla pietra spenta di Julia e poi sulla bussola inutilizzabile che portavo al mio fianco. Eravamo soli, apparentemente con l’unico ostacolo di quei soldati e uno stregone nascosto chissà dove, eppure continuavo ad avere quella sensazione che non riuscivo ad ignorare. Feci scivolare qualche passo in avanti con cautela, alternando febbrilmente lo sguardo tra le guardie ancora immobili e il pavimento, sentendolo sicuro sotto i miei piedi. Non vi era nessun trucco dunque? Se prima vi era stato silenzio, ora c’erano urla, lamenti strazianti e versi di dolore a riempire l’aria e rendere impossibile il captare qualsiasi altro suono. Eppure uno giunse fino a noi, senza che riuscissi a capirne la fonte, ma sentendolo rimbombare con forza, il rumore che andava affievolendosi di un qualcosa che rimbalzava lungo delle pareti e sempre più in profondità. Cosa diavolo era stato? Mi guardai attorno, lo spazio sgombro davanti a noi oltre al quale attendevano le guardie e dietro ancora Killian in catene. Fu allora che notai un sasso rotolare lungo il pavimento, proveniente da un cunicolo alla nostra destra, per poi sparire nel nulla quando raggiunse lo spazio di pavimento vuoto davanti a noi. Fu allora che compresi l’inganno e con un gesto rapido, sollevando entrambe le braccia, andai a fermare gli altri - Fermi! E’ solo una trappola. Non possiamo vederlo, ma credo ci sia un baratro davanti a noi, è per questo che ancora non ci hanno attaccato - commentai, scoccando uno sguardo alle guardie poco lontano che ora stavano scambiandosi sguardi allarmati e un paio di loro si allontanavano per infilarsi in altri cunicoli - Se non possiamo avanzare noi, molto probabilmente non possono farlo neanche loro. Dillà, dobbiamo andare da quella parte, rimanete attaccati alla pareti - dissi indicando l’imbocco di un cunicolo alla nostra destra, quello da cui avevo visto provenire il sasso poi sparito nel nulla. Li precedetti ancora una volta, accertandomi della sicurezza del percorso e passando vicino alla parete per essere certo di non finire in quel baratro di cui non conoscevamo le dimensioni. Riuscii a raggiungere il cunicolo e dopo qualche metro mi trovai davanti ad un nuovo ampio spazio e nuove prigioni, in una di esse Killian, simile a quello che avevamo scorto poco prima, ma all’apparenza reale. Non potevamo permetterci di incappare in un’altra trappola, né di farci sorprendere impreparati da quelle guardie che di certo avrebbero presto trovato un’altra strada per raggiungerci e dunque mi volsi verso i miei compagni - Calliope, Alexander e Mark, copriteci le spalle, quelle guardie troveranno un modo per raggiungerci e presto ci saranno addosso. Julia, tu resta con me. Dobbiamo trovare gli altri - ordinai, guardandoli uno ad uno e poi tornando a rivolgermi verso la cella in cui era tenuto lo scienziato o almeno quello che sembrava essere lui, mentre degli altri nostri compagni non sembrava esservi ombra. Avevo bisogno di Julia soprattutto per la pozione che aveva portato con sé, perché mi aspettavo di ritrovarmi presto faccia a faccia con lo stregone e allora sarebbe stata incredibilmente utile, inoltre mi fidavo delle capacità e abilità degli altri, sapevo che avrebbero fatto di tutto pur di darci il tempo necessario - Killian? - azzardai, avanzando con cautela verso la cella. Eravamo giunti fin lì, avevamo trovato Killian, ora non ci restava che farlo uscire e trovare gli altri e poi tentare di scappare da quel posto infernale, ma sapevo che niente di tutto questo sarebbe stato facile.

    a warning to the people
    the good and the evil

    this is war
    « swän » code esclusivo del London gdr. Non usare senza il mio permesso.




    Scusate il poema, ho cercato di far combaciare ciò che è stato scritto nei post con ciò indicato dal Master. Spero di non aver fatto qualche errore di calcolo, ma se erano una decina e tre sono rimasti fuori, significa che loro erano 7: David, Julia, Calliope, Alexander, Denny, Mark e il tizio morto. Spero vada bene ^^


    Edited by lýkos. - 19/3/2014, 12:28
     
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31 replies since 21/2/2014, 21:28   1651 views
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