We are the Kings

x Nichi

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    DONATIEN ZACHARIE DUCHAMP » vampiro
    Dopo l'incontro con Aleera, avvenuto qualche giorno prima, tutto era tornato alla normalità. Era stato evidente a entrambi che, da quel momento, tutto si sarebbe modificato drasticamente, le nostre necessità avrebbero intrapreso un cammino molto diverso, più fisico e per nulla casto. Non era un gioco, quello che stavo intraprendendo con lei, bensì qualcosa di più stimolante, di più coinvolgente, che avrebbe fatto perdere la testa a chiunque, se io non fossi stato dotato, sin dal primo momento, della determinazione che era conosciuta a tutti. Aleera era diversa dalle altre donne che avevo incontrato prima di quell'anno, di quel giorno in cui l'avevo invitata a danzare, poiché entrambi non invitati al ballo reale. L'incontro avvenuto alla radura naturale, poi, mi aveva fatto comprendere che era disposta ad aprirsi a me -le rivelazioni sul padre e sul suo intimo passato erano state cruciali a tal proposito. Si stava avvicinando a me con insistenza, nemmeno in punta di piedi: la sua presenza si era da subito palesata con forza e io stesso non avevo opposto resistenza, lasciandomi andare a quelle nuove sensazioni che, da subito, avevano invaso il mio corpo e la mia mente. Non vi era nulla di negativo in tutto ciò, non mi importavano nemmeno le malelingue e le dicerie messe in giro da chi non sapeva la verità sulla nostra storia -ovvero nessuno. Lasciavo che la gente aprisse la bocca, dicesse ciò che pensava, poi andavo oltre, alle volte azzardando qualche battuta, considerata fuori luogo, giusto per far capire che le opinioni altrui non mi avrebbero allontanato da lei. I miei genitori adottivi non furono troppo soddisfatti di quella mia nuova e stranamente stabile conoscenza -prima di allora avevo sempre optato per donne semplici, che non mi dessero da fare dal punto di vista psicologico. Aleera, invece, si stava appropriando a poco a poco di me, nella mia interezza e totalità, non solo fisica, ma anche mentale. Non era facile riuscire a saltar fuori da quel groviglio intricato, nemmeno ero così sicuro di volerlo fare realmente: stavo così bene con lei, il suo cuore, il suo odore e il suo respiro erano divenuti, per me, una parte imprescindibile dei miei pensieri, della mia giornata. Quando non ci incontravamo, ci inviavamo lettere, carte nelle quali traspariva tutta quella nostra voglia di comprenderci a vicenda, di scoprirci. Mi ero reso conto che, in generale, quel mio comportamento non aveva giovato alle scarse relazioni familiari che intrattenevo entro le mura della dimora Duchamp: raramente stavo in casa e, quando ciò accadeva, preferivo rinchiudermi nelle mie stanze, al riparo dai rompiscatole che volteggiavano nell'aria e in giro. Ovviamente ciò valeva in maniera molto minore per Medea e Jean, coloro che io stesso, anni prima, avevo reso immortali. Constatai che, per via del mio attaccamento ad Aleera, avevo trascurato la mia compagnia verso di loro, preferendo la Licantropa a coloro i quali avrei definito la mia sorellina e il mio fratellino, almeno dal punto di vista delle relazioni familiari. Non ero mai stato molto aperto con loro, non mi ero mai comportato come un vero fratello, bensì avevo agito per divenire un punto di riferimento per loro, addirittura come un individuo da emulare. Avevano due caratteri molto differenti, Medea e Jean: la prima era più ribelle, il mio bocciolo detestava le attenzioni che rivolgevo ad altri in generale, era diventata più frigida da quando aveva scoperto della mia liaison con Aleera. Jean, invece, era sempre rimasto il solito giovincello dei primi tempi di trasformazione: mi seguiva, ricercava la mia attenzione in modo gentile e pacato, eppure era intento a farmi scoprire nuovi tratti della sua personalità. Avevo compreso, senza troppi problemi, che egli volesse emularmi: leggevo nel suo sguardo l'ammirazione tipica dell'allievo verso il maestro, dello studente verso il professore prediletto. Per Jean, io rappresentavo tutto questo e, inutile dirlo, la cosa non faceva altro che accrescere ulteriormente il mio già gonfio orgoglio. Sapevo come muovermi -erano decenni che mi perfezionavo- dunque mi risultava piuttosto logico essere studiato sotto una luce particolare, ovvero quella dell'emulazione. Tuttavia, mio fratello era totalmente diverso da me, come gli facevano rimarcare i nostri genitori, spesso e volentieri. Più diligente del sottoscritto, molto più pacato, Jean aveva la capacità innaturale di non attirare sguardi indiscreti su di sé. Si muoveva in maniera delicata, spontanea, senza però lasciarsi alle spalle il fragore della venuta che, invece, contraddistingueva la mia personalità. Eravamo due individui totalmente diversi, io e lui, e forse era anche per tale motivo che ci piaceva passare del tempo assieme. Alle volte passeggiavamo, altre parlavamo, altre ancora Jean mi accompagnava a noiosissime riunioni con altri membri della nobiltà, londinese e non, quasi desiderasse prendere spunto da me, per eventuali e futuri incontri ai quali io non avrei presenziato di certo -erano troppo noiosi, avrei preferito utilizzare il mio tempo in maniera assai differente. Ancora ricordavo il giorno in cui l'avevo trasformato, le circostanze che mi avevano portato a donargli l'immortalità, la salvezza eterna. Jean, ancora umano, era rimasto affascinato dalla mia figura eterna, dunque mi si era avvicinato, quatto come un gatto, desideroso di carpire il fascino derivante dal possedere una personalità così complessa e provocatoria. Sebbene all'inizio non gli avessi dato corda, col tempo, invece, avevo imparato ad apprezzare quel giovane umano pieno di vita e curiosità, e avevo imparato a rapportarmi con lui, utilizzando la verve che, da sempre, mi aveva contraddistinto. Instaurai un legame piuttosto strano con lui, forse fu anche quello il motivo che mi portò a optare per la sua trasformazione, quando lo vidi morente dinnanzi ai miei occhi. Jean era stato preda della sua bontà, della sua ingenuità: anche nella morte eravamo diversi. Mi ero avvicinato a lui, donandogli la vita eterna -io, che non avevo mai sentito il mio cuore battere, poiché nato e già formatomi totalmente Vampiro, purissimo. Lo avevo addestrato, perchè i neonati andavamo proprio seguiti, passo per passo: mi ero reso conto, in quel tempo, che se non mi fosse importato di lui non mi sarei prodigato così tanto per la sua salvaguardia. Era la medesima cosa che avevo provato con Medea, quando avevo deciso di trasformarla e renderla la bellissima e fiera figura che adoravo mostrare al prossimo, orgoglioso di quanto bene avesse appreso a vivere nello splendore, lei, emanazione della perfezione assoluta. Prima di loro due, però, non avevo mai pensato di potermi impegnare così tanto per qualcuno all'infuori di me: egoista sino al midollo, mi ero rinchiuso in me stesso dopo la morte dei miei genitori naturali. Da quel momento, dunque, avevo iniziato a disprezzare gli umani, eppure avevo concesso una seconda opportunità a Medea e Jean, forse perchè avevo visto, in loro, qualcosa che mi ricordava il passato, molto probabilmente avevo deciso di aiutarli perchè, nel loro sguardo, avevo letto un sentimento nuovo e coinvolgente, così forte da lasciarmi dubitare delle certezze che mi avevano accompagnato sino a quel momento durante l'arco di tutta la mia eterna esistenza. Poi era arrivata Aleera, ancora una volta il mio animo era stato sconvolto nell'intimo, ma quella era un'altra storia. Era evidente, però, in quel periodo, quanto la mia assenza avesse gravato sulle menti di Medea e Jean: mentre la prima aveva iniziato a evitarmi, Jean si era messo da parte, come un bambino in castigo, evitando di ricercarmi sempre e comunque, come invece avrebbe fatto nei tempi precedenti. Doveva aver captato qualcosa in me, un cambiamento tale che gli aveva fatto decidere di escludersi da solo, senza la mia opinione o consenso. Logicamente, era naturale che, ora, rivolgessi maggiormente le mie attenzioni ad Aleera, ma non era nemmeno giusto che perdessi contatto con gli unici due membri dei Duchamp coi quali avevo da sempre avuto un rapporto più forte e particolare, sebbene non mi fossi mai lasciato andare a nessuna forma di affetto verso di loro -non ne ero in grado, non era da me e non l'avrei mai e poi mai fatto, nemmeno sotto tortura. Così, quella sera, avevo deciso di invitare il mio fratellino alla prima che si sarebbe tenuta a teatro, un'opera lirica. Com'era nel mio stile, non mi ero nemmeno informato sul suo titolo, sugli attori, su chi ci sarebbe stato: noi Duchamp avevamo sempre un posto prenotato e disponibile nei loggioni del teatro più importante di Londra, quindi avrei potuto presentarmi anche all'ultimo momento e le poltrone sarebbero state riempite. Avevo fatto mandare un biglietto a Jean, scritto di mio pugno, dove avevo detto che la carrozza sarebbe partita alle otto della medesima sera, con destinazione Globe Theatre. Mi ero vestito in maniera impeccabile, come al solito, indossando un completo blu notte e portando una rosa azzurra all'occhiello, invece del solito fazzolettino bianco -dovevo pur distinguermi, in qualche modo. Abbinai anche un elegante bastone da passeggio, sulla cui sommità era presente un piccolo gufo in argento massiccio -piccolo regalo di un'amante passata, che però adoravo sfoggiare, giusto per rendermi più pomposo alla vista altrui. Non avrei nemmeno osservato o ascoltato l'opera in sé, semplicemente avevo optato per quel luogo per fare qualcosa di diverso, per chiedere a Jean qualche novità sulla sua vita -ero pur sempre il fratello maggiore, qualche ruolo di rilievo dovevo avere, con inerente domanda fuori luogo. Dunque, una volta terminata la preparazione della mia persona, ordinai che la carrozza fosse sistemata dinnanzi all'ingresso della dimora Duchamp. Fui il primo a salirvi e poi, dopo qualche minuto di attesa, giunse anche Jean, elegante come non mai nel vestito che gli avevo fatto recapitare in camera per l'occasione -fatto dal miglior sarto di Parigi-, con espressione lieta sul volto. Si sistemò di fronte a me, nella carrozza, e il cocchiere partì al trotto lieve, lasciando che gli zoccoli creassero una lieve melodia nella sera che avanzava.
    Jean.. Ho avuto ottimo gusto. Pensavo che la giacca potesse andarti leggermente larga, invece è perfetta.
    Commentai con un sorriso soddisfatto verso mio fratello, osservando come il tessuto accarezzasse il suo corpo, mettendo in risalto la perfezione data dall'eternità -quella che gli avevo donato io stesso, anni prima. Alzai entrambe le sopracciglia, puntando ora lo sguardo color ghiaccio sul suo volto, un ghigno divertito che andò a palesarsi sul mio. Più lo guardavo, più comprendevo di aver fatto un ottimo lavoro: Jean era una meraviglia, la luce presente nei suoi occhi era qualcosa di cui andavo totalmente fiero. Mi piacevano i suoi modi eleganti e raffinati e mi piaceva anche quando mi ricercava, in mezzo alla gente, oppure quando, in silenzio, mi lanciava occhiate di assenso, per comprendere se avesse detto una cosa che avrei approvato oppure no. Era molto delicato, mentre io molto più grezzo sotto altri aspetti. Non l'avevo mai visto con una ragazza, sapevo quanto impacciato potesse essere e la cosa metteva a disagio anche me, non solo lui. Le donne non sapevano che stavano perdendosi: Jean era mio fratello, era logico che esse dovessero cadere ai suoi piedi come foglie in autunno.
    Rinfrescami la memoria.. Cosa stiamo andando a vedere?
    Domandai, picchiettandomi elegantemente con l'indice della mancina sulla fronte eburnea, quasi volessi estrapolare dalla mia mente un titolo che avrei dovuto effettivamente cercare ma che, in realtà, non era mai stato presente nei miei pensieri. Avevo colto quell'occasione al volo, giusto per far con Jean qualcosa di differente rispetto alle nostre solite cene o passeggiate qui e là. Avrei avuto modo di vederlo all'opera in un ambiente diverso, attorniato da gente del suo stesso rango sociale -più o meno, anzi, meno che più: chi poteva emulare i Duchamp? Solo i Lancaster- e alle prese con conoscenze vecchie e altre da fare. Avrei trovato il tempo perduto per stare con mio fratello, sapevo e intuivo alla perfezione dal suo sguardo quanto mi fosse grato e quanto avesse desiderato poter avere un'occasione simile. Jean era da subito stato un libro aperto, per me: riuscivo a studiarlo, a leggergli dentro senza alcuna fatica, senza pudore. Alle volte, tale parte del mio carattere lo metteva a disagio, ma Jean era pacato, e rispondeva senza arrecarmi disturbo. Rimasi in silenzio, lo sguardo fermo sul suo volto perfetto, in attesa della sua risposta. La carrozza scivolò nella sera, passando ora attraverso la via principale della città di Londra, affollata di gente comune e di altre vetture. Era un fine settimana, logico che tutti si risvegliassero dal loro torpore settimanale per reclamare un po' di fama e attenzione. Non tutti erano Duchamp, non tutti potevano permettersi di essere sulla bocca del mondo senza nemmeno alzare un dito.

    These lessons that we've learned here have only just begun.

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    Edited by oh mÿ Jöe! « - 8/12/2013, 21:22
     
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    Jean Baptiste Duchamp » Vampire
    Avevo notato qualche cambiamento in Don da un po’ di tempo, leggere differenze che poi si erano fatte via via sempre più evidenti, mostrandomi che in lui qualcosa stava cambiando, o probabilmente l’aveva già fatto. Era molto più allegro e sorridente di quanto fosse mai stato in passato. Il suo sorriso risultava molto più vero, più naturale. Se qualcuno mi avesse chiesto di spiegargli dove avevo letto quel cambiamento e come avevo fatto a capirlo non ci sarei riuscito. Non era una di quelle cose che si potevano spiegare logicamente, o magari addirittura scientificamente, con qualche formula. Era una cosa che io mi sentivo dentro, una cosa che provavo le rare volte in cui riuscivo ancora ad incontrarlo. I suoi impegni erano aumentati e il centro delle sue attenzioni si era spostato al di fuori della nostra famiglia, su quella ragazza, Aleera, che sembrava aver rubato il suo cuore. Non ero arrabbiato con lui per questo, niente affatto, ero felice che lui avesse trovato finalmente una persona in grado di accendere quel genere di emozioni che ero in grado di leggere sul suo viso al suo ritorno da uno dei loro incontri. Sapevo che il resto della nostra famiglia non era affatto d’accordo con quella sua nuova relazione, soprattutto perché per lui sembrava veramente preso da lei, non era un gioco, non come le volt precedenti e l’idea che lui potesse davvero desiderare una licantropa in quel modo era assurda per i nostri genitori che avevano sempre desiderato qualcosa di diverso per lui: una vampira di nobili origini che avrebbe portato a nuove alleanze e maggiori fortune per tutti noi. Probabilmente puntavano addirittura su una delle principesse dato che Don sapeva come affascinare le donne e non sarebbe stato un problema per lui avvicinare addirittura una delle principesse. Neanche Medea era molto favorevole alla faccenda, ma per motivi ben diversi. Sino a quel momento lei era l’unica donna importante nella vita di Donatien e lei aveva sempre preteso certe attenzioni da parte sua. Si era mostrata in collera persino con me quando Don mi aveva portato presso i Duchamp perché temeva che io le avrei sottratto il primato e le attenzioni di Donatien. Ovviamente nulla di tutto ciò era avvenuto, io non volevo essere in gara con nessuno, ciò che mio fratello aveva fatto per me era già più che abbastanza e non avevo intenzione di inserirmi all’interno di relazioni già consolidate per spezzarle. Non ero mai stato quel genere di persona e mia sorella lo aveva capito con il passare del tempo, constatando che non ero affatto una minaccia per lei. La licantropa invece lo era e non era difficile notare l’atteggiamento infastidito di Medea per quanto stava accadendo. Dal canto mio non avevo mai mostrato il minimo fastidio per quella relazione. Io e Don non eravamo mai stati quel genere di fratelli che andavano insieme da qualunque parte e che passavano il tempo accanto al fuoco a raccontarsi le proprie giornate. Certo, mi faceva piacere passare del tempo con lui dato che per me era un esempio vivente, qualcuno da imitare ed emulare, ma non avrei mai preteso la sua presenza, neppure per un semplice minuto. Ero certo che mio fratello avesse già inteso da tempo che cosa provassi nei suoi confronti, ma non mi ero mai fermato a cercare di chiedergli che cosa ne pensasse. Io ero sempre pronto ad accompagnarlo ovunque lui desiderasse, senza emettere il minimo fiato. Lo seguivo persino quando doveva presentarsi a noiosissime riunioni d’affari con altri membri della nobiltà, osservando i suoi comportamenti anche in occasioni come quelle e cercando di apprendere come mi sarei dovuto comportare anche io per compiacere i nostri genitori al mondo. Ero convinto che lui fosse il figlio prediletto, quello in cui maggiormente vedevano tutto ciò che avevano sempre desiderato vedere in un figlio, al contrario di me, che non ero altro che un ragazzino ancora acerbo che doveva apprendere molto della vitae del modo in cui stare tra la nobiltà. Dentro di me ero ancora quel ragazzo di campagna timido e introverso che si era presentato al suo tavolo decine d’anni fa. Non aveva importanza che io ora fossi un vampiro, che avessi nuovi e ben più efficaci modi di difendermi, una forza fuori dal normale, una velocità ben più accentuata di quella di un essere umano, io continuavo ancora a considerarmi in parte come tale e a vedere il mondo come avevo sempre fatto. L’unica cosa che rovinava la mia visione era il fatto che oramai fossi costretto a nutrirmi di sangue. Era una delle poche cose a cui forse non mi sarei abituato mai, ma ci stavo provando, con tutte le mie forze. Ricordavo ancora perfettamente la notte in cui Don mi aveva donato questa nuova vita, salvandomi da morte certa, aiutandomi ad uscire dalla locanda che era sempre stata la mia casa, tutta la mia vita e che in quel momento stava letteralmente crollando sotto i miei occhi, a causa del fuoco che divampava su di essa. Era stato incredibilmente doloroso per me assistere alla sua distruzione, alla morte dei miei genitori e non poter fare nulla per placare il corso degli eventi. Mi ero sentito incredibilmente fragile, debole e inutile, come mai mi ero sentito prima di quella notte. Avevo perso tutto quanto, non rimaneva più nulla della mia vecchia vita, non avevo più nulla per cui stare al mondo. Quando avevo sentito quella nuova incredibile forza scorrere nelle mie vene, data dalla mia nuova condizione di immortalità, non ero riuscito a fermarmi e avevo corso a perdifiato, seguendo l’odore dei nostri assalitori che all’improvviso era divenuto incredibilmente chiaro e netto all’interno della mia mente. Non mi era mai sembrato di conoscerlo, che sarei stato in grado di riconoscere i ragazzi che mi avevano tormentato da quando ero nato solo grazie al loro odore, eppure era avvenuto. Li avevo trovati in brevissimo tempo, seduti su un masso a bere gli alcolici che ci avevano rubato e la rabbia era divampata nel mio animo, trasformandomi in un mostro. Inizialmente non mi avevano preso sul serio, non avevano capito che qualcosa era cambiato in me, mi avevano preso in giro e avevano riso di me, come avevano sempre fatto, ma poi avevano smesso. Quando avevo squarciato le vene del loro collo con i miei canini affilati le loro risa si erano placate e per qualche istante avevo potuto scorgere il terrore nei loro occhi, la stessa espressione che avevo visto sui volti dei miei genitori. Avevo avuto la mia vendetta, ma questo non mi aveva aiutato a stare meglio tutt’altro. quella persona non ero io, non era questo che volevo essere, eppure ero divenuto un assassino, proprio come loro. era stato Don ad aiutarmi a riprendermi, ad insegnarmi come controllare quella sete che non sembrava volersi placare mai, permettendomi di diventare un vampiro molto più pacato e responsabile, tornando ad essere più simile al ragazzo che ero sempre stato. Certe volte i loro visi tornavano a farmi visita nei miei incubi, ad accusarmi di essere un assassino e io non facevo nulla per contraddirli, perché loro avevano ragione. Avevo però cercato di dare un nuovo senso alla mia vita, di cambiare le cose. Gli avevo dato non pochi problemi nel primissimo periodo. Più di una volta avevo cercato di sfuggire al suo controllo e assalire la prima persona che mi capitasse a tiro, ma gli ero grato di non avermi permesso di farlo e avermi fatto capire come fare ad entrare completamente in quella nuova vita. Gli dovevo molto, anzi, probabilmente gli dovevo tutto. Per questo sarei sempre stato dalla sua parte, non aveva importanza quello che sarebbe potuto accadere, quello che lui avrebbe potuto fare, io sarei sempre stato dalla sua parte, al suo fianco. Se lui fosse svegliato una mattina e avesse deciso di dare vita ad una ribellione contro i Lancaster da solo, io lo avrei seguito, pur sapendo che sarebbe stata una pazzia che ci avrebbe condotti entrambi dritti dritti verso la morte. Parole come quelle non erano mai uscite dalle mie labbra ovviamente, mai gli avevo espresso sinceramente il mio affetto nei suoi confronti, ma in parte credevo che lui già lo sapesse. Sapeva che anche lui non provava indifferenza nei miei confronti, altrimenti non mi avrebbe mai trasformato o aiutato, ma non necessitavo che lui me lo dimostrasse in ogni istante. Per questo ero ben felice di cedere tutto il tempo che avremmo potuto passare insieme alla giovane licantropa. Avevo deciso di farmi da parte, di permettere a mio fratello di vivere appieno quel momento senza dover essere interrotto dalla mia compagnia e dalle mia stupidaggini. La solitudine non mi aveva mai spaventato, non ero mai stato uno di quei ragazzi che viveva circondato dagli amici e da tantissime persone, ero sempre stato un tipo riservato e non avevo avuto problemi a chiudermi in me stesso e lasciare tutto il resto del mondo all’esterno. Non avevo chiesto a Don che cosa ne pensasse, se fosse d’accordo con la mia decisione, lo avevo fatto e basta, mettendomi da parte, allontanandomi da lui in punta di piedi, cercando di evitare che lui potesse notarlo. Non mi ero mai lasciato andare ad atteggiamenti plateali che attirassero tutte le attenzioni su di me, al contrario, avevo sempre cercato di passare in ombra, di trascorrere la mia vita lontano dai riflettori e dalle attenzioni degli altri, come una piccola macchia sbiadita all’interno di un vasto dipinto, a cui nessuno avrebbe fatto mai caso. L’invito da parte di mio fratello a recarmi insieme a lui a vedere un’opera lirica mi era giunto inaspettato, ma non per questo meno gradito. Il biglietto per lo spettacolo era stato accompagnato da uno scritto di pugno da Don in cui mi comunicava che la nostra carrozza sarebbe partita alle otto, segno che dovevo presentarmi puntuale a quell’appuntamento. Un sorriso si era impossessato delle mie labbra sottili nel vedere la calligrafia elegante di mio fratello, accompagnata da una scatola all’interno del quale avevo trovato un abito completamente nuovo che lui doveva aver fatto preparare apposta per me da uno dei suoi sarti di fiducia. Don, al contrario del sottoscritto, era solito fare sempre le cose in grande, senza trascurare un minimo dettaglio. Se fosse nato donna probabilmente tutte le donne del mondo sarebbero accorse da lei in cerca di consigli per organizzare ogni singolo evento mondano e ogni dettaglio di ogni cerimonia o anche solo dei loro abiti quotidiani, ma fortunatamente era un uomo. L’abito mi calzava alla perfezione, come se avessi fatto da modello per tutto il tempo durante la sua realizzazione, mentre non avevo mai incontrato una volta il sarto. Tentai di sistemare ogni dettaglio, cercando di essere perfetto almeno per quella sera, per poi recarmi presso la carrozza, all’interno della quale mio fratello mi stava già aspettando. Mi sistemai di fronte a lui e subito il cocchiere fece partire la carrozza, diretto verso il teatro che ci attendeva. –Sei sempre il solito perfezionista Don. – gli dissi, sfoderando un leggero sorrisetto irriverente, quelli che riuscivo a far emergere solo in sua compagnia. Era come se di fronte a lui volessi mostrarmi ben più sicuro e tranquillo di quanto fossi in realtà, tentando addirittura di sfidarlo, mostrando una sfacciataggine che non mi era mai appartenuta davvero, ma che con lui tentavo comunque di utilizzare. Non ero mai cattivo o eccessivamente fastidioso, volevo troppo bene a mio fratello per cercare di ferirlo davvero o di irritarlo più del necessario. Non mi chiesi il perché di quel suo ghignetto divertito nella mia direzione, avevo già imparato da tempo che Don non dava mai troppe spiegazioni su ciò che faceva e chiederle era praticamente inutile. Se voleva dirmi qualcosa non si metteva il minimo problema a farlo, mentre se non parlava voleva dire che non era intenzionato a farlo. Ridacchiai appena quando mi chiese di rinfrescargli la memoria e di dirgli che cosa stavamo andando a vedere, quella era assolutamente una cosa da Don. Immaginavo che mi avesse invitato solo per fare qualcosa di diverso dal solito, ma che in fin dei conti dello spettacolo in sé non gli importasse assolutamente nulla. in effetti dubitavo che lo avremmo effettivamente visto. Gli ero silenziosamente grato di avermi dato quell’opportunità di trascorrere un po’ di tempo con lui, dato che entrambi sapevamo che io non mi sarei mai presentato da lui per chiedergli una cosa simile di mia spontanea iniziativa. Non era mai stata mia intenzione apparire ai suoi occhi come un ragazzino debole e piagnucoloso, tutto il contrario: volevo che lui fosse fiero di me, che lui pensasse che avermi trasformato era stata la cosa giusta e non una sciocca e inutile perdita di tempo. Scossi appena il capo, con fare divertito, sfoderando i denti candidi, prima di dargli la risposta che avevo chiesto. –Un’opera lirica direttamente dall’Italia: Euridice, di Ottavio Rinuccini e musicata da Jacopo Peri, si dice che tempo fa abbia fatto un grandissimo successo al matrimonio di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia. – affermai, con assoluta tranquilla. Io, a differenza di mio fratello, ero molto più curioso riguardo questo genere di cose e avevo cercato di documentarmi il più possibile per sapere cosa ci avrebbe atteso quella sera. Voltai il capo verso il finestrino alla mia sinistra, osservando il paesaggio di Londra scivolare velocemente attorno a noi, mentre la carrozza procedeva a gran velocità, come se tardare anche di un solo istante sarebbe equivalso alla morte. Io e ro certo che non avrebbero fatto storie per attenderci se fossimo arrivati con qualche minuto di ritardo, anzi, avrebbe fatto parecchia scena. Guardai mio fratello con la coda dell’occhio, tentare di sollevare quell’argomento a cui non facevo che pensare da tempo. Volevo chiedergli tantissime cose sulla guardia reale che sembrava averlo stregato, ero curioso di saperne di più e anche di conoscerla, ma non sapevo se quello fosse il momento più adatto per parlarne. Riportai lo sguardo sul finestrino, lasciando andare quei pensieri per il momento, in attesa di un momento migliore per riportarli alla luce. –Immagino che lo spettacolo non susciti poi grande interesse da parte tua. – affermai, con un nuovo sorrisetto divertito, riportando la mia completa attenzione su mio fratello, impeccabile come sempre, senza un solo capello fuori posto. Lui era sempre l’emblema della perfezione, qualcosa di inarrivabile ai miei occhi, qualcosa che non avrei mai potuto raggiungere, ma che mi limitavo ad osservare dalla distanza che lui mi avrebbe concesso di ottenere. Pochi istanti ancora e poi la carrozza di fermò, lasciandoci esattamente di fronte all’ingresso del teatro che avrebbe fatto da scena alla nostra conversazione di quella sera. Il cocchiere scese e si affrettò ad aprire la porta affinchè noi potessimo scendere. Con un cenno del capo invitai mio fratello a scendere prima di me, sfoderando poi un nuovo sorrisetto irriverente. –Prima i più anziani. – dissi, ridacchiando appena, prima di seguirlo al di fuori di essa. L’età era una delle cose su cui più giocavo con lui, dato che sapevamo entrambi che lui fosse più grande di me. Ovviamente non era affatto un problema, anzi, lui si portava dietro la sua età e la sua eternità come se fosse stato un giovane nel fiore degli anni e lo sapevo bene, ma mi divertivo comunque a cercare di punzecchiarlo.
    Oh brother I can't, I can't get through
    I've been trying hard to reach you
    'cause I don't know what to do

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    DONATIEN ZACHARIE DUCHAMP » vampiro
    Con Jean non mi ero mai dovuto preoccupare della mia indole, anzi, egli sembrava averla amata sin dal primo giorno in cui ci eravamo conosciuti. Con gli altri membri della famiglia, invece -Medea esclusa- il tutto risultava abbastanza forzato, nel senso che la convivenza era pacifica per forza di cose. Sapevo bene quanto i miei comportamenti al di sopra delle righe non piacessero al resto della combriccola e ai miei genitori adottivi, allo stesso modo anche il caro cugino Sebastian sembrava ridere dei continui alterchi famigliari presenti e sostenuti nella dimora dalla mia persona. Tuttavia, non sarei cambiato di una virgola, giacchè la mia opinione verso me stesso era l'unica importante, perciò non avrei modificato nulla né della mia personalità, né dei miei atteggiamenti. Tutti, invece, dovevano essermi molto, molto grati, poiché il nome dei Duchamp continuava a innalzarsi sempre di più nell'alto mondo nobiliare di Francia e Inghilterra proprio grazie alle mie azioni, al mio essere una testa calda. Spesso ero io quello che presenziava a noiosissimi incontri diplomatici in cui si decideva questo o quello: non mi erano mai andati a genio, tutti lo sapevano, eppure davo il meglio di me anche in quel campo. Nonostante peccassi di pazienza, la mia istruzione e il mio fiuto per gli affari erano ottimi, forse quelli erano gli unici motivi che facevano sì che mio padre si prodigasse affinchè presenziassi alle svariate riunioni presenti qui e là, a Londra soprattutto, vista la nostra residenza. Tutto passava molto più serenamente quando, nei dintorni, bazzicava quell'anima santa di mio fratello Jean: quella sua palpabile ingenuità mi ricordava ogni giorno quanto io e lui fossimo diversi, estremamente diversi, eppure anche il semplice fatto di passare un po' di tempo con lui mi piaceva sempre, perchè riusciva a calmarmi. Riuscivo a trascinarmelo agli incontri d'affari e, quando potevo, mi dividevo tra lui e Medea. La situazione,però, si era modificata con l'entrata in scena di Aleera: quella donna piena di vita era entrata con irruenza nella mia eternità, sconvolgendola. I miei piani si erano frantumati ogni volta che l'osservavo, ogni momento passato assieme a lei mi faceva scoprire nuove sensazioni, che mai avrei creduto di sentire nel corso degli eterni secoli che mi avrebbero atteso. Probabilmente era proprio questo suo attaccamento alla vita, questa sua idea di volersi abbandonare a qualcosa di nuovo, che mi avevano spinto verso di lei, ricercandola in ogni momento io potessi drogarmi del suo odore e del suo sapore. Mentre tutto scorreva, avevo lasciato soli Medea e Jean, i quali si erano dovuti arrangiare senza di me. La prima, com'era comprensibile -e abbastanza prevedibile, a dirla tutta- si era rifugiata nei suoi silenzi e in abiti costosi, prendendosela nell'orgoglio per via di quel mio aver preferito Aleera a lei. Dal canto mio, mai sarei scivolato implorante verso il bocciolo, giacchè il mio carattere non me l'avrebbe consentito: avrei giocato d'astuzia, l'avrei fatta tornare da me in altri modi. Con Jean, invece, era sempre stato tutto differente: lui si era lasciato andare e sistemato in un angolo, senza pretendere attenzioni o null'altro da me: aveva seguito la situazione da lontano, senza interferire, addirittura facendo sì che io potessi muovermi senza nemmeno rendergli conto delle mie azioni -cosa che usualmente facevo quando ancora andavo a caccia di donne, prima di Aleera. Quel suo atteggiamento non mi stupì, tuttavia decisi di mettere in un atto un piccolo piano, qualcosa di semplice, per far sì che Jean comprendesse che non mi ero affatto scordato di lui, bensì che una nuova novità era arrivata, inaspettata, nella mia vita, e che io ne ero rimasto totalmente sopraffatto. Per tale motivo, quella sera stessa, gli avevo fatto recapitare un invito per il teatro, dove si sarebbe svolta un'opera lirica; stando al mio solito stile, non mi ero informato su nulla, perchè ci avrebbe pensato mio fratello a raccontarmi, in breve, ciò a cui avremmo assistito. Assieme al mio invito, avevo inviato nella sua camera un abito fatto creare su misura per lui -non ero nuovo a un simile presente, quando mi impegnavo sul serio riuscivo benissimo a far rimanere a bocca aperta tutti. Pertanto, conscio del fatto che Jean avrebbe annullato qualsiasi altro ipotetico impegno, mi ero preoccupato di sistemarmi al meglio per quella serata, facendo chiamare carrozza e cocchiere. Scesi prima di lui e mi sistemai nella vettura, attendendolo. Quando lo vidi arrivare, non potei fare a meno di ammirare il mio capolavoro, gioiellino formato maschile di Medea: Jean era di una bellezza unica, semplice. Era proprio questa sua caratteristica ad attirare il fascino del pubblico femminile e l'invidia di altri giovani Vampiri, che dovevano ancora imparare come muoversi in un nuovo mondo simile. I primi tempi, com'era naturale che fosse, avevo faticato a stare dietro ai suoi ritmi di neonato, poiché l'intensa sete lo portava a tentare di assaltare qualsiasi individuo gli capitasse a tiro. Avevo lavorato molto su di lui, il tutto a livello psicologico: gli avevo fatto comprendere che era la mente il centro direttivo del corpo -controllando quella, avrebbe controllato qualsiasi sua azione. I miei insegnamenti avevano dato i suoi frutti e ora mi ritrovavo a fissare un dipinto dei migliori artisti italiani, che stava avviandosi verso di me. Sorrisi furbo alle sue parole, attendendo che salisse appieno sulla carrozza, prima che il cocchiere chiudesse la porticina e desse l'avvio alle cavalcature. Nei suoi occhi c'era sempre presente quella luce che mi aveva colpito sin dal primo istante, quando l'avevo incontrato ancora sotto forma di semplice umano: erano un carico di ammirazione e genuina curiosità, fattori che continuavano a tenerlo legato a me. Non avevo mai sperimentato una relazione simile con nessun altro Vampiro, poiché io stesso ero nato da genitori entrambi Vampiri, dunque non ero stato trasformato. Doveva esserci un legame molto forte, considerando anche la totale devozione di Medea nei miei confronti. Ero molto orgoglioso di ciò che avevo creato, ma mai l'avrei detto esplicitamente: quei due lo sapevano, solo questo contava.
    Matrimonio? Da quando in qua ai matrimoni si assiste a un'opera lirica? È già abbastanza noioso dover presenziare alla messa e far credere agli altri di essere in grado di distinguere qualsiasi cantico presente in chiesa. È inutilmente formale, no?
    Arcuai entrambe le sopracciglia scura, passandomi una mano sul mento, con fare fintamente dubbioso. Sapevo benissimo quanto Jean fosse più bravo di me nel fare belle figure in pubblico e sapevo anche quanto ci tenesse a spocchiose opere liriche e altri generi di rappresentazione inerenti al teatro. Una volta, per la celebrazione della sua trasformazione -una sorta di compleanno- gli avevo regalato un abbonamento agli spettacoli più esclusivi che si sarebbero tenuti alla stagione del Globe e fu inutile dire quanto andò in estasi. Invece io non capivo assolutamente il fascino di una finzione così regale: alle volte vi presenziavo solo per osservare le scollature degli abiti femminili, i medesimi corpi e per sostenere qualche amicizia influente. Se avessi potuto dormire, ero certo che quei canti avrebbero conciliato il mio sonno.
    Sai anche se ci sarà qualche attrice carina? Perchè, in tal caso, potrei essere realmente affascinato dall'opera. Sei sempre così malpensante verso di me, Jean. Non mi merito tutte queste critiche.
    Risposi a tono alla sua questione, facendo notare la tipica e oramai conosciutissima parte di me che mi portava a essere criticato sempre e comunque: la disarmante sincerità. Non trovavo utili i giri di parole, se si doveva dire qualcosa, allora era necessario giungere immediatamente al nocciolo della questione. Scoccai un'occhiata oltremodo divertita verso mio fratello, sfoderando un sorriso che mise in luce la mia candida e perfetta dentatura. Sapevamo benissimo entrambi, senza che vi fosse bisogno di dirlo, che non avrei più guardato in maniera così provocante nessun'altra donna, perchè, per quanto ve ne fossero di attraenti, nessuna avrebbe potuto eguagliare lo charme e la lingua tagliente della mia lupa. Più che altro, quella domanda retorica aveva posto in luce una qualità di mio fratello ancora non pervenuta: la sua scarsa abilità nell'agganciarsi al gentil sesso. In tutti quegli anni, Jean non era mai stato pizzicato con una fanciulla e la cosa mi dava oltremodo da pensare. Non mi piaceva che mio fratello fosse ancora scapolo: almeno una scappatella era d'obbligo, in così tanti anni di astinenza. La carrozza si fermò dinnanzi alla struttura e il cocchiere scivolò dal posto di guida, aprendoci la porticina. Rimasi fermo, pensando che Jean sarebbe sceso per primo, mentre egli si rivolse a me. Alzai le sopracciglia, scuotendo appena il capo scuro. Mentre scesi, gli diedi un'amichevole pacca sulla spalla sinistra, sibilandogli qualcosa all'orecchio.
    Anziano? Io direi, molto più semplicemente, pieno di esperienza.
    Sapevamo entrambi che quella mia definizione avrebbe dovuto rivolgersi a molti, moltissimi campi, ma non mi preoccupai di specificarne nessuno, conscio del fatto che Jean sarebbe stato in grado di carpirne il significato più prossimo. Diedi l'ordine al cocchiere di attendere nell'area riservata alle carrozze, poi mi indirizzai verso l'entrata principale del teatro, dove la gente stava cominciando a sistemarsi, scivolando in loggioni e platea. Noi, ovviamente, avevamo un loggione tutto libero, difatti un giovane Vampiro venne verso di noi, avendoci conosciuto subito. Signori Duchamp, buonasera. Non ci aspettavamo il vostro arrivo in serata, solitamente i vostri sottoposti comunicano almeno un'ora prima. Era evidente quanto il giovane galletto fosse stato colto alla sprovvista, ma non mi avrebbe preso per i fondelli. Se fossi stato da solo, un bel gancio gli avrebbe fatto comprendere chi realmente comandava, ma non volevo far crollare la mia perfezione dinnanzi agli occhi di Jean. Sfoderai dunque un sorriso freddo e distante, pieno di superiorità.
    Sono ben conscio di questo, mio baldo giovane la cui importanza in questo contesto è così scarsa da non farvi nemmeno meritare una targhetta col vostro nome. Vi consiglio di mostrarci il loggione riservato alla famiglia Duchamp, altrimenti sarò ben lieto di parlare col vostro direttore, il signor Richardson. È venuto a cena da noi qualche sera fa, non vorrei mai fargli notare quanto il teatro inizi a peccare di personale efficiente. Inoltre, sono certo che tenete al vostro lavoro, non è forse così?
    Minacciare il prossimo era da sempre stata un'azione che mi veniva particolarmente bene. La medesima cosa accadde col giovane Vampiro che, colto alla sprovvista da quel mio modo di parlargli, rimase in silenzio qualche secondo, assimilando per bene le mie parole. Balbettò una scusa e poi ci indicò la strada da seguire, anteponendosi a noi affinchè il percorso non risultasse ambiguo. P-prego, signori, per di qui. mormorò a disagio, iniziando a farci salire una scala di legno finemente decorata con statue di marmo e porcellane cinesi. Una volta giunti a destinazione, ci vennero offerti i libretti dell'opera e il giovane incapace se ne andò. Andai ad affacciarmi al balconcino interno, osservando l'affollatissimo teatro riempirsi sempre di più.
    Gente incompetente. Ne troverai sempre di più. Che tristezza.
    Aggiunsi, voltandomi verso Jean, per nulla preoccupato della mia azione precedente. Era giusto che il mondo venisse epurato da tali individui, non avrebbero fatto altro che inceppare la nostra perfetta esistenza. Allungai un libretto operistico verso di lui, tenendo l'altro in mano mia e facendogli segno, nel contempo, di avvicinarsi al balcone, per poter godere della vista.
    Dici che la carta è adatta per fare origami? Sai, quelle decorazioni di carta che fanno nei paesi asiatici? Non ci ho mai provato, se devo essere sincero. Come sai, non sono così paziente e poi immagino che tu non sia così informato anche su questo. Oppure mi sbaglio? Illuminami, Jean: può una semplice carta come questa salvarci la serata?
    Alzai il libretto sotto il suo naso, mostrando un sorriso malizioso e palesemente divertito, che non aveva nulla di buono in programma. Ci aveva visto giusto, mio fratello: quella sera non mi sarei minimamente interessato dell'opera messa in scena, perchè avevo ben altro da fare. Dovevo riallacciare il rapporto con Jean, i canti e gli stridii degli archi in scena non mi avrebbero fatto desistere da quel mio compito. Sapevo benissimo, poi, che a lui qualche piacevole interruzione non sarebbe dispiaciuta.
    Altrimenti mi inventerò altri stratagemmi.
    Aggiunsi con fare filosofico, salutando verso un altro loggione una Vampira dai capelli corvini. Era un'amica di Medea, ma non ci avevo mai fatto nulla, forse perchè lei stessa non si era mai messa molto in gioco con me. Chinai il capo verso Jean, indicandogliela con un cenno del mento.
    Quella è carina.
    Conclusi, prima di tornare a osservare il palco con nonchalance: il telo rosso si muoveva, segno che l'opera stava per cominciare. Oh, no.

    These lessons that we've learned here have only just begun.

    « swän » code esclusivo del London gdr. Non usare senza il mio permesso.



    Edited by oh mÿ Jöe! « - 18/12/2013, 00:01
     
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    Jean Baptiste Duchamp » Vampire
    La richiesta della mia famiglia di avvicinarmi alla principesca Allison mi aveva lasciato scosso, molto più di quanto avessi potuto pensare. Io non ero bravo a fingere, non lo ero mai stato. Non mi era mai venuto naturale e da umano ogni volta che cercavo di dire una menzogna ai miei genitori finivo inevitabilmente per diventare rosso come un peperone, venendo così immediatamente scoperto. Il fatto che ora fossi divenuto un vampiro e che non potessi avvampare non migliorava di molto le cose se non forse da un punto di vista esterno. La sensazione che avrei provato io nel farlo, nel cercare di piegare la mia volontà e forzarla, mi avrebbe sempre causato quel particolare nodo alla gola, accompagnato dal nervosismo, dall’ansia e dalla sensazione di essere assolutamente sbagliato. No, non ero affatto credibile come bugiardo, né volevo diventarlo. La principessa mi era sembrata una vampira gentile, dolce e io non volevo mentirle o prendermi gioco di lei. Avrei cercato di conoscerla davvero, mi sarei avvicinato a lei non perché dovevo ma perché lo volevo, perché ero davvero interessato a conoscerla meglio e sapere qualcosa in più sul suo conto, qualcosa che potesse farmi capire se eravamo poi così simili come mi era sembrato durante il nostro precedente incontro. Mi era sembrato che anche lei, come me, non fosse molto felice di essere una vampira e questa non era certo una cosa che si vedeva tutti giorni, ma era comunque qualcosa su cui avrei voluto scoprire un po’ di più, per capire quanto avrei potuto aprirmi con lei e quanto avrei potuto rivelarle. Amavo mio fratello, con tutto me stesso, ma con lui non potevo trattare argomenti di questo genere e desideravo davvero tanto trovare qualcuno con cui poterlo fare. La era la mia roccia, era il mio modello, l’esempio che avrei voluto imitare in tutto e per tutto e raggiungere, per arrivare al suo stesso livello e poterlo guardare dal suo stesso gradino. Invece non mi trovavo in quella posizione, non ci sarei mai arrivato probabilmente. Neppure io sapevo con esattezza quanti gradini più in basso mi trovassi, ma ciò che era certo era che io guardavo mio fratello dal basso, come un adepto guardava il suo maestro, in attesa di una parola da parte sua o di un segnale che gli facesse capire se stava imboccando la strada giusto oppure no. Per quanto lui non fosse il capofamiglia dei Duchamp, lui per me era comunque il maggiore punto di riferimento, quello che avrei ascoltato sempre e comunque, perché io gli dovevo tutto e non sarei mai stato in grado di ripagare quel debito nei suoi confronti, neppure con tutta la mia esistenza. Era anche questo il motivo per cui non avevo mai preteso nulla da lui e in effetti mai avevo neppure provato a chiedere davvero qualcosa. Aveva già fatto così tanto per me che chiedergli di fare ancora qualcos’altro mi risultava del tutto scorretto e innaturale. Mi sarei sentito una persona terribile se ci avessi anche solo provato. Preferivo quindi rimanere in disparte, per le mie, in attesa che lui non avesse nulla di meglio da fare che trascorrere un po’ del suo tempo con me e io lo accettavo di buon grado, sempre pronto a disdire qualunque genere di impegno per lui, perché lui avrebbe avuto sempre la precedenza su tutto e tutti per me. Lui era la persona più importante che potesse esserci per me, quella per cui avrei dato la mia stessa vita, ma allo stesso tempo era anche quella a cui avrei voluto confidare ogni cosa, chiedere consigli quando mi sentivo confuso e agitato. Non lo avevo mai fatto, se non in rare occasioni. Avevo sempre cercato di cavarmela da solo, di non dargli ulteriori pensieri e di mostrarmi maturo e autosufficiente, proprio come lui avrebbe voluto. Eppure ciò che volevo io era molto diverso, soprattutto in quegli ultimi giorni. Mi ero chiuso maggiormente in me stesso e avevo iniziato a trascorrere moltissimo tempo in solitudine, dentro la mia stanza, cercando di venire a capo di quella spiacevole situazione e sperando che i miei genitori non venissero a bussare alla mia porta per chiedermi di cominciare quanto prima. Non mi sentivo pronto per farlo, avevo bisogno dei miei tempi e di cercare qualche appiglio, qualche mia sicurezza personale che mi permettesse di non sentirmi un verme anche solo guardando la principessa. Per quanto avessi deciso di avvicinarla solo volontariamente, perché davvero interessato a conoscerla, una parte di me guardandola negli occhi avrebbe comunque pensato che stavo facendo la cosa sbagliata e che mai e poi mai avrei dovuto compiere un passo come quello. Ero confuso, terribilmente confuso e a disagio. Per questo rifuggivo la compagnia di tutti, cercando nel silenzio della mia stanza le risposte a tutte le domande che vorticavano feroci nella mia mente, senza tregua alcuna. L’invito di Donatien era giunto inaspettato, ma non per questo poco gradito. Forse trascorrere un po’ di tempo con lui mi avrebbe aiutato a trovare un po’ di quella sicurezza che avevo sempre visto in lui e che solo lui era riuscito almeno in parte a conferirmi. Mi faceva sempre piacere vedere mio fratello e non avrei rinunciato ai nostri incontri per nessun motivo al mondo, neppure quello che mi turbava in quei giorni. Cercai di darmi un po’ di contegno e di apparire molto più tranquillo e spensierato di quanto fossi davvero, cercando di pensare solo e soltanto alla felicità che provavo nel poter passare un po’ di tempo con lui. Era stato molto impegnato con la licantropa in quell’ultimo periodo, ma non gliene avrei mai fatto una colpa, anzi, ero molto felice che lei fosse riuscita ad avvicinarsi tanto a lui. Mi avviai verso la carrozza con passo tranquillo, ben conscio del fatto che avrei trovato mio fratello ad attendermi. Don era così, curava sempre ogni minimo dettaglio, teneva tutto sotto controllo e riusciva sempre a fare in modo che le cose andassero come lui aveva pensato e desiderato. Come già sapevo non si era minimamente informato sull’opera che avremmo visto quella sera, lui non era tipo da teatro, lo faceva soltanto per me e io gliene ero profondamente grato, anche se generalmente trascorrevamo la maggior parte del tempo a parlare più che a osservare o ascoltare l’opera, ma a me andava bene così. Ridacchiai al suo commento sulla parola matrimonio. Pensandoci bene lui non era un tipo da matrimonio, non sarei mai riuscito ad immaginarlo sull’altare, ad esprimere le sue promesse e prendere parte ad una cerimonia in chiesa, no, non era affatto da lui. Sarebbe riuscito a stravolgere anche un evento come quello e renderlo stravagante come solo lui avrebbe potuto fare ed era proprio questa una delle cose più belle di lui. Con Donatien era impossibile annoiarsi, lui trovava sempre il modo per rendere le cose più belle e divertenti. –Potrebbe anche esserci qualcuno a cui il matrimonio importa davvero, qualcuno che desidera davvero sposarsi, e poi, non tutti hanno una sopportazione bassa come la tua per questo genere di cose! - affermai, canzonandolo un po’, senza smettere mai di ridacchiare mentre andavo avanti con il mio discorso, rivolgendogli un sorrisetto furbo, scoprendo appena la dentatura candida e mettendo in evidenza gli zigomi. Mio fratello sapeva perdere la pazienza molto in fretta ed era probabilmente questo il motivo per cui riusciva sempre a risultare così divertente: lo faceva principalmente per non annoiare se stesso e di rimando permetteva anche agli altri di non farlo. -Più che malpensante io direi realistico Don. Dopotutto, se ti interessasse davvero l’opera perché mai ti interesserebbe l’aspetto fisico delle attrici? – chiesi, sempre più divertito, cercando di punzecchiarlo un po’. Don era l’unico con cui riuscissi a lasciarmi andare almeno un po’ e mostrare un Jean molto più tranquillo, solare e divertente. Le battutine erano all’ordine del giorno tra di noi ed era proprio questo a rendere così bello e speciale il nostro rapporto. -Ad ogni modo non so rispondere alla tua domanda, purtroppo non ho avuto abbastanza tempo per documentarmi così a fondo. – dissi, con un sorrisetto irriverente che voleva servire a farli notare quanto poco preavviso mi avesse dato quella volta, per poi lasciare che le mie labbra si aprissero in un sorriso tranquillo e sincero che mostrava quanto in fondo poco mi importasse della cosa, come lui sicuramente doveva già sapere. La verità era che non mi sarei comunque mai documentato sull’aspetto fisico delle attrici prima di assistere ad uno spettacolo perché non era tra i miei interessi principali. Non mi recato a teatro per vedere delle belle donne, ma per godere di un ottimo spettacolo. Era sempre stato lui il donnaiolo tra di noi, io non avevo mai provato davvero a conquistarle, troppo impacciate per poter fare un passo come quello con naturalezza. Ogni tentativo era stato molto velato e mosso con l’intento di non far capire le mie reali intenzioni così che non dovessi proseguire ancora a lungo con quella tecnica. Ero più un tipo che si lasciava conquistare piuttosto che uno che cercava di andare alla conquista. Lo invitai a scendere prima di me, dandogli dell’anziano e lui rispose prontamente affermando di essere semplicemente pieno di esperienza, sibilando quelle parole al mio orecchio. Scossi appena la testa, divertito da quel suo cambio repentino di punto di vista. Aveva ragione effettivamente, lui aveva molta più esperienza di me, in qualunque senso e non avrei certo avuto problemi ad ammetterlo. Scesi dalla carrozza pochi istanti più tardi, passando appena le mani sul tessuto della giacca per allisciare le piccole pieghe che si erano formate mentre ero seduto sulla carrozza, per poi seguire mio fratello verso l’entrata del teatro. Avrei lasciato parlare lui con gli addetti, come al solito, lui era molto più bravo in questo genere di cose, io non avrei saputo da dove cominciare. Come era ovvio mio fratello non si era preoccupato di avvisare neppure il teatro del nostro arrivo e ora sembrava esserci qualche problema con i nostri posti. Mi feci un po’ più attento, cercando di capire qualche fosse il problema e che cosa non andasse bene nel nostro arrivo, preparandomi all’idea di dover rinunciare alla serata se ce ne fosse stato il bisogno, ma Don era di tutt’altro avviso. Rivolse al giovane vampiro un saluto freddo e distaccato, prima di usare parole abbastanza convincenti per convincerlo ad accompagnarci ai posti a noi riservati. Non proferii neanche una parola, rimasi in silenzio, ad ascoltare mio fratello destreggiarsi con maestria in quella situazione, senza lamentarmi, né mostrarmi d’accordo con lui, semplicemente rimanendo in silenzio, con aria impassibile, guardando a mia volta quel vampiro che cercava di arrampicarsi sugli specchi per evitare di essere licenziato in tronco. Non gli rivolsi un saluto, né una parola, limitandomi a salire la scala di legno che conduceva alle nostre postazioni, soffermandomi ad osservare le sue decorazioni con un leggero sorriso e un’espressione rapita in volto. Provavo un certo amore per l’arte, in tutte le sue forme, sebbene io non fossi in alcun modo capace di crearla. Non sapevo suonare, né dipingere, né scolpire, né tanto meno ballare. Non avevo mai provato a scrivere o disegnare, ma probabilmente non sarei stato comunque molto abile neppure in quei campi. Presi il mio libretto dell’opera e poi mi sistemai su uno dei divanetti in velluto che si trovavano nel nostro balconcino, iniziando a studiare appena il libretto mentre mio fratello si affacciava al balconcino, mormorando qualcosa sull’incompetenza delle persone. -Per fortuna che tu sai come trattare con loro – mormorai tranquillo, continuando a leggere il libretto. Non era un rimprovero il mio, né voleva esserlo, era una semplice constatazione. Io non ero altrettanto abile nel reclamare ciò che era mio di diritto, non avevo mai avuto una tale determinazione. Mi avvicinai al balcone solo quando lui mi fece segno di farlo, più per accontentarlo che per una reale voglia di guardare tutte quelle persone. Lo guarda incuriosito quando mi chiese se la carta dei libretti fosse adatta per fare gli origami, sorprese di come lui fosse riuscito a trovare un modo totalmente anticonvenzionale per utilizzare quei poveri libretti. -Non saprei dire in effetti, non ho mai provato a realizzarne uno, non so come debba essere la carta per realizzarli, ma suppongo potremmo sempre provare. – terminai poi, con un sorrisetto tranquillo. Io sarei stato davvero intenzionato a seguire l’opera, a differenza di mio fratello, che aveva appena mostrato apertamente il suo palese disinteresse, ma non era un problema per me. Avrei avuto modo di assistere a quell’opera in un’altra occasione se lo avessi avuto, quello che volevo fare quella sera era trascorrere un po’ di tempo con lui, in qualunque modo lui avesse desiderato. Mi sporsi appena con il capo ad osservare la donna che salutò con la mano, mi pareva di averla già vista in precedenza ma non avrei saputo dire né dove, né quando, quindi non feci altrettanto, limitandomi a fare un leggero passo indietro perché lui potesse intrattenere una conversazione con lei se lo avesse desiderato, ma così non fu. Al contrario, chinò il capo verso di me, indicandomi la vampira con un cenno del mento, prima di affermare che fosse carina. Mi lasciai andare ad una leggera risata, avvicinando piano il viso al suo orecchio prima di parlare di nuovo. -Mi pareva di aver sentito dire in giro che tu fossi interessato ad una certa licantropa, molto interessato, sei forse tornato alle vampire, Don? – chiesi con un sorrisetto irriverente prima di allontanarmi un po’ da lui, evitando così di essere a portato di mano se avesse voluto darmi uno scappellotto su due piedi, ridacchiando appena nell’arretrare e rivolgendogli poi uno dei miei soliti sorrisetti, prima di prendere posto a sedere. Il telo rosso si erano ormai aperto, lasciando intravedere i primi attori dell’opera. Rivolsi una leggera occhiata a mio fratello, cercando di capire quali fossero effettivamente le sue intenzioni e quindi se avrebbe avuto qualcosa da dire o se invece si sarebbe concentrato sullo spettacolo.
    Oh brother I can't, I can't get through
    I've been trying hard to reach you
    'cause I don't know what to do

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    DONATIEN ZACHARIE DUCHAMP » vampiro
    Ogni volta che mi ritrovavo a fissare Jean, rivedevo nei suoi occhi la stessa ammirazione che, secoli prima, mi aveva mosso verso mio padre. C'era quel timore reverenziale, quella volontà di genuina sottomissione, la dolcezza derivante dal considerarsi inferiore a qualcuno non tanto perchè non si credesse nelle proprie qualità, bensì perchè era giusto così, perchè ci si sentiva dentro quel qualcosa che spingeva a considerarsi di natura differente rispetto ad altri. Avevo ammirato moltissimo il mio genitore e per me era, e sarebbe per sempre stato, un grande motivo di orgoglio. Nessuno, nella mia famiglia adottiva, aveva mai saputo molto su ciò che mi era accaduto: a malapena nostro padre aveva desiderato sapere qualcosa al riguardo. Forse aveva intuito che il mio passato non doveva appartenergli, oppure ero stato io stesso, con la mia arroganza, ad arrogarmi il diritto di non far parola con nessuno di ciò che era stato. Jean, seppure così diverso da me, condivideva, senza peraltro saperlo, quella mia stessa natura, sebbene il Don devoto se ne fosse andato anni prima, con lo sterminio della mia famiglia. Eravamo accomunati anche da tale fattore, ma egli mai avrebbe saputo del mio arrancare nel mondo. Io non volevo dare alcun stimolo di debolezza, avevo deciso di rimboccarmi le maniche e diventare migliore di tutto e di tutti, perchè sentivo di potercela fare e dunque nessuno avrebbe potuto intralciarmi, in quella nuova missione. Adoravo il modo in cui mio fratello mi osservava, era come se tutto l'universo intero gravitasse attorno a me. Sapevo quanto mi fosse riconoscente, me l'aveva dimostrato svariate volte in precedenza e, giorno dopo giorno, anno dopo anno, continuava a mettere in moto quella sua genuina curiosità, la stessa che mi aveva mostrato quando ancora era un semplice umano. A distanza di molti anni, mi richiedevo cosa mi avesse realmente smosso verso di lui: odiavo quei semplici umani, perchè mi avevano portato via tutto, eppure con Jean era stato tutto diverso, sin dal principio della nostra conoscenza. La stoltezza e la cattiveria di quei ragazzi che l'avevano maltrattato quando ancora il suo cuore batteva mi avevano fatto comprendere che non avrebbe potuto sopravvivere un momento di più da solo. Dunque, con il mio solito charme, mi ero accinto a insegnargli tutto ciò che un perfetto vampiro – e perfetto Duchamp – dovesse sapere al riguardo dell'eternità. Jean era molto sveglio, aveva imparato senza particolari problemi e io andavo molto fiero di questa sua caratteristica. Tuttavia, non sarei mai uscito dal mio guscio fatto d'orgoglio: egli avrebbe dovuto sapere dei miei sentimenti e del mio affetto per lui semplicemente basandosi sulle piccole azioni quotidiane. Non ero mai stato propenso a inutili sentimentalismi, nemmeno con Aleera era mai successo nulla di simile – e qualcosa mi faceva credere che ciò sarebbe andato avanti all'infinito, eravamo anime troppo orgogliose e testarde per spogliarci della nostra avida passione. Mi limitavo a studiare mio fratello e a vederlo migliorare sempre di più, sebbene egli mostrasse un'umanità che in me non era mai stata presente, complice anche la mia natura eterna, sin dalla nascita.
    Sciocchezze, Jean. Una cerimonia nuziale è quanto di più inutile gli essere dotati di apparente cervello potessero inventare. Cosa potrebbe saperne della vita coniugale un prete? Osserverebbe più lui la scollatura della sposa che il futuro marito stesso. Non dirmi che ti piacerebbe sposarti. Almeno non usare un luogo stuprato dalla mentalità religiosa. Un cimitero potrebbe essere interessante come luogo di cerimonia. Perchè no, anche una casa di appuntamenti: se qualcuno si annoiasse, di certo saprebbe come passare il tempo e l'intervallo tra la cerimonia e il banchetto.
    Non mi ero mai fatto problemi a mostrarmi diretto e sicuro verso mio fratello, non avevo mai avuto alcun disagio a mostrarmi a quel modo verso nessuno. Ero conscio del fatto che le mie idee mi avrebbero portato più problemi che altro, ma non sarei mai riuscito a tenermi tutto dentro, il mio carattere caldo e impaziente non me l'avrebbero mai permesso. Scoccai un'occhiata alquanto significativa verso Jean, constatando quanto, per l'ennesima volta, fossimo così differenti: Jean così dolce e delicato, alla ricerca di un amore che lo rendesse più sicuro e io, dall'altro capo del filo, cinico e continuo elemento di disturbo. Effettivamente, Jean sarebbe stato un bravo marito e il matrimonio, per lui, poteva di certo rappresentare qualcosa di positivo e molto significativo; al contrario, io mai mi sarei cimentato in qualcosa di simile, perchè il matrimonio non avrebbe mai rappresentato qualcosa di utile per me. Mi sarei opposto appieno al controllo che i miei genitori adottivi avrebbero esercitato sul mio futuro. Non mi sarei mai visto con una fede al dito, io, che spesso e volentieri l'avevo tolta alle donne con le quali ero stato. Non ero in grado di sottomettermi a qualcuno, figurarsi al processo religioso nel quale tutta la società era immersa. La carrozza continuò la sua corsa verso il teatro, mentre l'aria fredda sferzava dal finestrino, attraverso il quale era possibile osservare il panorama serale che stava avanzando nella città di Londra. La seconda domanda di Jean mi fece arcuare le labbra all'insù, in un sorriso tanto divertito quanto ironico e sicuro di sé. Adoravo quando mio fratello mi stuzzicava, spesso e volentieri mi dava l'incipit necessario per proseguire senza nemmeno rendersene conto.
    Sono fattori che concorrono l'uno con l'altro, mio caro. È come dire che vorrei fare un bel viaggio ma che sceglierei, per compierlo, una carrozza non all'altezza delle mie aspettative. Tutto ciò che è creato concorre a modificare e a plasmare ciò che ha attorno a sé, Jean. Allo stesso modo, nessuno vedrebbe un'opera a teatro se non per qualche fattore fisico di attrazione. Ti immagini una giovane innamorata rappresentata da un'innocente novantenne in decadente forma fisica? Suvvia, fratellino, dubito che anche tu potresti osservare un tale strazio.

    Gesticolai appena con la mancina, mentre parlavo a mio fratello. Esprimevo sempre e comunque il mio punto di vista, anche se i miei interlocutori parevano non essere per nulla propensi ad ascoltarmi – lo avrebbero fatto comunque, in un modo o nell'altro. Non mancai di sfoderare una risata tanto lieve quanto roca, a seguito delle mie ultime parole. Jean era molto pacato e sapevo bene quanta difficoltà provasse nel relazionarsi con qualcuno. Alle volte, temevo che chiunque si potesse approfittare della sua dolcezza e per quel motivo ci tenevo a seguirlo il più possibile, sebbene le mie attenzioni, in quel momento, fossero dirette altrove, verso una donna che aveva contribuito a innalzare le critiche della nobile società della quale facevo parte.
    Ahi ahi ahi, Jean. Non va bene.
    Ironicamente aggiunsi verso di lui, facendo scoccare la lingua contro il palato, a seguito della rivelazione di mio fratello circa il non sapere nulla sulla domanda che gli avevo posto in precedenza. Non mi aspettavo che lo sapesse, d'altronde gli avevo dato un margine di tempo molto limitato, ma era comunque divertente stuzzicarlo in quel modo, arcuando le sopracciglia in un'espressione di sufficienza. Quando la carrozza si fermò io uscii per primo, seguito da Jean, e colsi l'occasione per fare una ramanzina a un giovane Vampiro che, a teatro, non pareva aver gradito la nostra intrusione a pochi minuti dall'inizio dell'opera. Sfoggiai il peggio di me, nascondendo la bestia in una galanteria e savoir faire che spiazzò il giovinetto e, in pochi secondi, giungemmo al loggione a noi destinato. Jean prese posto su di una poltroncina, dicendomi ciò che già sapevo: era naturale che fossi superiore a quelli come loro, la vita mi aveva insegnato che si doveva lottare per ottenere ciò che si desiderava e per diventare ciò che si voleva, dunque niente e nessuno mi avrebbero fermato. Mi avvicinai di qualche passo al balcone, osservando gli altri avventori che, quella sera, affollavano il teatro. Mi accigliai appena nell'osservare tutti gli abiti sfarzosi, gli sguardi altrui e il panorama che la società donava in quegli istanti. Mi voltai quando Jean mi raggiunse e lo studiai, sul volto un cipiglio divertito.
    Lo scopriremo presto.
    Annunciai criptico verso di lui, sventolandogli sotto al naso il libretto d'opera che stringevo. Feci scivolare lo sguardo chiaro su di una fanciulla in particolare, salutandola con riverenza, ma senza agire o fare altro. Quando Jean mi parlò e fece un riferimento palese ad Aleera mi voltai di scatto, sul volto uno sguardo truce. Si era allontanato di qualche passo, quasi per porsi al sicuro, mentre io sapevo benissimo che quelle voci avrebbero continuato a circolare con insistenza. Era stato uno smacco per la perfetta società vampirica di quell'epoca: un Vampiro che frequentava una Licantropa? A me le regole erano sempre andate strette e avrei fatto comprendere a quella giovane donna quanto stupendo sarebbe stato infrangerle assieme. Le sue parole mi fecero ricordare ciò che, giorni prima, avevo passato con lei: ci eravamo lasciati andare totalmente a noi stessi e quell'abbandono era per me stato stupendo. Non mi erano mai interessate le opinioni altrui circa la mia vita, l'avevo sempre vissuta al limite e me ne ero altamente fregato, però non sopportavo che i miei cari osassero insinuare qualcosa al riguardo. Ruotai col busto, proprio nel momento in cui le luci divennero più soffuse, simbolo dell'inizio dell'opera. Senza alcun problema circa il buio, scrutai intensamente mio fratello, comodamente seduto su di una delle poltrone lì presenti. Rimasi a fissarlo qualche secondo, in piedi, sostenendo il suo sguardo.
    Non mi pare che tu lo debba chiedere, Jean. Le voci corrono, chissà quante cose avrai sentito e avrete detto su di me, in mia assenza. Vuoi forse una conferma?
    Domandai guardingo. Non sopportavo poter cambiare la mia figura, avevo insistito tantissimo per raggiungere una specifica posizione e niente e nessuno mi avrebbe fatto scendere da quel piedistallo prediletto. Non mi vergognavo, nella maniera più assoluta, di ciò che avevo fatto e, anzi, se fosse stato necessario, lo avrei ribadito con ancora più forza. Semplicemente, non mi piacevano i commenti campati per aria, col solo scopo di fare riferimento a qualcosa che solo io e lei sapevamo e avremmo continuato a sapere. Mantenni lo sguardo truce su Jean, forse risultando troppo duro. Mi avvicinai di qualche passo verso la poltrona accanto a lui.
    Sì, sono molto preso da questa nuova figura, se vuoi sentirtelo dire. Non mi interessano le dicerie che si sentono in giro, nemmeno tu devi dare loro ascolto. Se vuoi qualcosa, Jean, devi prendertela. Il mondo ti ostacolerà sempre ed è inutile tapparsi le orecchie. Che parlino pure, dunque. In effetti, è da troppo tempo che non sono coinvolto in una rissa.
    Conclusi filosoficamente, prendendo posto accanto a lui e lasciando che l'aria severa scemasse e che, al suo posto, si formasse un sorriso lieve e leggero, pieno d'ironia. In perfetta posizione, la schiena dritta e bene aderente allo schienale, osservai con poco interesse le figure che si stagliavano sul palco, iniziando a cantare in maniera improponibile qualcosa. Dio, come si potevano seguire le opere liriche, quando a malapena si comprendevano le parole uscite dalle bocche dei cantanti? Portai una mano al bracciolo sinistro, stringendolo appena, in preda alla noia più acuta: erano passati già pochi secondi e mi ero immediatamente sentito messo alle strette.
    E tu, invece? Nostra madre mi ha accennato a un incontro con la principessina. Però... punti in alto. Com'è che io non ne sapevo nulla?
    Domandai direttamente a mio fratello, ruotando di scatto il capo scuro verso di lui e scrutandolo negli occhi, senza timore di dover risultare troppo poco indiscreto. Ero rimasto genuinamente stupito dalla rivelazione di mia madre, poiché nulla di tutto quello mi era stato detto. Desideravo conoscere la verità da Jean e mi sembrava altamente improbabile che egli si fosse mosso di sua spontanea volontà verso un individuo di sesso femminile, a maggior ragione verso una figura così importante come quello della principessa Lancaster. Sospettavo che ci fosse sotto qualcosa, ma era mio preciso intento farmi rivelare tutto da Jean, perchè non era il caso di porre altri intermediari. Jean si meritava il meglio e non mi pareva il caso di forzarlo in azioni oscure, sinistre o contro la sua volontà. Era mio fratello, era mio preciso dovere sapere cosa gli stesse succedendo. Sapevamo entrambi quanto io fossi abile nel cavarmela da solo, ma Jean non era così, non lo era mai stato.
    C'è qualcosa che devo sapere, Jean?
    Rincarai volutamente la dose, alzando entrambe le sopracciglia, come a voler sottolineare che la storia non era passata inosservata dinnanzi alla mia persona. Se c'era qualcosa che non andava, mio fratello doveva categoricamente riferirmelo, perchè io me ne sarei occupato. Non ero mai stato eccessivamente presente nella vita dei miei eletti – né nella sua, né in quella di Medea- e, alle volte, un poco me ne dispiacevo. Medea era caratterialmente più simile a me, mentre Jean, con quei suoi modi di fare calmi e pacati, si lasciava correre tutto addosso, come se non fosse stato importante il suo ruolo all'interno della nostra famiglia. Lo scrutai con attenzione, attento al minimo suo cenno o movimento accennato, mentre nell'aria si propagavano i canti astrusi e impossibili da comprendere dei vari attori protagonisti. Digrignai i denti, non desideroso di sentire quelle loro lamentele sonore, quando avevo ben altro in mente.
    Dannazione, qualcuno plachi le loro sofferenze.
    Sbottai, portandomi una mano al mento, prima di lanciare una veloce occhiata verso il palco. Una donna di un loggione vicino, sentita la mia lamentela, mi guardò in malo modo e io feci altrettanto, mostrando un'espressione di superiorità. Infine, dopo questo, tornai a fissare mio fratello, con l'evidente intenzione di farlo cantare. In un modo o nell'altro mi avrebbe detto qualcosa, altrimenti avrei escogitato metodi poco ortodossi per farlo.

    These lessons that we've learned here have only just begun.

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    Edited by lýkos. - 1/2/2014, 15:28
     
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    Jean Baptiste Duchamp » Vampire
    Ero lieto di poter trascorrere un po’ di tempo con mio fratello finalmente, ne era passato parecchio dall’ultima volta, ma non avevo mai fatto una scenata per questo. Ero suo fratello e come tali le scenate di gelosia non potevano e non dovevano esistere. Avevo sempre evitato di farlo, di mostrare quanto a volte mi dispiacesse stare troppo a lungo lontano da lui, quanto mi mancasse la sua compagnia in quelle lunghe settimane. Ero molto legato a Donatien e gli dovevo tutto, per questo non potevo fare a meno di desiderare di stare al suo fianco, di cercare di essere presente per lui così come lui aveva fatto con me in passato. Forse era anche per questo che tanto avrei desiderato conoscere la donna che aveva rapito il suo cuore. Ero curioso di vederla, di conoscere, di sapere anche solo qualche piccolo dettaglio sulla loro storia e sul modo in cui si erano conosciuti. Don non era uno che si sbottonava tanto facilmente, non era uno a cui piaceva parlare troppo delle cose importanti della sua vita ed ero certo che fosse per questo che non me ne aveva mai parlato, che non mi aveva raccontato nulla sul suo conto. Eppure le voci erano giunte comunque sino a me, sicuramente distorte, frivole e sbagliate, ma mi avevano dato modo di capire che doveva esserci qualcuno di nuovo nella sua vita, qualcuno che forse non era solo una delle tante ombre di passaggio che avevo visto in passato. Lo avevo visto nel suo sguardo, nella cura che metteva ancor più in ogni gesto da quando avevano iniziato a frequentarsi un po’ più assiduamente e mi dispiaceva che lui non avesse trovato la voglia, o forse semplicemente un motivo, per parlare un po’ con me di questo cambiamento nella sua vita. Pensava forse che ne sarei stato geloso? Oppure semplicemente non riteneva che io fossi abbastanza importante nella sua vita per raccontarmi di lei? Entrambe le opzioni mi rendevano triste, ma se quella era la sua scelta io l’avrei accettata comunque, anche se a malincuore, non senza prima tentare di capire però. Lui aveva sempre cercato di insegnarmi che se volevo qualcosa dovevo essere io a prendermela direttamente e questo era proprio ciò che avrei cercato di fare quella sera. Volevo sapere qualcosa su di loro e volevo che fosse lui a dirmela, così da essere certo che fosse la verità e avrei provato a chiederglielo in qualche modo proprio quella sera, visto che per la prima volta, dopo tanto tempo, ne avevo l’occasione. Avrei comunque cercato di non essere troppo invadente, di non andare direttamente dritto al punto, ponendogli la domanda in maniera aperta, così che lui potesse parare direttamente il colpo, senza mostrare neppure di averlo sentito, come era abilissimo a fare. Avrei cercato di arrivarvi per vie traverse, sperando che lui me ne desse l’occasione. Tentavo sempre di mostrarmi un po’ più sicuro di me quando mi trovavo in sua compagnia, un po’ più sfacciato e irriverente, per dimostrargli che i suoi insegnamenti non erano stati del tutto vani e che in fondo ero un bravo allievo, a modo mio. Cercavo di prendere iniziative, di stuzzicarlo in qualche modo, pur sapendo che lui l’avrebbe avuta vinta, sempre, perché era molto più esperto e più pratico di me in quelle cose. Era stato lui ad insegnarmelo, quindi come avrei mai potuto batterlo al suo stesso gioco? Eppure ci provavo sempre e mi divertivo a farlo, anche se sapevo di non avere la minima speranza. Lo facevo perché mi piaceva il rapporto che avevamo, mi piaceva il suo modo di controbattere alle mie battute e ad ogni mia parola detta per cercare di stuzzicarlo, a cui lui controbatteva con parole che sapevano come mettermi in difficoltà, oppure come farmi ridere, di gusto, di fronte a qualche sua nuova trovata. Mi trovavo bene in sua compagnia, ero felice di averlo conosciuto e che lui mi avesse fatto divenire un membro della sua famiglia, eppure sapevo che c’erano tante cose di lui che non conoscevo, tanti avvenimenti del suo passato che lui probabilmente non mi avrebbe mai raccontato e che ci avrebbero sempre e comunque fatto mantenere una certa distanza, che neppure anni di conoscenza avrebbero potuto colmare. Don non parlava mai con me del suo passato, non sapevo neanche se lo avesse mai fatto con qualcuno e anche se io lo avrei tanto desiderato, per approfondire almeno un minimo il nostro rapporto, non avevo mai cercato di costringerlo, preferendo che le cose rimanessero così, piuttosto che peggiorarle in un mio egoistico atto di conoscerlo meglio. Lui sarebbe sempre rimasto il mio punto di riferimento, un maestro in qualche modo, a cui ispirarmi in ogni momento, per cercare di capire come comportarmi e come reagire ad ogni situazione.
    Eravamo molto diversi e questo era innegabile. Non era raro infatti che dessimo vita a qualche battibecco che non finiva mai davvero, rimanendo piuttosto in sospeso, perché il più delle volte io lasciavo che l’argomento cadesse, perfettamente consapevole del fatto che non ci saremmo mai messi d’accordo per giungere ad un pensiero comune. Avevamo opinioni contrastanti riguardo molte cose, per non dire che forse la pensavamo in maniera diverso riguardo ogni cosa, persino le più semplici e sciocche e questa consapevolezza era tra le tante cose che mi aveva sempre fatto pensare che non sarei mai riuscito a raggiungere il suo livello, ad eguagliare la sua eleganza e la sua scioltezza, perché non riuscivo neppure a comprendere del tutto il suo modo di pensare e il suo modo di essere. Avevamo avuto due vite molto differenti, che avevano condizionato le nostre vite, facendoci raggiungere le due sponde diverse dello stesso fiume, dandoci la possibilità di osservarci, di parlarci, ma mai di raggiungere la sponda dell’altro, troppo lontana e ostica per chi non sapeva come metterci piede. Per me sarebbe sempre stato così, non sarei mai riuscito a raggiungere il suo lido, a vedere il mondo con i suoi stessi occhi e a muovermi tra la gente come lui riusciva a fare. Lui scivolava con eleganza, senza permettere a nulla o a nessuno di intaccarlo e turbarlo, mentre io, al contrario, assorbivo ogni cosa, mi facevo colpire da ogni parola e da ogni gesto e mi ritrovavo a rimuginarci senza neppure volerlo. Non riuscivo a fare davvero a meno del parere degli altri, non riuscivo a staccarmene e a elevarmi sopra di esso, ne rimanevo sempre abbattuto, o quanto meno ammaccato, ogni volta che questo arrivava alle mie orecchie passando per lo schiocco delle male lingue. Avrei desiderato avere la sua stessa forza nel lasciarsi scivolare tutto addosso, incurante di chi non meritava davvero di esprimere parole sul suo conto e lasciando quindi che si perdessero nel vento, dimenticate, invece mi rimaneva addosso, si appiccicavano alla mia pelle e si insinuavano nei miei pensieri, portandomi sempre e sentirmi sciocco e inadatto di fronte ad ogni cosa.
    Il matrimonio era solo una delle tante cose su cui io e Don non saremmo mai andati d’accordo. Lui la vedeva come un’istituzione inutile, una sciocca messa in scena di una noia infinita, mentre io vedevo in essa l’apice della dimostrazione dell’amore tra due persone. Da umano sapevo che prima o poi anche per me sarebbe giunto quel giorno, che avrei trovato la mia amata e ci saremmo sposati, prima di dare vita alla nostra famiglia, ma ora che la mia vita era mutata e con essa la mia natura, avrei ancora avuto quella possibilità? Come funzionavano queste cose tra due vampiri? E come sarebbero funzionate per me? non lo chiesi, preferendo scuotere appena il capo e rivolgere una leggera risatina divertita in direzione di mio fratello quando affermò che lui avrebbe preferito un cimitero o persino una casa di appuntamenti come luoghi in cui celebrare dei matrimoni, perché sarebbero stati senza dubbio più interessanti e divertenti del normale luogo comune. Non insistetti più a lungo su quell’argomento, non volevo risultare noioso, né pedante e sapevo che non saremmo mai giunti neppure ad un punto di contatto. Lui forse non avrebbe mai capito le ragioni che mi spingevano a desiderare di convogliare a nozze prima o poi, delle nozze liete e sentite, non un matrimonio di facciata, organizzato a tavolino per dare vita ad un accordo politico tra due famiglie potenti. Avrei voluto che ci fosse qualcosa di vero nel mio matrimonio se questo un giorno fosse effettivamente giunto, ma chi ero io per oppormi al volere della mia famiglia se loro invece avessero deciso di avere bisogno di me per ottenere un accordo? Non mi sarei mai potuto rifiutare, non tanto per paura, quanto piuttosto per il senso di dovere che nutrivo nei loro confronti e che mi spingeva ad accettare di scendere a compromessi per me scomodi, ma che sapevo che avrebbero dato loro la felicità.
    Al nostro arrivo Don mostrò subito ad uno degli inservienti chi era a comandare, riuscendo in poco tempo a farci scortare verso il loggione a noi riservato, sebbene il vampiro ci avesse in origine comunicato che c’era qualche problema con i nostri posti. Mio fratello non aveva avvisato del nostro arrivo e questo sembrava aver infastidito un po’ il ragazzo, ma lui non aveva ceduto. Mi guardai attorno, scorgendo dall’alto tutti le altre persone che avrebbero preso parte all’evento di quella sera. Sembravano tutti in trepidante attesa di vedere lo spettacolo cominciare, così da poter avere qualcosa di cui parlare quando lo spettacolo sarebbe finito e loro sarebbero tornati alle loro vite e ai loro salotti di pettegolezzi. Dal canto mio sapevo che avrei fatto meglio a tenere la bocca chiusa se volevo che la serata andasse per il verso giusto, ma quando avevo avuto la possibilità di farlo, non ero riuscito a trattenermi dal lanciare a mio fratello una mezza domanda sulla nuova ragazza che aveva iniziato a frequentare, suscitando subito le sue ire.
    Si voltò di scatto nella mia direzione infatti, riservandomi uno sguardo truce, mentre io muovevo qualche passo all’indietro per ritornare alla mia poltrona e mettere una distanza di sicurezza tra di noi. Ruotò con il busto nella mia direzione, incurante del buio che iniziava a diffondersi nella sala, per via delle luci che si facevano via via sempre più soffuse, segno che lo spettacolo avrebbe avuto inizio a breve. Sentii il suo sguardo su di me e io rivolsi i miei occhi a lui, in attesa di sentirlo parlare di nuovo e di udire che cosa avrebbe risposto ora che io avevo in parte sollevato il coperchio. L’avrebbe richiuso velocemente? Con uno scatto e un tonfo sordo? O l’avrebbe invece definitivamente spalancato? Mi disse che sapeva che le voci correvano e chissà che cosa avevo sentito e detto sul conto in sua assenza, chiedendomi se era una conferma ciò che volevo. Non gli risposi, sapevo che il suo discorso non era ancora terminato ed evitai di interromperlo, sebbene avessi già alcune parole da dire. Avevo sentito tantissime voci, era vero, ma io non avevo mai tentato di contribuire alla loro diffusione. Non avevo mai esposto una mia opinione in merito, né in casa, né fuori, mi ero semplicemente limitato ad ascoltare ciò che si mormorava, in attesa di poter scoprire qualcosa di più. Aggiunse che sì, in effetti era molto preso da questa nuova figura, se era questo che volevo sentirgli dire, ma che non gli importava delle dicerie, così come non sarebbero dovute interessare neppure a me e che se volevo una cosa, avrei dovuto prendermela, infischiandomene del mondo. Concluse il suo discorso prendendo finalmente posto al mio fianco, l’aria severa era lentamente scemata verso un sorriso ironico e leggero, mentre il suo sguardo tornava a puntarsi verso la scena. Solo allora decisi di prendere la parola e rispondere almeno in parte a ciò che aveva detto. -Avevo sentito delle voci a riguardo, è vero, tantissime voci, ma pensavo tu avresti immaginato da solo che io non vi ho mai preso parte e che mi sono semplicemente limitato a farmi una mia opinione in attesa di poter sapere di più direttamente dalla fonte. – mormorai, molto più serio di quanto fossi stato prima, rivolgendo lo sguardo in direzione di mio fratello. Ci tenevo a fargli capire che non era mai stata una mia intenzione quella di sparlare di lui alle sue spalle, né mai sarebbe avvenuto. -Saprai anche però che la fonte non è stata molto raggiungibile nell’ultimo periodo e che non ho quindi avuto modo di fare domande, a cui non sapevo neppure se avrebbe mai risposto. – terminai, ora lasciando che il mio tono si facesse un po’ più divertito, mentre scuotevo appena la testa e dedicavo almeno parte della mia attenzione alla scena, dove iniziavano a mostrarsi i primi movimenti. I primi attori erano entrati in scena e lo spettacolo aveva avuto inizio, tra una nota e l’altra, ma Don non sembrava molto lieto di stare a sentirli e mi rivolse una nuova domanda, stavolta ben distante dall’argomento che avevo sollevato io, andando a concentrare l’attenzione completamente su di me. Mi disse che nostra madre aveva accennato al mio incontro con la principessa, chiedendomi se c’era qualcosa che doveva sapere. Io spostai lo sguardo, evitando di guardarlo, prendendomi qualche istante prima di rispondere e meditando a lungo sulle parole da usare. Ero ancora un po’ perplesso riguardo a quelle vicende e il fatto che nostra madre stesse diffondendo quella voce non mi piaceva particolarmente. Rimasi in silenzio a lungo, ascoltando le prime battute di quell’opera e lasciando che il silenzio cadesse tra di noi. Sentivo lo sguardo di mio fratello puntato su di me e sapevo che se non avessi iniziato a parlare di mia iniziativa, lui avrebbe trovato un modo per convincermi in ogni caso, come sempre era avvenuto. Ridacchiai appena sentendolo sbottare e vedendo una signora nella loggia affianco guardarlo in mala maniera, prima di borbottare qualcosa verso il suo vicino.
    Fu quel gesto ad allentare parte della mia tensione, facendomi sorridere per qualche istante e convincendomi ad aprire bocca finalmente. Presi un profondo respiro, sistemandomi un pò meglio sulla poltroncina. -E’ avvenuto durante la festa di Halloween, è stato un incontro piuttosto casuale, avevamo entrambi poca voglia di rimanere in mezzo a tutti quegli invitati e quindi siamo usciti a fare quattro passi nei parchi reali. – dissi, con tono neutro, come se non fosse nulla di importante. Non gli spiegai come avevamo iniziato a parlare, né chi o perché avesse proposto proprio quel luogo, preferendo rimanere sul vago, poiché quell’argomento mi metteva non poso a disagio. -Non è stato nulla di importante, un semplice incontro, ma nostra madre dice che dovrei vederla ancora, che dovrei cercare di approfondire la nostra conoscenza. – rivelai infine, con un sospiro, riportando lo sguardo su mio fratello, sperando che lui avesse qualcosa da dire in proposito, qualche consiglio da darmi per riuscire ad affrontare tutta quella spiacevole faccenda.
    La principessa era una persona gentile, ma io non ero mai stato intenzionato a frequentare le persone solo per secondi fini, per riuscire a ricevere magari qualche beneficio dalla nostra frequentazione. Forse avrei fatto meglio a tenere quell’incontro per me, ma avevo preferito parlarne io con nostra madre, prima che la voce si diffondesse per i salotti aristocratici e le sue orecchie venissero raggiunte da descrizioni completamente erronee circa quella serata. Lei si sarebbe fatta delle idee sbagliate, avrebbe pensato che fossero successe chissà quante cose, mentre la verità era che ci eravamo limitati a passeggiare e dialogare, come due comunissime persone. -Lei sembrava così entusiasta all’idea. – continuai ancora, in un ulteriore sospiro, abbandonando ogni difesa. Immaginavo fosse chiaro che io non fossi altrettanto entusiasta all’idea di dover ricercare la compagnia della principessa solo per comodo, senza aver nessun reale interesse nei suoi confronti. Era una donna bellissima, nessuno avrebbe potuto affermare il contrario, ma io non la conoscevo e non potevo quindi dire se mi sarebbe piaciuto o meno passare più tempo con lei, se avrei voluto conoscerla più a fondo.

    Oh brother I can't, I can't get through
    I've been trying hard to reach you
    'cause I don't know what to do

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  7. oh mÿ Jöe! «
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    DONATIEN ZACHARIE DUCHAMP » vampiro
    Mi ero reso conto, negli ultimi tempi, di avere trascurato un po' troppo Jean. Lo conoscevo e sapevo che non mi avrebbe mai detto in maniera chiara ed evidente quanto tale situazione lo avesse messo a disagio, ma ero pieno di esperienza e, comunque fosse, non serviva un genio per leggere dentro i suoi occhi e pensare ciò che stesse frullandogli per la mente. Quando andavo di fretta e passavo alla nostra dimora senza soffermarmi molto sugli altri, captavo sempre il suo sguardo: era come se si fosse isolato volontariamente, come se ne fosse conscio. Sentivo i suoi occhi incastrati nella mia schiena, ma Jean se ne rimaneva sempre in silenzio, come se avesse timore ad esprimere la propria opinione circa la mia assenza. I nostri genitori, invece, avevano detto chiaro e tondo quanto il mio comportamento, quell'isolarmi volontariamente dal mondo esterno per concentrarmi solo ed esclusivamente su di una persona, fosse ben poco dignitoso e piacevole per un nobile della mia stirpe. Non li avevo ascoltati – quando mai lo avevo fatto? - e avevo continuato nei miei incontri con Aleera. Per quanti i coniugi Duchamp si fossero impegnati, non avrebbero mai compreso la ventata di novità che quella Licantropa aveva sistemato nella mia vita: era come se, tutto a un tratto, fossi stato realmente in grado di respirare, come se il cielo fosse diventato incredibilmente azzurro e pronto a confondersi col mio sguardo. Non avevo mai provato simili sensazioni durante tutta la mia eternità, nessuna donna mi aveva donato un motivo per il quale rivederla ancora e ancora, qualcosa che andasse al di là del puro e mero atto fisico. Tutti se ne erano accorti, non solo in famiglia, e il mormorio curioso andava espandendosi sempre di più nella Londra perbene – se così si poteva ancora definire una società nobile atta solo al ladrocinio tra parenti, a assassinii e scandali generici atti solo ad innalzare la fama di questa o quella famiglia. Io, dal canto mio, non me ne ero preoccupato minimamente, giacché ero solito essere sulla bocca di tutti per una zuffa, una parola detta a tono troppo alto o un comportamento al di sopra dei canoni elargiti dalla nobile famiglia Duchamp. Forse per Aleera era differente, perchè lei lavorava a corte, ma la conoscevo abbastanza bene da aver capito che non si sarebbe mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno. Jean, al contrario, nonostante tentasse di mascherarlo, aveva bisogno di me e leggevo una ricerca di aiuto e attenzioni ovunque, in ogni sua parola, gesto o movimento. Era vero che non mi ero mai mostrato particolarmente aperto o accondiscendente nei suoi confronti, proprio per via del mio carattere. Non ero per nulla sentimentale, mi ritrovavo a giocare moltissime parti tutte assieme, ma non ero mai stato in grado di esternarmi totalmente come invece Jean aveva fatto più volte con me. Quello doveva essere uno degli altri motivi che mi avevano spinto ad accompagnarlo a teatro, quella sera, senza nemmeno sapere il nome dell'opera che ci accingevamo ad andare a visionare – lui, più che altro, a me di quelle frivolezze non era mai interessato granché. Jean era così diverso da me, quasi avessero preso, chissà dove, due stampi totalmente agli antipodi. Capivo, nei suoi gesti, che ero io il suo punto di riferimento e ne ero estremamente orgoglioso, giocavo molto su quel fattore, ma, d'altra parte, sapevamo entrambi quanto l'uno non avrebbe mai potuto ricoprire il ruolo dell'altro e viceversa. Eravamo troppi differenti da molti punti di vista e i nostri pensieri, per la maggior parte dei nostri dialoghi, andavano a cozzare senza trovare un ponte di connessione tra essi. Riuscii a capirlo ancora una volta quando si iniziò a parlare, seppure in maniera piuttosto blanda, di matrimoni: il solo pensiero di essere legato a tal modo a una persona mi fece venire il voltastomaco. Jean era molto più romantico di me, sotto ogni punto di vista, e avevo da sempre saputo che avrebbe desiderato trovare una donna per tutta la sua esistenza e dedicarsi a lei anima e corpo. Non avrebbe mai girato tanti letti come me, per farla breve, ma ero felice del fatto che il mio fratellino avesse la testa sulle spalle. Non ce l'avrei mai fatta a vederlo in balia di molte donne, perchè così timido e riservato non avrebbe combinato nulla di buono. Una volta preso posto accanto a lui, l'argomento che si andò a toccare fu proprio quello di Aleera, sebbene io stesso avessi giocato col fuoco, forse servendo a Jean la controreplica su di un piatto d'argento. Ruotai criptico il capo verso di lui, arcuando entrambe le sopracciglia e stupendomi un poco per il divertimento col quale mi si rivolse. Sapevo bene di essere l'unico di casa Duchamp ad avere la possibilità di poter osservare certe reazioni di mio fratello e ne andavo oltremodo fiero – perchè era un mio diritto e una mia prerogativa – ma il tono che utilizzò e soprattutto il modo in cui mi fece intendere tra le righe che avrebbe desiderato sapere qualcosa in più sulla donna che frequentavo mi fecero ridacchiare a mia volta. Sapeva benissimo che non sarei mai stato in grado di discorrere apertamente sui miei affari personali, soprattutto in quel particolare momento della mia esistenza, dove avevo trovato una nuova forma di coinvolgimento, che mi aveva fatto cambiare radicalmente le mie priorità e i miei pensieri. Volevo proteggere quel qualcosa, perchè sapevo benissimo che ciò che sentivo quando Aleera era nelle mie immediate vicinanze era una sensazione molto forte, da giramento di testa. Allo stesso modo ero ben conscio del fatto che Jean non avrebbe mai insinuato nulla e nemmeno mi avrebbe forzato a fari parlare – cosa che invece accadeva con me verso di lui, ma oramai vi era abituato. Esigevo sempre rispetto per i miei spazi, sebbene spesso e volentieri invadessi quelli altrui. Non mi preoccupavo delle eventuali repliche, non dovevo spiegazioni a nessuno. Fu con quel sorriso sfrontato che tornai a rivolgermi a mio fratello, scrollando appena le spalle.
    Rispetto molto le tue opinioni, Jean, ma sappi che il continuo tormento non darà modo alla fonte di far fuoriuscire alcunché. Sono oramai temprato dalle mille domande che mi vengono rivolte ogni santo giorno e so bene quanto la tua curiosità ti stia mangiando vivo, ma io posso solamente consigliarti di iniziare a mettere per iscritto tutte le dicerie e di scrivervi un libro. Diventeresti senza ombra di dubbio incredibilmente famoso.
    Buttai sul ridere la questione, incapace di fare altro. Con mio fratello mi veniva naturale agire in quel modo: ero sempre diretto, sebbene utilizzassi molto più tatto e riguardo nei suoi confronti. A differenza degli altri, Jean non aveva mai fatto cenno di esigere qualcosa in più, o di volermi ferire, in un modo o nell'altro e in maniera fisica o psicologica. Ero molto legato a lui, perchè era riuscito, già da Umano, ad attirare il mio interesse, sebbene dopo lo sterminio della mia famiglia avessi iniziato a vedere tale razza come stupida e totalmente inferiore. L'avevo cresciuto, gli avevo fatto capire come muoversi in un mondo che non aspettava altro che una mossa sbagliata. Lo avevo temprato, ma non ero riuscito a far breccia in quella dolcezza che illuminava la sua anima – ed era stato meglio così, perchè era rimasto genuino. Quando iniziò la rappresentazione, la mia noia si innalzò a livelli incredibili e sbuffai sin da subito in maniera piuttosto sonora, forse troppo forte, perchè notai con la coda dell'occhio una donna bisbigliare qualcosa all'orecchio del suo accompagnatore, nel loggione al nostro fianco. Non vi diedi affatto peso, perchè avrei dovuto escogitare altri modi per far passare la serata. Fu in quel momento, libretto in mano, che mi decisi a chiedere a Jean della principessa Lancaster, figurina della quale nostra madre non aveva fatto altro che parlare, quasi a compensare la mancanza di figure reali nella mia vita – tentava di farmi sentire in colpa, ma non ce l'avrebbe mai fatta. Lo ascoltai attentamente, scordandomi della rappresentazione che stava avendo luogo proprio davanti ai nostri occhi. Notai del forte disagio nel suo sguardo, non tanto per l'essersi aperto con me, quanto per l'incapacità di farsi piacere quella situazione. Mi chiesi se la principessa fosse realmente la donna perfetta per mio fratello, ma l'immagine di Jean accanto a una Vampira oltremodo perfetta mi fece un poco storcere il naso. A lui serviva del brio, altrimenti sarebbe invecchiato nella sua perfetta eternità senza nessuno al suo fianco.
    A nostra madre andrebbe bene anche un orso ballerino, se ciò servisse ad accasare tutti i suoi figli.
    Fu la mia conclusione filosofica, mentre andai a sistemarmi meglio sulla poltrona imbottita, mantenendo sempre la schiena dritta e una posizione estremamente nobiliare, sebbene ora i miei occhi fossero in giro a sondare il pubblico negli altri loggioni. L'oscurità non era un problema, eravamo figli della notte e quasi tutti i partecipanti a quella rappresentazione detenevano la nostra stessa natura. Tornai a fissare Jean, sprofondato nella poltrona, e andai ad accarezzarmi il mento squadrato e perfetto, caratteristiche che mi erano state donate sin dalla mia nascita come Vampiro.
    Logico che fosse entusiasta, quando mai non la è? Devi comunque capire cosa piace a te, non devi agire in funzione degli altri, Jean. Assimilare i pensieri altrui e lasciare che ci condizionino è la cosa più sciocca che si possa fare. Ognuno ha il suo modo di vivere la vita, poco importa se ciò comporterà moltissime critiche. Comunque vada, il mondo avrà sempre da ridire su ciò che fai, tanto vale buttarsi in azioni che ci rendono felici e lasciar perdere gli altri.
    Non mi piacque il modo in cui mio fratello continuò a insistere sui pensieri di nostra madre circa la principessa in questione. Non la conoscevo di persona, sapevo solamente quanto fosse difficile avere a che fare con lei, schiva com'era, ma l'idea di vedere Jean così in balia di pensieri altrui mi diede fastidio. Era ora che cominciasse a ragionare per conto suo, a essere felice delle sue scelte, non di quelle che gli altri desideravano imporgli. Era forse questa la pecca di tutta la sua genuinità: chiunque poteva tentare di scavalcarlo, di mettergli i piedi in testa. Sino a che ci fossi stato io, ciò non sarebbe mai accaduto: non ero solo suo fratello, ma ero anche il suo creatore. Jean non era solo il frutto di una trasformazione, ma qualcosa di più: era una sorta di mia nemesi, di un'antitesi in sé circa la mia figura. Ci completavamo a vicenda, in un modo o nell'altro, e nessuno avrebbe mai potuto cambiare tutto ciò.
    Poi, diciamocelo chiaro e tondo: ti ci vedi con una corona in testa, sommerso da mille pratiche burocratiche e a salutare con aria rachitica il popolo? Jean, sul serio, lascia stare nostra madre. Lei ha già fatto le sue scelte e noi siamo frutto di queste decisioni, in una maniera o nell'altra.
    Allungai una mano verso di lui, ruotando appena il busto per facilitarmi in quel movimento. L'andai a poggiare sulla spalla che mi stava rivolgendo da seduto, stringendola appena. Instaurai un forte contatto visivo con lui, perchè l'oscurità non avrebbe impedito ai nostri sguardi di potersi captare a vicenda. Fu come se in quella leggera stretta volessi infondergli tutto il coraggio che non possedeva – o che non voleva possedere, questione differente. Non desideravo vedere Jean prigioniero dei pensieri altrui, volevo che agisse per conto proprio, seguendo solamente i suoi desideri e le sue necessità, proprio come me.
    Prima o poi arriverà la tua principessa, Jean. Magari non avrà la corona, ma sarà in grado di farti sentire come un re.
    Per Jean era importante, quella visione del mondo, con quel genere d'amore soprattutto. Io ero diverso, lo ero da sempre stato, ma sapevo che quelle parole lo avrebbero rincuorato. Non avevo mai visto mio fratello realmente preso da una donna e la cosa mi fece alquanto riflettere: era come se stesse preservando il meglio di sé, per donarsi interamente alla figura che avrebbe fatto breccia nel suo cuore. Come conseguenza delle mie parole pensai ad Aleera e mi chiesi come mi facesse sentire lei, quando mi era accanto. Non mi sentivo un re, forse perchè non ero interessato a quel genere di confronti. Mi sentivo vero e tutto ciò era mille volte meglio. Era una sicurezza fondamentale, che forse non avevo mai realmente ricercato in precedenza. Scoccai un sorriso significativo a mio fratello, tornando a sistemarmi comodamente sulla poltrona e iniziando ad armeggiare col il libretto che tenevo in mano. Strappai una pagina e guardai con aria trionfante Jean.
    Intanto, possiamo accelerare i tempi.
    Affermai risoluto, prima di piegare quella carta: nel giro di pochi secondi prese forma una sorta di uccelletto di carta, aerodinamico, che avrebbe iniziato a fendere al meglio l'aria. L'osservai con aria soddisfatta, prima di ruotare il capo verso mio fratello, mantenendo solida la presa sul nuovo oggetto creato in un batter d'occhio.
    Chi lo sa, magari la tua principessa non vede l'ora che questo affare le si impigli in quelle strambe acconciature che ora sono così in voga.
    Mi alzai dalla poltrona, avvicinandomi al balconcino. Un'ultima occhiata verso mio fratello e poi andai a lanciare quell'uccelletto in aria, vedendolo iniziare a correre per il tragitto che avevo definito in parte io stesso. Lo buttai in avanti, nulla più, ridacchiando amabilmente e osservando il prodotto di quella mia serata di noia solcare l'aria con decisione. Incrociai le braccia al petto, arcuando entrambe le sopracciglia. Lo avevo fatto per me, perchè non avrei resistito sino alla fine della rappresentazione senza dare di matto, ma lo avevo fatto soprattutto per mio fratello, per fargli capire che forse, dopotutto, non era così importante la meta, ma il tragitto che si era deciso. Desideravo il meglio per Jean, volevo vederlo realmente felice e avrei fatto di tutto pur di farli capire che era solo ed esclusivamente lui il padrone del suo destino. Lanciai un'occhiata divertita al mio fratellino, mentre l'oggetto continuava a volare. Dove avrebbe terminato il suo volo?

    These lessons that we've learned here have only just begun.

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    Jean Baptiste Duchamp » Vampire
    Avevo sempre guardato Donatien con una profonda stima, quasi un orgoglio nascosto nel sapere che lui aveva deciso di rivolgermi la parola nonostante tutto, di stare dietro alle chiacchiere di un ragazzino che non aveva poi molto da offrire se non qualche sorriso e tantissimo imbarazzo. Non si era fermato all’apparenza, al mio aspetto così terribilmente normale, privo di qualunque tipo di dettaglio che potesse suscitare l’attenzione del prossimo, soprattutto di qualcuno come Don. Non si era limitato ad osservarmi con aria di sufficienza come facevano tutti, fermandosi semplicemente alla prima impressione, e con il tempo mi aveva permesso di avvicinarmi a lui, di conoscerlo, nonostante lui fosse un vampiro e io il semplice garzone di una locanda. Mi aveva mostrato un mondo nuovo, un mondo in cui avrei potuto ricominciare tutto da capo, liberandomi dalle vecchie etichette, dalle vecchie credenze, di tutto ciò che ero stato quando ero solo un essere umano. Ci avevo provato, avevo cercato di ricostruire la mia vita, di divenire la persona che avrei sempre desiderato essere, una persona molto simile a lui, mio fratello, che incarnava per me l’ideale della perfezione, ma non c’ero riuscito. Non potevo cambiare e staccarmi dal mio passato se prima non lo avessi dimenticato e io non volevo assolutamente farlo. Non volevo scordare la mia vita precedente e tutte le persone che avevo incontrato in quei miei primi anni di vita. Non volevo dimenticare nulla, neppure un piccolo dettaglio o una sola semplice emozione, perché ciò che avevo passato mi aveva reso la persona che ero, quel ragazzo un po’ malinconico che però aveva sempre desiderato dare una mano agli altri, essere amichevole, gentile, superando quell’iniziale timidezza che lo aveva sempre contraddistinto. E se avessi dimenticato quello, se avessi dimenticato come ci si sentiva ad essere umani, allora avrei perso ogni cosa. Se avessi abbandonato quell’unica ancora di salvezza che possedevo, allora sapevo che avrei perso il controllo, mi sarei trasformato in quel mostro assetato di sangue di cui tanto avevo paura, di quella bestia che temevo risalisse in superficie nei miei momenti più difficili. Avevo fatto la sua conoscenza anni prima, a sole poche ore di distanza dalla perdita dei miei genitori ed era stato proprio quello a scatenarla, a far accendere la bestia nel momento in cui era nata e quindi quando era più giovane e vulnerabile. Non ero riuscito a controllarmi, avevo lasciato che il suo istinto mi guidasse e mi ero macchiato di un crimine orribile, una delle tante cose che non avrei mai potuto scordare. Perché dimenticare il male commesso mi avrebbe reso una persona ancora peggiore. Dimenticare non era mai la cosa migliore, non era così che si riusciva a risolvere i propri problemi, perché solo ricordando, solo affrontando quel passato carico di tristezza e dolore, si poteva imparare dai propri errori e tentare così di divenire una persona nuova e più giusta, una persona che Don avrebbe ammirato e apprezzato. Tuttavia qualcosa era davvero mutato in me in seguito alla mia trasformazione. Il mio carattere, sempre così chiuso e timido, era divenuto leggermente più aperto, più disposto alla comunicazione anche con persone che non conoscevo affatto. Provavo ancora una certa vergogna nel fare la prima mossa, ma cercavo di ingoiare il rospo più di frequente e prendere in mano le redini della conversazione. Con Donatien inoltre riuscivo ad essere molto più sciolto, più tranquillo, divenivo quasi sicuro di me, ma soltanto perché sapevo di poter contare su di lui, di potermi fidare di quel fratello irascibile e irrequieto che non riusciva mai a stare fermo. Così come io potevo sembrare all’apparenza una statua di ghiaccio, fredda e distante, Donatien appariva come un uomo di fuoco, la cui fiamma era in grado di illuminare qualunque luogo e travolgerlo con la sua esuberanza. Era impossibile vederlo entrare in un luogo in punta di piedi, non visto, lui preferiva rendere sempre ben visibile la sua presenza, affinchè gli altri sapessero che lui era lì e non lo dimenticassero. Avrebbero potuto tranquillamente buttarlo su un palco senza il minimo preavviso, lui non si sarebbe scomposto e sarebbe parso a suo agio anche in quell’occasione, con gli occhi di tutti gli spettatori puntati su di sé. Ciò che avrebbe detto o fatto sarebbe stato un mistero per me, ma sapevo per certo non avrebbe provato alcuna vergogna. Lo ammiravo per questa sua caratteristica, per quel suo riuscire ad infischiarsene dei giudizi e delle occhiate altrui, andando avanti per la sua strada, tenendo da conto soltanto la sua opinione. Io non ero mai riuscito a fare altrettanto. Ci avevo provato, avevo cercato di fregarmene e di credere un po’ più in me stesso, ma bastava davvero molto poco per farmi desistere dal mio intento e risvegliare quel mio senso di inferiorità nei confronti di chiunque.
    Quando tentai di spostare l’attenzione sulla sua relazione mio fratello ruotò il capo verso di me, criptico, forse un tantino sorpreso del modo in cui avevo introdotto quell’argomento. Sapevo che Don non avrebbe mai risposta in maniera chiara e precisa ad una domanda sul suo conto, mai, in nessuna occasione, ma tanto valeva tentare. Perché in fondo ero davvero curioso di conoscerlo di più, di capire come quella donna era riuscita a fare breccia nel suo cuore di immortale. Non lo avevo mai visto così preso, così felice e avrei desiderare godere in qualche modo anche io di quella sua felicità, condividere quel momento attraverso qualche breve racconto. Non ne avrei fatto parola con nessuno, non avrei mai raccontato nulla a qualcuno ed ero certo che lui lo sapesse, ma questo purtroppo non sarebbe bastato. Mio fratello era testardo, sin troppo, e in fin dei conti, strano a dirsi, anche terribilmente riservato per le cose che importavano davvero. mi rivolse un sorriso sfrontato, scrollando le spalle, chiaro segnale che non mi avrebbe rivelato nulla e che sarei quindi rimasto a bocca asciutta. Mi disse appunto che avrei potuto insistere quanto volevo, ma che le sue labbra e sarebbero rimaste sempre sigillate e che avrei quindi fatto meglio a raccogliere tutte le dicerie che avrei potuto sentire in giro in un libro perché questo mi avrebbe reso certamente famoso. Risi di quella sua proposta, immaginando per un attimo quante persone avrebbero davvero desiderato poter mettere le mani su di un libro come quello, la calca che si sarebbe creata intorno a me per un atto simile, ma ne ebbi presto ribrezzo. Io non sarei mai stato così, non mi sarei mai aggirato come uno sciacallo alla ricerca del nuovo pettegolezzo del momento. -Temo di non essere affatto un bravo scrittore fratello e che non lo diventerò mai. – dissi con un sorriso divertito, unito ad un pizzico di irriverenza che in sua compagnia non guastava mai. Mi sentivo tranquillo, a mio agio. -Credi che la conoscerò mai? – chiesi, sovrappensiero, senza realmente rivolgermi a lui e guardando dritto davanti a me, lasciando cadere quella domanda nel nulla, senza sapere come l’avrebbe presa o se vi avrebbe risposto. Temevo che la prendesse troppo sul personale e che si arrabbiasse, oppure che la prendesse sul ridere e pensasse che non fosse una cosa seria. Ad ogni modo non avrei ribattuto oltre, lasciando da parte quell’argomento almeno per un po’, sperando che prima o poi sarebbe stato lui a decidere di sua spontanea volontà di rivelarmi qualcosa.
    Non parve affatto felice di vedere l’inizio dell’opera e mostrò subito i primi segni di fastidio che suscitarono in me un piccolo sorriso divertito. Sapevo che detestava questo genere di rappresentazione e per questo sapevo che si era recato lì soltanto per me, per dimostrarmi che volevo ancora trascorrere del tempo in mia compagnia, tanto da sopportare una delle cose che più odiava per me. Non avrebbe prestato molta attenzione allo spettacolo e sicuramente avrebbe cercato ogni modo pur di trascorrere la serata in maniera diversa, ma era comunque qualcosa. Sussultai appena quando mi pose una domanda sul mio incontro con la principessa, visibilmente a disagio per quel cambio repentino di argomento. Mi sentivo a disagio a discorrere dell’avvenuto, ma mi sentivo anche come se lui in fondo fosse l’unico con cui potessi parlarne, l’unico che mi avrebbe dato il suo parere spassionato, privo di qualunque pregiudizio dato dal ceto sociale o qualunque mania di potere e grandezza. Mi strappò un leggero sorriso quando affermò che nostra madre avrebbe apprezzato persino un orso ballerino pur di vederci tutti sistemati. L’immagine di me al fianco di un orso suonava strana, ma anche decisamente divertente e mi aiutò a sciogliere almeno in parte la tensione che mi aveva avvolto. Continuò il suo discorso, dicendomi che non mi sarei dovuto curare di quello che pensava e voleva nostra madre, ma che avrei dovuto invece pensare a me stesso, a che cosa io desideravo. Il mondo avrebbe sempre avuto da ridire su ogni cosa e proprio per questo non me ne sarei dovuto curare, agendo soltanto come io avrei voluto. Le sue parole suonarono serie e decise e io sapevo che aveva ragione, perfettamente ragione, ma non sarei comunque riuscito a pensare e agire come lui. -Sai che non vorrei mai arrecarle alcun dispiacere, a nessuno di voi. – e con questa frase, ora terribilmente seria, mi voltai di nuovo verso di lui, guardandolo dritto negli occhi. Non mi ero mai curato molto della mia felicità, ero sempre stato disposto a sacrificarla pur di permettere alle persone a cui tenevo di essere felici e quella non sarebbe certamente stata un’eccezione. Non volevo avvicinarmi a lei, ma se questa era l’unica cosa che avrebbe reso felice nostra madre, allora avrei fatto anche quello, mandando giù il rospo e cercando di rendere quella cosa quanto meno sopportabile. Donatien non avrebbe approvato e lo sapevo con certezza, ma non potevo cambiare quello che pensavo. Non si diede per vinto, dicendomi che non mi ci avrebbe visto affatto con una corona sulla testa, sommerso di pratiche burocratiche e di lasciare quindi perdere nostra madre, perché lei aveva già fatto le sue scelte, ora era tempo che noi facessimo le nostre. Posò una mano sulla mia spalla, stringendola appena in una passa decisa e seria. Rimasi in silenzio per qualche istante, riflettendo su quelle sue ultime parole, capendo forse soltanto in quel momento che cosa la principessa portasse con sé. Era davvero quello il futuro che volevo per me? Era quella la vita che volevo? E no, mi risposi che no, non era quello. Io non volevo essere un re, non volevo mettermi al di sopra di tutti gli altri. -No, credo proprio che sarei un disastro come sovrano. – dissi, cercando di apparire divertito, sebbene l’idea mi spaventasse non poco. Nostra madre voleva forse questo per me? Era a questo che puntava in fin dei conti? Lo guardai dritto negli occhi e quasi mi convinsi che quello che diceva era giusto e che avrei dovuto ascoltarlo, che non avrei dovuto portare avanti quella farsa con la principessa poiché io non lo volevo. Lasciai correre il discorso quando affermò che avrei trovato anche io la mia principessa, anche se probabilmente non avrebbe avuto alcuna corona. Gli rivolsi un sorriso leggero, esprimendogli in quel modo tutta la mia riconoscenza per quelle parole e per quel suo tentativo di tirarmi su in qualche modo. Lui era davvero l’unico in grado di tirarmi un po’ su di morale e di tranquillizzarmi riguardo quella faccenda.
    Tuttavia quella serietà non poteva essere mantenuta a lungo e infatti Don mi scoccò un sorrisetto piuttosto significativo, prima di strappare una pagina dal libretto che teneva in mano e guardarmi con aria trionfante, dicendomi che avrebbe cercato di affrettare i tempi. Lo guardi confuso, senza capire di che cosa stesse parlando e osservandolo quindi con un nuovo interesse ma anche un piccolo di preoccupazione. Non si sapeva mai che cosa aspettarsi da mio fratello! Prese a piegare il foglio che teneva tra le mani, facendogli assumere la forma di un volatile prima di osservarmi con un’aria piuttosto soddisfatta. Lo guardai a metà tra il confuso e lo sconvolto quando mi spiegò la sua idea, prima di alzarsi e avvicinarsi al balconcino. -Don no, ma che vuoi fare? – chiesi preoccupato, a bassa voce, raggiungendolo e sperando di fermarlo, ma non ci riuscii. Il foglio prese a volare per il teatro, librandosi in aria sopra le teste degli altri spettatori, completamente all’oscuro della situazione. Gli rivolsi una leggera occhiata di rimprovero, senza però poi riuscire a trattenere un sorrisetto divertito, sporgendomi per vedere dove fosse finito. Era una pazzia e se qualcuno ci avesse visto ci avrebbe sicuramente sgridato, ma che importanza aveva oramai? Lo osservai con sempre più interesse, seguendo la sua corsa con lo sguardo, in trepidante attesa di scoprire che fine avrebbe fatto e poi, finalmente, eccolo iniziare a rallentare, mirando verso una giovane ragazza dall’abito color verde pastello, solo pochi istanti e sarebbe finito in mezzo alla sua elaborata acconciatura. Trattenni il fiato, in attesa di quel momento, ma proprio all’ultimo il piccolo uccelletto cambiò idea, andando a piazzarsi nel cappello della vecchia signora dalla corporatura grossa al suo fianco. Quella piccola collisione la fece sussultare appena, voltandosi da una parte all’altra per comprendere che cosa stesse accadendo e che cosa l’avesse colpita. Presi il braccio di Don con velocità, invitandolo a piegarsi come me e nascondersi dietro il balconcino, così che quella vecchia signora grossa quanto un armadio ci individuasse e risi, risi di gusto questa volta. -Quella sarebbe la tua idea di principessa Don? Credo proprio che declinerò per questa volta. – dissi, tra una risata e l’altra, prendendo un po’ in giro mio fratello. Mi sentivo di nuovo tranquillo, finalmente, come se potessi riprendere a respirare dopo tanto, tantissimo tempo e ne fui felice. Era merito suo, ancora una volta e mi ritrovai a chiedermi come avrei fatto senza di lui, che cosa avessi fatto se lui, un giorno, avesse deciso di andare via.

    Oh brother I can't, I can't get through
    I've been trying hard to reach you
    'cause I don't know what to do

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  9. oh mÿ Jöe! «
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    DONATIEN ZACHARIE DUCHAMP » vampiro
    Jean mi era sempre sembrato fin troppo accondiscendente. In famiglia molto probabilmente era l'unico che avesse un po' di buon senso e forse non se ne rendeva nemmeno conto. Io, da subito, mi ero dimostrato ribelle alle decisioni dei miei genitori adottivi: avevo sempre fatto di testa mia, incapace di farmi prevaricare da qualcuno. Ero sempre stato un'anima libera, un fuoco pronto a crepitare perennemente, senza il timore di essere estinto. Mi ero fatto forza da solo in un momento in cui nessuno mi aveva supportato ed ero solamente il fiero risultato della mia esistenza eterna. Non avevo rimpianti e non ne avrei mai avuti, perchè ero sempre sicuro di ogni mia minima azione e così avrei continuato a essere, per il resto della mia eternità. Poco importava che gli altri non capissero: c'era gente nata solo ed esclusivamente per creare caos e non comprendere, non m'interessava essere solo un ennesimo oggetto di dialogo futile tra tutti, tra la nobiltà soprattutto. Al contrario, era divertente essere al centro del gossip, giorno e notte e tutto l'anno: l'invidia della gente era incredibile ed era oltremodo curioso e divertente constatare quante fesserie venissero dette sul mio conto – soprattutto quando la verità era conosciuta solo dal sottoscritto. Lasciavo che le voci corressero e, spesso e volentieri, anche le mie azioni non erano delle migliori e contribuivano ad alimentarle. Ero una tempesta pronta a diventare ancora più problematica e di questo anche mio fratello ne era consapevole, eppure pareva che non potesse fare a meno di starmi accanto. Jean era forse l'unico in grado di apprezzarmi veramente nella mia totalità e io andavo oltremodo fiero di quella sua qualità: mi gonfiavo d'orgoglio nel sapere che mi reputava il migliore tra tutti, sebbene non lo dicesse esplicitamente. Mio fratello era come un libro aperto per me e ciò non derivava solamente dal fatto che lo avessi personalmente salvato quella notte, donandogli l'eternità che ora lo avrebbe cullato per il resto della sua esistenza. Ciò veniva, molto probabilmente, dal fatto che l'umanità che aveva posseduto anni prima fosse ancora insita in lui: faticava ad andarsene e certi suoi gesti e comportamenti avevano ancora molto di umano. Al contrario di Jean, io ero nato Vampiro, l'eternità mi aveva abbracciato sin dalla mia nascita e aveva plasmato il mio corpo fino al momento in cui esso non aveva smesso di modificarsi, dandomi la forma che avevo ora. Non avevo conosciuto le sensazioni umane e se in un primo tempo ne ero rimasto affascinato, più avanti avevo cominciato a vedere i detentori di tale razza come inutili e ingiusti. Era stata a causa loro se avevo perso i miei reali genitori, anni e anni prima, e ancora non riuscivo a spiegarmi cosa mi avesse spinto a salvare Jean, quella notte di anni prima, e a renderlo a tutti gli effetti il membro di una delle più illustri famiglie di Vampiri nobili di tutta la Francia ed Europa. Sapevo che faticava a entrare in quel ruolo, glielo leggevo dentro, ed era per quel motivo che avevo preferito liberargli un po' la mente, quella sera, portandolo a teatro. Non mi era mai importato molto delle opere liriche, perchè faticavo a comprendere le parole oltre ai gorgheggi e trovavo assolutamente irritanti quelle unioni di voci e strumenti musicali. Non ero così raffinato ed entrambi lo sapevamo bene, molto probabilmente Jean aveva inteso che quella serata sarebbe stata per lui, per poterci concedere un po' di tempo assieme.
    Non saprei, Jean, a meno che tu non mi voglia pedinare. Potresti provare a farlo, così constaterò personalmente se hai preso maggiormente coscienza delle tue potenzialità. In ogni caso, sarebbe sconsigliato farlo, sai bene che anche nostro padre si è quasi perso nel centro di Londra, nel tentativo di tenermi d'occhio. Te l'ho raccontato, no? Fu prima che arrivassi tu. Qualcosa di divertente, ma che gli fece comprendere che essere una famiglia non implica necessariamente sapere le singole sfumature di ognuno dei suoi membri.
    Non mi ero mai esposto circa le mie vicende più intime e anche quando l'argomento Aleera tornò a fare capolino tra di noi non potei fare a meno di innalzare le mie difese. Quella donna aveva modificato la mia vita, le mie certezze e le mie priorità e, cosa ancora più importante, io non avevo fatto niente per impedirglielo. Al contrario, mi ero gettato a capofitto in quella nuova sensazione, lasciandomi dominare da emozioni nuove ed esplosive, senza temere di cadere nel banale o nell'inutile. L'avevo conosciuta e ci eravamo esplorati a vicenda e così sarebbe accaduto molte in futuro, ne ero certo – e, solitamente, quando immaginavo cose simili esse non si perdevano mai nel tempo ma, anzi, al contrario tornavano con più furore. Non fu con rabbia che mi rivolsi a Jean, semplicemente assunsi quell'autorità che spesso prendeva il controllo di me quando volevo fargli intendere che certi tasti non avrebbero più dovuto essere toccati in futuro. Jean non era sciocco, comprendeva alla perfezione quando stava esagerando o quando potesse osare di più e non era stata cattiveria la mia, bensì una semplice necessità di rimarcare il mio territorio personale. Non amavo che qualcuno mi esplorasse dentro, avevo concesso un incipit solamente ad Aleera e tutto ciò mi aveva scombussolato, dunque dovevo evitare di commettere qualche passo falso. Il discorso poi cambiò rotta, proprio grazie a me, e andò a vertere sulla principessa e sull'incontro che Jean aveva avuto con lei qualche tempo prima. Sapevo che non era stata farina del suo sacco e non era stato difficile trovare che la colpevole di tutto quello era stata nostra madre: ella aspirava a un matrimonio di convenienza per i suoi figli e, visto che con me non ci sarebbe riuscita, aveva deciso di puntare il tutto su Jean, perchè egli era il più incline al dialogo costruttivo. Non ero stato assolutamente d'accordo con quella decisione e mi ero fatto sentire, ma il tutto era risultato quasi del tutto nullo. Non volevo che qualcun altro scegliesse per mio fratello: era già successo in passato, quando ero stato io a decidere di salvargli la vita, donandogli l'eternità, dunque era giunto per lui il momento di decidere della sua stessa esistenza. Nonostante fosse titubante, sapevo che le mie parole avrebbero sortito un certo effetto su di lui e sperai vivamente che non cedesse alle moine materne.
    Il problema, Jean è che qui si tratta di te e non di noi. Io ho già fatto le mie scelte, i nostri genitori anche e ora tocca a te. L'importante è che stia bene tu, il resto non conta. Nostra madre potrà borbottare quanto vuole, tanto sai bene che quando mi ci metto posso diventare un pessimo elemento.
    Gli feci un occhiolino, come a volergli comunicare il mio supporto anche in eventuali e future circostanze poco piacevoli. Io tenevo a Jean, perchè l'avevo cresciuto e gli avevo insegnato tutti i trucchi derivanti dall'essere divenuto un figlio dell'eternità. Non era solo una creatura, era mio fratello e non m'importava se il sangue non fosse lo stesso tra me e lui, perchè ciò che ci univa era di gran lunga più vero e importante. Gli portai una mano sulla spalla, quasi a quel modo potessi infondergli tutto il coraggio che gli mancava circa l'essere lui l'unico detentore della propria vita e libertà. Ascoltai quanto mi disse e annuii, ridacchiando debolmente e lasciando la presa su quella sua parte del corpo.
    Sì, lo credo anche io. Alla fine avresti dei sudditi ebeti, tutti dediti al dispensare dolci e carezze in giro e come minimo il massimo dell'avvenenza delle signore sarebbero delle coroncine di margherite in testa. No, Jean, tu pensa a essere semplicemente te stesso, vedrai che tutto poi verrà da sé. Parola mia, dunque devi crederci per forza.
    Arcuai entrambe le sopracciglia col tipico fare di chi la sapeva lunga al riguardo, rispondendo al suo sorriso leggero con uno ben più marcato. Jean aveva un animo nobile e gentile, molto più puro di quanto avessi mai visto in tutta la mia lunga esistenza, ed era per quello che desideravo proteggerlo e preservarlo dal mondo crudele nel quale era stato gettato senza rigore alcuno. Se gli avessero torto anche un singolo capello, allora l'ira di Donatien Zacharie Duchamp si sarebbe riversata su tutti, poco importava se fossero plebei o reali – l'avrebbero comunque pagata. Jean era il mio pupillo e chiunque l'avesse fatto soffrire avrebbe dovuto fare i conti con me. Dopo che iniziò la performance vocale dell'artista lirica, cominciai a guardarmi attorno, in attesa che un'idea mi si fiondasse nella mente e mi desse la possibilità di scappare a quel vero e proprio mortorio. Non ero per l'arte lirica, come ho già detto, e non capivo come una gallina così gorgheggiante potesse essere così ricca: quelli che la venivano ad ascoltare dovevano essere dei gran pazzi, senza ombra di dubbio. All'improvviso mi venne un'idea e dunque decisi di mettermi all'opera, sotto lo sguardo indagatore e incuriosito di Jean. Non mancai di notare la sua preoccupazione, che divenne sempre più evidente nel notare che stavo costruendo un piccolo volatile col fu libretto di quella serata, semplicemente strappandone una pagina e iniziando a sistemarla al meglio. Scoccai un'occhiata divertita a Jean, quasi a rassicurarlo e a fargli comprendere che non avrebbe fatto altro che divertirsi follemente in mia compagnia.
    Suvvia, rilassati, non sto progettando di far saltare in aria questo posto. Anche se, effettivamente, non sarebbe una cattiva idea, di certo ci sarebbero più movimento e più emozioni.
    Mi avvicinai alla balconata e lanciai l'uccelletto, intenzionato a seguire la sua traiettoria anche nel buio, poiché i miei sensi da figlio della notte non mi avrebbero posto in difficoltà. Osservai quell'oggettino delicato muoversi beato tra i presenti e quando virò all'improvviso verso una donna anziana feci un'espressione per nulla convinta. Non potei guardarla in faccia perchè Jean mi trascinò all'ingiù, costringendomi a chinarmi al di sotto del balconcino, per evitare di farci notare. Rimasi dunque inginocchiato accanto a lui, ruotando il capo per osservarlo sorridere: eccolo, finalmente, quel sorriso che avevo tanto sperato di vedere, da tempo, e che non avevo notato da troppo. Ero stato dapprima impegnati in affari di famiglia e poi con Aleera e, dunque, mi ero allontanato da mio fratello. Avevo di certo sbagliato, ma ora le cose stavano appianandosi e, comunque fosse, Jean non mi avrebbe mai potuto dare nessuna colpa, era troppo vero per poter anche partorire quella sola idea. L'atmosfera ora era decisamente più rilassata e lo era anche Jean, questo era l'importante.
    E cosa ne sai? Magari è un'avvenente signora con la barba. Sai com'è il detto, no? ”Donna barbuta, sempre piaciuta”, anche se sono dell'idea che si tornerebbe irrimediabilmente all'orso di cui stavamo poc'anzi parlando.
    Commentai divertito, prima di rialzare il capo oltre il balconcino e vedere la signora tentare di togliersi quel cartaceo ornamento di dosso. Il suo accompagnatore – suo marito, molto probabilmente – l'aiutò in quell'operazione e si osservò attorno, senza però fare cenno ad alzare lo sguardo su di noi. Mi rimisi dunque in piedi, poggiando le mani sulla balaustra e indicando a mio fratello – ancora giù – la mia vittima.
    Peccato, la dolce nonnetta è già occupata. Chissà se lui le cambia la dentiera, da bravo marito.
    Aggiunsi con aria tremendamente seria, facendo una smorfia. Uno dei tanti pregi dell'eternità era che non si invecchiava e dunque non si pativano le cattiverie derivanti dallo scorrere del tempo: se fossi invecchiato, molto probabilmente sarei impazzito, nel vedere il mio corpo modificarsi in maniera irrimediabile. Feci cenno a Jean di rialzarsi, poiché il pericolo era stato scampato, ma la noia poteva essere in agguato da un momento all'altro.
    Manca molto all'intermezzo?
    Domandai di punto in bianco, ben sapendo che mio fratello sarebbe stato di gran lunga più informato di me – anche perchè lui era effettivamente interessato allo svolgimento dell'opera lirica, mentre io ero giunto casualmente a teatro solo per renderlo felice. Nel mentre, gli rivolsi un'occhiata curiosa e divertita, segno che le mie birbanterie non sarebbero terminate lì. Dovevo elaborare ancora qualcosa, degno di nota e di un Duchamp. I miei intermezzi, al contrario di quelli teatrali, non erano niente affatto noiosi e sapevo che si sarebbero contraddistinti sempre dalla rozzezza di quelli altrui. Sapevo cosa fare, come muovermi e cosa dire, tutto per me era sempre stato calcolato sin dall'inizio e quella caratteristica non sarebbe stata disprezzata da mio fratello. Ero a conoscenza del suo amore per l'arte, ma sapevo che i momenti da spendere assieme stavano scarseggiando e dunque ogni pretesto sarebbe stato ottimo per spendere un po' della nostra eternità assieme, senza che impegni improvvisi ci allontanassero l'uno dall'altro. Se io ero il punto di riferimento di Jean, lui era per un dolce appiglio al quale aggrapparmi quando tutto il mondo pareva essere contro di me. Sapevo che avrei trovato sempre comprensione in lui e questo era ciò che più mi consolava, nonostante non sarei mai stato così sentimentale dal dirglielo apertamente – avevo pur sempre una reputazione da mantenere. Ci servivamo l'uno per l'altro e così sarebbe stato, per sempre.

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    Jean Baptiste Duchamp » Vampire
    Mi chiedevo come facesse mio fratello a mantenere la calma di fronte a tutte le voci che giravano sul suo conto, il più delle volte completamente inesatte e svianti. Voci diffuse senza alcun motivo da persone che non conoscevano e che forse neppure lo avevano mai incontrato. Più volte io stesso mi ero ritrovato ad ascoltare cose sul suo conto che avevano davvero dell’assurdo e che io fossi assolutamente certo non fossero veritiere, ma nessuno aveva voluto ascoltarmi, affermando invece che ero io a non sapere nulla di mio fratello e che ciò che dicevano lo avevano constatato con i loro occhi e avrei quindi dovuto crederci anche io. Era assurdo quanto paressero convinti delle fandonie che loro stessi inventavano pur di screditare chi non era presente e ancor più assurdo e ignobile che altre persone prendessero per oro colato le loro parole, diffondendole e trasformandole in un morbo che non si sarebbe arrestato sino al pettegolezzo successivo. In principio avevo cercato di fermare quelle voci disoneste, di debellarle e di convincere tutti gli altri a credere alla verità delle mie parole, ma mi ero presto reso conto di quanto quel mio tentativo fosse del tutto inutile: la verità non faceva abbastanza scalpore, non era interessante quando una storiella inventata con l’apposito pretesto di fare rumore. Preferivano credere a ciò che faceva più notizia, a ciò che appariva più assurdo e sconclusionato poiché era ben più divertente pensarla in quel momento e mi ero così arreso, capendo che quello non sarebbe mai stato davvero il mio mondo e che io non mi sarei mai adeguato a quella faccenda. Io sentivo ancora ribollirmi il sangue ogni volta che sentivo una voce errata sul mio conto o su quello di Don, mentre mio fratello sembrava divertirsi nel sentire le voci sul suo conto, persino alimentarle qualche volta. Non riuscivo davvero a comprendere come facesse, come riuscisse ad andare avanti senza infervorarsi, ma al contrario dando loro corda affinchè continuassero ad alimentare quelle castronerie. Davvero non gli importava che gli altri si convincessero di tutte quelle cose? Che gli attribuissero qualcosa che lui non aveva mai detto o fatto? Non gli importava che gli altri avessero un’idea errata sul suo conto? Che credessero a ciò che non era vero? Io non sarei mai riuscito ad accettarlo, per quanto tentassi di mostrare che quelle voci non mi colpissero, che non mi ferissero affatto. E invece mi sentivo male ogni volta e sapere che non avrei potuto in alcun modo placarle mi faceva soltanto stare peggio. Avrei voluto che pensassero tutti quanti agli affari loro piuttosto che cercare di rovinare le vite e le reputazioni degli altri, ma sembravo l’unico a pensarla in quel modo.
    Lo osservai divertito quando mi disse che per sapere qualcosa di più sul suo conto e in particolare sulla sua vita sentimentale, avrei dovuto pedinarlo durante le sue uscite, affermando poi che la cosa non era poi così facile dato che il signor Duchamp si era perso più volte nell’intento. I suoi modi di fare e la sua sfrontatezza mi divertivano e ferivano al tempo stesso. Mio fratello sapeva accendere ogni luogo e ogni momento, bastava la sua presenza a cambiare radicalmente il corso delle cose che da monotone divenivano improvvisamente nuove e inaspettate, eppure quel suo essere sempre sulla difensiva, il suo nascondere le parti più sentimentali e vere di se stesso persino di fronte a me mi lasciava un po’ deluso. Possibile che non si fidasse neppure di me? Che pensasse che persino io avrei potuto tradirlo? Avrei voluto conoscere ogni cosa sul suo conto, sapere qualcosa di più sul suo passato, sapere che uomo era stato prima di conoscere me, prima di incontrare i Duchamp, ma quelli sarebbero stati argomenti a me oscuri sino alla fine dei tempi, lo sapevo, non sarei mai riuscito a convincerlo a raccontarmi di più. Mi chiedevo se almeno con lei lo avesse fatto, se con quella licantropa fosse riuscito a sbottonarsi un po’ di più, o se persino con lei mantenesse quell’alone indistruttibile di mistero dal quale non sembrava mai essere in grado di separarsi. -No, direi che pedinarti sarebbe un’inutile perdita di tempo, non ne ricaverei nulla e anzi, eviterei di trascorrere il mio tempo nel fare qualcosa che potrebbe piacermi davvero. – affermai, sistemandomi meglio contro lo schienale della poltroncina che mi ospitava, guardando di sottecchi mio fratello. Per quanto conoscerlo sarebbe stata per me una cosa di notevole importanza, perdere tempo nel nullo tentativo di riuscirci non avrebbe fatto altro che procurarmi maggiore tristezza e farmi sentire ancora più frustrato. Mi sarei dovuto accontentare del poco che sapevo e di quelle poche informazioni che raramente lui lasciava trasparire, poiché non avrei mai avuto più di quello, ed era meglio che io me ne facessi una ragione. Sarei sempre stato pronto ad ascoltarlo nel caso in cui lui avesse bussato alla mia porta alla ricerca di una spalla, ma non sarei certamente rimasto con il fiato sospeso fino a quel momento.
    Lasciai che l’argomento scivolasse su di me, sapendo che, nonostante non mi piacesse molto parlare dei miei problemi, sarebbe stato certamente più semplice che affrontare la vita di mio fratello. Io mi ero sempre aperto molto con lui, forse troppo, raccontandogli ogni problema, chiedendogli spesso aiuto nelle mie faccende, senza rendermi conto che forse avrei fatto meglio a tenermi qualcosa per me. Lui aveva la sua vita a cui pensare, una vita piena e movimentata, e non aveva certamente tempo per pensare anche a me e alle mie semplici questioni. Mi aveva salvato la vita, regalandomene una nuova, e questo mi sarebbe dovuto bastare. Guardai mio fratello e annuii di nuovo alle sue parole. Sapevo che aveva ragione, che avrei dovuto decidere io della mia vita, eppure non era così semplice come appariva ogni volta che lui ne parlava. C’era sempre quel senso di colpa ad attanagliarmi, la voglia di non deludere i signori Duchamp, di non deludere nessuno. -Cercherò di ricordarmelo. – mormorai poi, abbozzando una risata, in seguito alle sue parole. Avrei cercato davvero di farlo, di pensare un po’ di più ai miei desideri e alle mie necessità, sebbene sapessi che probabilmente non sarei mai riuscito a metterli davanti a quelli degli altri. Mi lasciai andare poi ad una risata un po’ più leggere e divertita quando delineò con le parole l’immagine di quelli che a suo parere sarebbero stati i miei sudditi. Un mondo particolare, senza dubbio, assai diverso da quello che stavamo vivendo ora.
    L’opera iniziò presto, ma come avevo immaginato mio fratello non era affatto intenzionato a seguirla con interesse, quanto piuttosto a trascorrere del tempo con me e a rallegrare almeno un po’ il mio umore. Realizzò un uccelletto di carta, servendosi di una pagina del libretto che ci era stato consegnato al nostro ingresso a teatro, per poi sporgersi dalla balconata e lanciarlo verso il basso, dove avrebbe potuto colpire chiunque degli spettatori. Lo raggiunsi velocemente, sporgendomi anche io per seguirne la traiettoria, completamente rapito da quel piccolo oggetto di carta. Lo seguii con lo sguardo, trattenendo appena il fiato mentre lo vidi abbassarsi sempre di più, sino a conficcarsi nell’acconciatura di un’anziana donna, nascondendomi quindi dietro il balconcino e trascinando mio fratello con me affinchè quella donna non ci vedesse, o probabilmente avrebbe iniziato a dare di matto. Probabilmente mio fratello non aspettava altro che essere il protagonista di un simile episodio, ma io, che ero assai più timido, preferivo che non ci scoprisse. Ridacchiai con lui quando rispose al mio commento sull’avvenenza di quella donna, semi inginocchiato dietro quel balconcino che ci faceva da quinta, finalmente genuinamente al fianco di mio fratello, senza maschere né costrizioni di alcun genere. In quel momento eravamo semplicemente noi stessi, in tutte le nostre diversità. -Se vuoi accomodarti. – gli dissi, quasi invitandolo con un leggero cenno del capo a fare il primo passo con quella signora, prima di tentare di mascherare un’altra leggera risata. Mimai i gesti di mio fratello nel tentare di scorgere attraverso il balconcino che cosa stesse avvenendo, notando un anziano signore aiutare la donna a liberarsi di quella piccola trappola di carta con aria piuttosto contrariata. Fortunatamente non si voltarono nella nostra direzione, quindi ci rialzammo in piedi, fingendo che nulla fosse accaduto, posandoci contro quella elegante balaustra. Continuavo a non sentirmi molto al sicuro così esposto, ma se mio fratello si sentiva tranquillo, chi ero io per non fare altrettanto? Buttai un’altra occhiata a quei due, chiedendomi per un istante da quanto tempo si conoscessero e se avessero trascorso la propria intera vita l’uno al fianco dell’altra, prima di far scivolare via quel pensiero quando lui parlò di dentiera. Guardai mio fratello per qualche istante, all’improvviso divertito da quella nuova prospettiva. -Penso che saresti davvero un nonnetto adorabile. – dissi, sghignazzando appena, guardandolo di sottecchi mentre posavo i gomiti sulla balaustra, perdendomi per qualche istante a guardarmi intorno per il teatro. La sala sembrava gremita quella sera e lo spettacolo pareva andare per il verso giusto nonostante gli attacchi di mio fratello alla quiete pubblica e il suo nervosismo era ben evidente. -No, solo qualche minuto, non ti preoccupare. – dissi poi, rispondendo alla sua domanda riguardo alla distanza dall’intervallo. Doveva essere una noia mortale per lui e per questo non riuscivo a capire come mai avesse deciso di invitarmi. Mi voltai di nuovo verso la scena, giusto il tempo per godere delle ultime battute prima che il sipario si chiudesse, annunciando la fine della prima parte dello spettacolo.
    Battei appena le mani sulla balaustra, sollevandomi appena sulle braccia prima di muovere un passo all’indietro, tornando in direzione dei divanetti alle nostre spalle. -Vuoi fare due passi? – chiesi, mentre tra le righe gli chiedevo se preferiva interrompere lo spettacolo in quel momento e dirigerci verso un luogo che lui avrebbe trovato più interessante. Dopotutto per me non faceva poi tanta differenza, l’importante era riuscire a trascorrere un po’ di tempo insieme a lui. Sentii le persone attorno a noi riprendere a parlare, qualcuno iniziare a smuoversi per sgranchirsi un po’ le gambe. Percepii di nuovo la voce della vampira che mio fratello aveva salutato all’inizio della serata e la vidi muovere appena il capo nella nostra direzione per cercare di attirare di nuovo la sua attenzione. Io per tutta risposta ridacchiai, scuotendo appena il capo. -Si può sapere cosa fai tu alle donne? – chiesi, a voce bassissima, avvicinandomi piano al suo orecchio così che solo lui potesse udirmi, prima di allontanarmi di nuovo, con la stessa tranquillità con cui mi ero avvicinato. Sapevo che in quel momento non era intenzionato e fare colpo e che sicuramente non mi avrebbe lasciato lì da solo per allontanarsi con quella ragazza, ma trovavo comunque divertente cercare di punzecchiarlo almeno un po’. -Vogliamo andare da qualche altra parte? – chiesi poi, in maniera più diretta, mostrandomi assolutamente tranquillo di fronte a quella prospettiva. Non volevo che si annoiasse eccessivamente e poi, dopotutto, non avevo neppure seguito lo spettacolo sino a quel punto, non mi sarei perso molto se ce ne fossimo andati a quel punto della serata.

    Oh brother I can't, I can't get through
    I've been trying hard to reach you
    'cause I don't know what to do

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    DONATIEN ZACHARIE DUCHAMP » vampiro
    Far parte di una famiglia così importante, altolocata e bisbigliata come quella dei Duchamp portava, il più delle volte, alla nascita di pettegolezzi che non avevano né capo né coda, voci mai confermate e tenute vive quasi esclusivamente dalla voglia del prossimo di infierire, fare del male e mostrarsi più forte al resto degli interlocutori. Lo avevo capito sin dall'inizio, sin da quando il mio volto aveva incrociato quello che sarebbe divenuto il mio padre adottivo, il signor Duchamp. Egli, probabilmente, aveva intuito il mio carattere ribelle, difficile e poco incline alle regole, e mi aveva subito avvertito, dicendomi che avrei dovuto, per l'eternità, fare i conti con un fardello piuttosto imponente. Molti, al mio posto, si sarebbero spaventati o quantomeno avrebbe riflettuto maggiormente sul da farsi, ma non io: non ero mai stato un tipo eccessivamente riflessivo, se volevo agire lo facevo, non curandomi delle conseguenze. Mi ritrovavo a fare i conti solamente in certi momenti -l'ambito lavorativo, per esempio, dove la maggior parte delle volte ero costretto a tenere a freno la lingua onde evitare catastrofi nazionali, anche se mi sarebbe piaciuto veder uscire i dirigenti delle più grandi aziende londinesi dall'ufficio con le loro mani sudice di denaro in mezzo a capelli scompigliati per la rabbia provata- con un carattere piuttosto irruento, che doveva essere necessariamente placata per quieto vivere. La cosa non mi veniva bene e i miei interlocutori lo intuivano alla perfezione, eppure non me ne preoccupavo minimamente: ero pur sempre un leone, anche se, alle volte, richiudevo le fauci per apparire meno pericoloso. Jean, invece, era esattamente l'opposto: nostro padre era molto fiero di lui in quanto era sempre in perfetto orario, adorava il teatro, era seguace di quella cosa chiamata amor cortese della quale io non approvavo nemmeno un singolo principio, era bene educato, posato e -questo sottolineava sempre nostro padre, quando tentava di rimettermi sulla retta via- non provocava mai disagi al nome della nostra famiglia e non veniva mai alle mani. Non ero niente affatto geloso di tutte quelle lodi nei suoi confronti, perchè sapevo che erano vere, sapevano che erano per lui, per Jean, il ragazzo che io stesso avevo salvato, quella terribile notte dove aveva perso tutta la sua famiglia. Quando mi accadeva di ripensarci, a quanto avevo fatto, non sentivo alcun moto di orgoglio nei miei stessi confronti -il che era particolarmente strano, conoscendomi da qualche secolo a questa parte. Per me fu naturale farlo, salvarlo dalle grinfie della morte e riportarlo a una nuova vita, una seconda possibilità nella quale l'avrei guidato, per renderlo più forte, sicuro di sé. Ricordavo quel giorno con un'esattezza quasi anormale, se chiudevo gli occhi potevo ancora sentire il crepitio del fuoco, della casa che stava sbriciolandosi per il calore, il il gorgoglio che usciva dalle labbra cianotiche di Jean. Ricordavo tutto alla perfezione, quasi fosse stata una maledizione che mi avrebbe perseguitato in eterno, eppure non gli avrei mai detto, nemmeno per tutto l'oro e tutte le donne del mondo, che ero grato al fato per aver fatto incrociare le nostre strade. Aiutarlo non era stato niente affatto semplice: al contrario, agli esordi Jean si era quasi odiato per quella novità e io, senza sapere da dove fosse sbucata, mostrai una pazienza disarmante. Gli avevo insegnato come placare la sete, come non saltare alla gola di ogni singolo essere vivente e lo avevo visto mutare, nel tempo. Quello che quella sera avevo dinnanzi ai miei occhi era un nuovo Jean, un Jean nel quale conviveva ancora quello passato, quell'umano che avevo conosciuto e allontanato dal Dio Morte. Lo riconoscevo nello sguardo, in quei modi di fare così educati e cortesi, nella sua ingenuità, nella pacatezza che dimostrava nei confronti del mondo. Mi sentivo responsabile verso di lui, perchè era stato creato da me ed era una mia priorità sapere che non gli sarebbe successo nulla, per nessun motivo al mondo. Non ero solito affezionarmi a nessuno perchè non credevo nella stabilità dei sentimenti, ma con Jean era stato diverso, sin da subito. Era come se mi avesse stregato l'anima, come se il suo essere così vero mi avesse fatto capire quanto valesse la pena rischiare per aiutarlo a brillare, a trovare il suo posto in un mondo pieno di falsità, di squali dalle fattezze umane e sguardi che tagliavano più delle lame. Alle volte ero anche troppo schietto con lui, ma lo facevo solo ed esclusivamente per il suo bene: oramai aveva ben capito che far parte della famiglia Duchamp comportava più rischi che vantaggi e più false dicerie che realtà assolute, ma sapevo altrettanto bene quanto gli sarei stato accanto e l'avrei aiutato a consolidare quella personalità che stava nascendo giorno dopo giorno. Eppure, non c'era niente da fare: Jean sarebbe stato sempre più umano di me. Era come se quella parte non si fosse mai veramente assopita con la trasformazione. Lui pareva accettarla ed esserne quasi fiero, mentre io l'avevo soffocata anni e anni prima, considerandola un segno di vera e propria debolezza. Non mi aveva aiutato in passato, figuriamoci ora che dell'eternità ero il detentore.
    Giusto, era proprio a questo punto che volevo arrivare. Sicuramente poi nostro padre non sarebbe contento se ti trascinassi a un qualche evento dalla dubbia moralità -almeno, secondo lui. Insomma, preferisco che ti dedichi a ciò che ami veramente, infondo stiamo parlando della tua vita, non della mia. Tu devi fare quello che ami, Jean, e ignorare chiunque desideri venire contro ai tuoi pensieri. Ricordati sempre una cosa: chi ti vuol male, tenta sempre di farti a pezzi, perchè intero non riuscirà ma a distruggerti. Bisogna sempre agire in anticipo.
    Desideravo veramente che mio fratello si dedicasse alle sue passioni, tralasciando quello che la nobiltà contemplava, semplicemente per moda o per quieto vivere o, anche, per evitare di essere inferiore ai membri di altre famiglie. Non era facile, non o sarebbe mai stato, ma non avrei mai permesso a nessuno di mettere i piedi in testa a Jean, altrimenti le cose sarebbero precipitate e il malcapitato avrebbe passato un pessimo quarto d'ora. Al contrario suo, io ero da sempre stato un soggetto abbastanza problematico per la mia famiglia, in quanto andavo sempre a prendermi ciò che desideravo, senza che nessuno riuscisse a interferire coi miei piani. Ogni momento che passavo con mio fratello tentavo sempre di dargli qualche lezione, che fosse uno sguardo o una frase apparentemente detta per caso, senza alcun secondo fine. Jean, tuttavia, non sarebbe mai stato come me ed effettivamente sarebbe stato meglio così per tutti, ma soprattutto per lui: avere un secondo Donatien avrebbe comportato solo ed esclusivamente grandi danni. Jean aveva moltissimo da offrire, solo che era un diamante grezzo: andava levigato e aiutato, perchè solo a quel modo il suo splendore avrebbe potuto abbagliare tutti, lasciandoli senza parole. Volevo che fosse fiero di se stesso, non che si nascondesse al mondo.
    Dovrebbero far durare meno queste opere. La signora sul palco probabilmente a breve terminerà il fiato. Ecco perchè non rimpiango di poter correre senza fermarmi a riprendere una boccata d'aria.
    Mormorai molto placidamente a mio fratello, dopo aver creato appositamente quell'uccelletto per movimentare un poco quella noiossissima serata. Ero ben conscio del fatto che fossimo lì perchè Jean adorava le opere teatrali, eppure mio fratello sapeva benissimo che saremmo usciti sostanzialmente per stare un po' assieme, tralasciando il resto del mondo. In quei mesi ero stato molto impegnato e dunque avevo allontanato quelle nostre uscite, ma mi ero ripromesso che avrei speso un po' di tempo con lui non appena ne avrei avuto l'opportunità. Dunque quella sera, finalmente, ne ebbi l'occasione e quell'uccelletto fu la testimonianza della mia volontà di vedere Jean felice e spensierato, almeno per un momento. L'oggettino volò nella complessa acconciatura di un'anziana donna, la quale, aiutata prontamente dal marito, se ne liberò. Una volta constatato che non saremmo stati additati come i responsabili di quell'ingenuo scherzo, tornammo alle nostre poltrone -io un poco deluso, sicuramente avrei trovato un modo ingegnoso se fossi stato scoperto. Tuttavia avevo avuto modo di far sorridere Jean e questo era più che sufficiente, almeno al momento. La mia mente era un continuo fermento di idee.
    Oh, finalmente. Pensavo di dover scendere personalmente per far chiudere quel sipario.
    Commentai quando il telo vermiglio venne sistemato sul palco, a decretare la fine del primo atto -quanti altri vene erano? Non ne avevo la benchè minima idea, ma sicuramente avremmo trovato un altro modo per passare il resto della serata. Diedi un occhio attorno, osservando la gente che stava alzandosi: c'era chi parlottava, chi si muoveva per ribellarsi alla sedentarietà data da quell'evento e chi, molto più placidamente, dormiva della grossa. Anche io mi alzai di scatto, rassettandomi il completo elegante che indossavo.
    Assolutamente, Jean. Andiamo un poco a esplorare questo teatro, sono sicuro che troveremo qualcosa alla quale sottoporre la nostra elezione. Magari qualche gentile signorina desiderosa di scambiare le opinioni sull'opera. In tal caso, la lascerò a te, io ho capito solamente che ci sono sei persone sul palco.
    Non mi feci assolutamente pregare da Jean quando mi venne chiesto di fare qualche passo per allontanarmi da quelle poltroncine. Lo seguii fuori da quella zona, iniziando a osservarmi attorno, lo sguardo chiaro che scivolava qui e là con fare indagatore. Mi piaceva presenziare a eventi del genere, così come a riunioni di importanti famiglie nobili di Londra e Inghilterra in generale, perchè pullulavano di ipocrisia e falsi sentimentalismi. Forse Jean li vedeva con occhi diversi, ma io sapevo bene cosa si celasse quasi sempre dietro un abito all'ultima moda o a una tuba ben fatta e inamidata. Tutti si trovavano lì per commentare chiunque capitasse a tiro e sapevo benissimo che gran parte di quel vociare che si espandeva a mano a mano che io e Jean passavamo fosse dovuto proprio alla mia persona e alla nostra appartenenza a una famiglia così in vista. La cosa non mi toccò minimamente, tanto che mi prodigai in sorrisi di circostanza intrisi di falso perbenismo verso coloro che mi salutavano con un cenno del capo o un tono fintamente amichevole. Intravidi, tra le altre persone, anche la donna che avevo salutato prima dell'inizio dell'opera, una delle mie svariate avventure che erano terminate nel giro di qualche ora. Chinai rispettosamente il capo verso di lei, ancora una volta, mentre ella rimase con quella che doveva essere sua madre, forse troppo titubante per potersi avvicinare a me con così tanti occhi testimoni attorno. Mi riservò solamente un cenno elegante del capo, non mancando di fare altrettanto con mio fratello, con uno sguardo vagamente seduttore. Fu quello che mi fece ridacchiare di sottecchi, dandomi la possibilità di rivolgermi proprio a lui, rimanendogli vicino in mezzo a tutto quel vociare, quel carnevale di sguardi e pensieri.
    Direi che anche tu non te la passi male, Jean. Hai notato lo sguardo che Milady DuRoi ti ha riservato? Dovresti sentirti lusingato, appartiene a una famiglia molto nota nel mercato delle costruzioni navali. Peccato che abbia una voce degna di un topolino rimasto incastrato nella trappola col formaggio.
    Non potei fare a meno di soffocare una lieve risatina per il mio ultimo pensiero espresso a voce alta, sebbene la signorina in questione non diede segno di averlo udito. Continuammo a camminare, allontanandoci dalla massa di spettatori, intenti a passare qualche minuto prima della ripresa dell'opera in compagnia. Sistemai le mani nelle tasche e mi avviai verso la porta di uscita, prontamente seguito da Jean. Lo osservai con la coda dell'occhio mentre mi era affianco: mi chiesi come facesse a non lasciarsi abbindolare da una qualche donna. Jean era di una bellezza angelica, quasi celestiale, ed ero sicuro che avesse una spasimante -era un Duchamp, diamine, esisteva un Duchamp senza spasimanti? La risposta era, ovviamente, no -io ero un caso a parte. D'altronde, le donne era sempre un piacevole passatempo al quale dedicarsi, anche se sapevo benissimo che Jean non sarebbe stato d'accordo con me su quel punto. Per lui venivano prima i sentimenti e sicuramente si sarebbe mosso in quella direzione se mai si fosse innamorato di una qualche ragazza. Immerso in quei pensieri, abbozzai un sorriso vagamente divertito, mentre il concierge si avvicinò a noi, vedendoci all'uscita.
    Lor signori se ne vanno senza che l'opera sia finita? Permettetemi di recuperare i vostri cappotti, sarò da voi immediatamente.
    Aveva un'aria terribilmente affranta e preoccupata, conscio di chi si trovasse davanti -il Duchamp buono e quello cattivo, in sintesi, o almeno così affermavano le genti e io chi ero per far cambiare loro idea?
    Che soggetto perspicace, mh?
    Domandai retorico a mio fratello, sebbene fossi tornato ad assumere quell'aria austera che mi contraddistingueva sempre durante le mie uscite in pubblico. Mi divertivo a mostrarmi a quel modo, dando la possibilità a tutti di iniziare le proprie dicerie su di me. Sapevo che non sarei riuscito a fermarli, dunque perchè non dare loro la possibilità di poter parlare di e contro di me in maniera ancora più esplicita?
    Facciamo una passeggiata lungo il Tamigi, Jean. Non ho voglia di rimanere in questo ambiente chiuso e, comunque sia, l'abbonamento alla stagione teatrale che ti ho regalato è appena iniziato. Chissà, in futuro potresti accompagnarvi una piacevole donzella qui.
    Proposi a mio fratello, osservando il concierge tornarsene verso di noi coi nostri eleganti cappotti in mano. A dire il vero non mi era mai interessato il teatro e quella sera vi ero andato solo ed esclusivamente per stare in compagnia di Jean. Non gli avevo dedicato abbastanza tempo, ultimamente, e mi ero sentito in dovere di rimediare. Volevo stare con lui, parlarci veramente, metterlo in imbarazzo e farlo ridere: insomma, tutte cose normalissime che non facevo da tempo. Essere un Duchamp comportava anche una scarsa vita famigliare, nel senso intimo della parola. Ci si aspettava sempre il massimo da noi, ma nessuno desiderava che noi potessimo aspettarci altrettanto in una maniera più diretta e meno tagliente.
    Desiderate che vi chiami una carrozza per accompagnarvi alla vostra dimora?
    Domandò con fare quasi titubante l'umano, mentre io presi il mio cappotto e me lo misi sulle spalle, senza tuttavia infilare le maniche. Gli scoccai un'occhiata seria, poco amichevole.
    Uno di noi due l'ha forse chiesta? Non mi pare. Siamo a posto così. Jean, andiamo.
    Ero un soggetto veramente molto diretto e spesso questo contribuiva a rendermi poco socievole nei confronti della gente, ma non era per nulla un mio problema. Volente o nolente, la gente avrebbe sempre fatto riferimento e richiesto della presenza o del parere di qualche membro della famiglia Duchamp, dunque avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco. Essere un Duchamp era, allo stesso tempo, una condanna e un privilegio, a seconda dei momenti. Uscimmo entrambi dal teatro, mentre la notte era calata freddamente su Londra: il paesaggio notturno era illuminato dai vari pali, dalla luce dell'astro lunare e da qualche carrozza di passaggio, sulle quali erano state poste piccole lanterne. Non sentivo freddo per via della mia natura e lo stesso valeva per Jean, dunque non mi soffermai sul chiedergli se si sentisse a disagio con quella temperatura. Camminammo semplicemente l'uno accanto all'altro, il duo Duchamp all'opera e apparentemente calmo. Era bello poter stare con mio fratello anche così, anche a quel modo, senza sguardi indiscreti pronti a giudicare ogni nostro minimo movimento o singola parola. Era bello poter vedere ciò che avevamo costruito nel corso del tempo, ciò di cui eravamo stati testimoni. Jean era la mia parte migliore, quella bellezza interna che io non avrei mai posseduto.
    Jean Baptiste Duchamp che manca alla prima dell'opera per assecondare suo fratello... Queste sono cose delle quali la gente dovrebbe parlare.
    Allungai scherzosamente un braccio verso mio fratello, per battere il gomito contro di lui. Lo presi bonariamente in giro, anche se avrei dato qualsiasi cosa per fermare quel tempo, quel momento, e riviverlo mille altre volte ancora. Essere un Vampiro mi dava il privilegio di non invecchiare mai, di essere sempre perfetto, sicuro della mia persona e temerario, eppure c'erano stati solamente pochi istanti in quella mia eternità che avrei voluto fermare per sempre. Il sorriso di Jean e quel suo essere felice con me in quell'istante, per esempio, erano uno di quei momenti. Non l'avrei mai detto a nessuno, perchè, diamine, ero Donatien Zacharie Duchamp e come tale avrei mantenuto quell'aria superiore per il resto della mia eternità, ma ero certo che non mi sarei mai affezionato a nessun altro, veramente, se non a Jean. Ero responsabile per lui, avevo deciso io di dargli quella seconda vita, lo avevo fatto io per lui, dunque era naturale che sentissi quel peso.

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    Jean Baptiste Duchamp » Vampire
    Essere un Duchamp era una cosa abbastanza seria perché portava con sé una serie di responsabilità. Tutti si aspettavano grandi cose da te, tutti si aspettavano che tu fossi sempre perfetto, che sapessi portare avanti una conversazione brillante, che niente potesse impensierirti o metterti a disagio. Era una cosa seria e un grande impegno e sebbene fossi infinitamente grato a mio fratello per avermi dato quell'occasione, per aver creduto che io potessi farcela e quel genere di vita potesse fare anche per me, non ero sicuro che fosse davvero così. La sua famiglia mi aveva accolto senza remore, aveva accettato di farmi diventare uno di loro nonostante probabilmente ad una prima occhiata fosse possibile comprendere che non ero stato un nobile nella mia vita precedente, che non sarei potuto essere niente di più diverso. Eppure loro avevano acconsentito comunque, probabilmente riuscendo a vedere qualcosa che ai miei occhi non sembrava voler apparire. Mi ero chiesto molte volte il motivo della loro scelta, ma non avevo mai provato a porre loro quella domanda, temendo di poter risultare insensibile. Quindi mi ero limitato a tenere per me quei dubbi che avrei potuto mettere a tacere con poche semplici domande, preferendo continuare a tormentarmi piuttosto che mostrare loro quelle mie incertezze. Avrei dovuto cercare di vedere solo il bello di tutta quella faccenda, concentrarmi sul fatto che quella vita ora fosse la mia è che non saremmo tornati indietro, ma purtroppo questo non era mai stato nel mio modo di essere. Sarebbe probabilmente sempre rimasta quell'ombra a velare il mio sguardo, la paura di non essere all'altezza, la paura di deluderli tutti nonostante dentro di me desiderassi soltanto renderli fieri. Non era stato semplice accettare di vivere in una nuova famiglia, di dover trascorrere la mia intera esistenza lontano dai genitori che mi avevano amato sino a quel momento. Il primo periodo era stato un vero e proprio interno, non fare o che chiedermi perché fosse accaduto tutto quello, perché proprio a noi per poi continuare a rivivere il ricordo di quella terribile giornata, ancora e ancora. Piano piano la mia mente si era abituata all'idea, gli anni che erano passati mi avevano costretto a farlo ma l'idea di essere in qualche modo colpevole della loro morte non mi avrebbe probabilmente mai abbandonato. Sapevo in cuor mio che non era così, che non avrei davvero potuto fare nulla per loro dato che non ero riuscito a salvare neanche me stesso da solo, ma non era semplice vivere con l'idea che sarei dovuto morire anche io quella notte, insieme a loro, che sarebbe stato più giusto così. E sapevo anche che sia loro che Don si sarebbero arrabbiati se solo avessi formulato quel pensiero a voce alta, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a vedere la situazione in un modo diverso.
    Io e mio fratello eravamo sempre stati molto diversi, sin dal principio, quando lui aveva fatto visita alla locanda di famiglia e dopo la trasformazione molto poco era cambiato. Lui era un vero e proprio Duchamp, elegante, raffinato e con la battuta sempre pronta e non mi aveva quindi mai sorpreso il fatto che non avesse molto tempo libero da trascorrere con me. Lui aveva i suoi impegni, le questioni politiche, mentre io ancora non ero riuscito a muovermi a mio agio all'interno di quell'ambiente. Sapevo che prima o poi avrei dovuto imparare, che avrei dovuto fare la mia parte all'interno della famiglia, ma anche i signori Duchamp sembravano pensare che fosse ancora decisamente troppo presto per me. Ero diventato un vampiro da circa una ventina d’anni, eppure ancora sembravano non essere in grado di ambientarmi. Ci stavo mettendo tutto il mio impegno, stavo provando in ogni modo ad essere più partecipe di quella vita che mi sembrava così ostile, ma ogni tentativo mi sembrava solo uno sciocco fallimento. E quindi Don doveva occuparsi di tutto, anche di ciò che io non ero in grado di affrontare. Tutta la sua vita era sempre stata costellata di impegni continui e ogni secondo trascorso insieme a lui per me era incredibilmente prezioso e cercavo di viverlo a pieno perché non sapevo quando sarebbe potuto accadere di nuovo. Anche in quell’occasione, quando lui mi aveva invitato a teatro, non avevo esitato un istante ad acconsentire e, nonostante sapessi che avremmo visto poco o nulla dello spettacolo, non mi importava, a me bastava che ci fosse mio fratello. Gli sorrisi appena quando, con la sua solita determinazione, ribadì che avrei dovuto fare quello che più preferivo, ciò che era in grado di rendere felice me e non gli altri, aggiungendo poi che avrei dovuto imparare ad agire d’anticipo per evitare che qualcuno potesse cercare di farmi a pezzi. Era sempre così quando si trattava di personaggi dal nome altisonante: non aveva importanza chi eri davvero, non aveva importanza quello che facevi, tutti cercavano sempre di metterti in cattiva luce e di rovinarti e dovevi imparare a conviverci, a difenderti, oppure ti avrebbero mandato a fondo. -Detta così la fai sembrare persino semplice. – mormorai, mentre il sorriso sul mio volto si allargava leggermente, facendosi un po’ più divertito. Dal punto di vista di Donatien ogni cosa sembrava assolutamente raggiungibile perché nulla era in grado di fermarlo, ma dal mio punto di vista la faccenda si faceva molto più complicata, come quelle semplici parole volevano far capire anche a lui. -Ci proverò comunque, non voglio avere il nome della famiglia sulla coscienza. – aggiunsi, ora prendendolo un po’ più apertamente in giro dato che lui del buon nome della famiglia non si era mai curato troppo con tutte le voci che avevano circolato sul suo conto. Ed era anche questo a renderlo così incredibile ai miei occhi. Lui ci provava a farmi capire che cosa dovevo fare, ad insegnarmi ad essere più simile a lui, ma anche in questo non ero mai stato particolarmente bravo. Cercavo di emularlo come meglio potevo, di cercare di apparire sicuro nonostante non lo fossi affatto, ma ad un occhio attento non serviva molto tempo per capire quanto fingessi agli eventi mondani e che in realtà non fossi altro che un semplice ragazzo, che cercava di mettersi in scarpe che non gli sarebbero mai appartenute.
    Risi quando si lasciò andare ad un commento affatto gentile sulla cantante che stava mettendo in scena lo spettacolo. Parlava sempre con aria tranquilla e imperturbabile, ma la sua lingua sapeva essere decisamente affilata. -Credo che nessuno potrebbe mai superare lo standard del tuo occhio critico. – mormorai, sempre divertito, riferendomi agli attori che si succedevano sul palco uno dopo l’altro e che mio fratello non sembrava apprezzare affatto. Supponevo tuttavia che non fosse del tutto colpa loro e che semplicemente mio fratello detestasse quell’atmosfera e, per partito preso, tutto ciò che girava attorno ad essa, senza neppure prestarvi la minima attenzione. Non mi stupì troppo neanche il suo divertente intermezzo con un uccellino di carta, che per poco non ci fece scoprire e quando il sipario si chiuse, segnando la fine del primo atto dell’opera, alzandomi quindi in piedi per seguire mio fratello al di fuori della sala. Molti dei presenti si erano alzati in piedi, per sgranchirsi un po’ le gambe durante quell’intermezzo e poter osservare meglio chi si trovava a teatro insieme a loro. Avevo compreso per mia sfortuna che molte persone sfruttavano quelle occasioni soltanto per guardare chi si recava a teatro e trovare quindi un modo per spettegolare. Per questo motivo io di solito preferivo rimanere seduto, a farmi gli affari miei, ed evitare di alimentare chissà quali chiacchiere. Ma mio fratello si era alzato e a quel punto lo avevo fatto anche io. Voleva andare a fare un giro del teatro con l’intento di trovare qualche ragazza con cui dialogare e scossi il capo con aria divertita quando disse che avrebbe lasciato a me i commenti sullo spettacolo dato che lui non ero riuscito a capire molto di quello che aveva visto. -Sono sicuro che ti perdonerebbero la mancanza Don. – dissi, con aria vagamente maliziosa. Non era certamente di teatro che avrebbero voluto discutere davvero con lui e lo sapevamo bene entrambi. Ed ero anche abbastanza convinto del fatto che il suo obbiettivo finale dovesse essere quello di cercare di far fare a me qualche conquista, ma io non ero interessato alle relazioni passeggere e messo di fianco a lui nessuna ragazza mi avrebbe prestato attenzioni.
    Gli occhi di tutti si posarono su di noi quando uscimmo dal balconcino che ci era stato riservato per unirci al resto della folla e io cercai di evitarli, guardando altrove e spostando lo sguardo ogni volta che qualcuno iniziava a fissarmi. Mi mettevano particolarmente a disagio quelle occhiate ma mi sforzai di non darlo troppo a vedere perché quello sarebbe stato sicuramente un argomento che sarebbe finito sulla bocca di tutti. Mio fratello rivolse a tutti dei sorrisi di circostanza, cosa che provai a fare anche io con scarsi risultati, decidendo quindi di mantenere una certa serietà e di non badare troppo a tutto il resto. Risposi ai saluti di circostanza che ci rivolsero, intravedendo tra la folla anche la donna che mio fratello aveva salutato in precedenza, salutandola con un cenno del capo a mia volta quando lei lo fece con me, senza tuttavia vederci nulla di male. Mi stupii quindi quando Don mi disse che mi aveva riservato uno sguardo particolare, dicendomi che mi sarei dovuto sentire lusingato dato che apparteneva ad una famiglia abbastanza altolocata, guardandolo poi con aria ancora più sorpresa quando si lasciò andare a quel commento sulla sua voce che mi costrinse a trattenere una leggera risata. -Non mi pare di aver notato nessuno sguardo comunque, credo che tu ti sia confuso. – affermai, in tutta risposta, senza il minimo dubbio. Non avevo mai fatto nulla per attirare su di me le attenzioni di una ragazza, anzi, generalmente i miei atteggiamenti un po’ impacciati non facevano che allontanarle, quindi dubitavo che in questo caso la situazione fosse diversa. A quel punto la folla iniziò a muoversi di nuovo verso la sala principale, mentre mio fratello continuò il suo cammino verso l’uscita e quindi lo seguii. Era riuscito a reggere sino alla fine del primo atto, era più di quanto potessi aspettarmi in effetti, dunque non mi lamentai. E poi non aveva molta importanza quello spettacolo, avrei potuto vedere una delle repliche in qualunque momento, mentre non sapevo quando avrei avuto di nuovo l’occasione di trascorrere del tempo da solo con mio fratello. Il ragazzo che ci aveva accolto al nostro arrivo si mostrò piuttosto preoccupato nel vederci andar via, muovendosi velocemente per andare a recuperare i nostri cappotti, così che potessimo lasciare il teatro in tutta tranquillità. Doveva essersi chiesto per quale motivo avessimo scelto di andare via e se l’opera fosse quindi stata eccessivamente noiosa per i nostri gusti, ma la verità era che Don non riusciva mai a rimanere troppo a lungo nello stesso posto. Gli lanciai una leggera occhiata quando rispose in maniera un po’ troppo piccata al povero ragazzo, che di certo non aveva fatto nulla di male, ma comunque non lo contraddissi. Se avessi voluto avrei avuto modo di parlargli della cosa una volta che fossimo stati da soli, non mi sarei mai permesso di farlo in pubblico, senza contare che questo avrebbe suscitato numerose altre chiacchiere che ci tenevo ad evitare.
    Mi propose di fare una passeggiata lungo le rive del Tamigi, per evitare di stare chiusi all’interno di un edificio, per poi aggiungere che avrei potuto portare con me una donzella nelle successive occasioni. -O magari qualche sorella. – dissi, sorridendo, cercando di evitare quel tasto con lui. Non ero il genere di persona che faceva il primo passo con una donna, tutto il contrario, quindi probabilmente non avrei mai trovato il coraggio di invitare qualcuno a teatro. Ad ogni modo recarmici da solo non era per me un problema, quindi sicuramente avrei optato per quella possibilità. -Il Tamigi comunque andrà benissimo. – aggiunsi, quando notai con la coda dell’occhio il ragazzo tornare nella nostra direzione anche se sapevo che Don doveva avere già la certezza che non avrei rifiutato la sua proposta dato che non era mai capitato prima d’allora. Ignorai il suo commento poco gentile sulla carrozza rivolto al ragazzo, che voleva probabilmente sottolineare il fatto che, in quanto vampiri, non necessitassimo davvero di una carrozza e anche il fatto che appartenessimo ad un rango superiore. Non mi piacevano quegli atteggiamenti di superiorità, mi ricordavano il periodo precedente della mia vita in cui ero stato io a subire simili trattamenti da parte di personaggi di spicco, momenti in cui anche io mi ero limitato a chinare il capo e fingere che nulla fosse successo. Ora che ero un Duchamp. Che ero passato dall’altra parte della strada, non riuscivo comunque a rivolgermi in quel modo a chi era stata meno fortunato di me. Sentivo che non era giusto, che il fatto che dovesse fare quel lavoro per andare avanti non ci autorizzava comunque a trattarlo come se non avesse avuto anche lui una testa o dei sentimenti, ma sapevo che mio fratello vedeva le cose in maniera diversa, persino io avrei dovuto farlo, per dimostrare alla famiglia di essermi ambientato.
    Il buio ci avvolse alla nostra uscita dal teatro eppure i miei occhi non provarono alcun fastidio di fronte a quel cambio repentino. Sapevo di non dover avere più timore di muovermi al dubbio e che l’oscurità non mi sarebbe stata nemica. Il sole poteva esserlo se malauguratamente avessi scordato il cimelio che mi permetteva di espormi ai suoi raggi senza alcun timore, ma la notte mi sarebbe sempre stata amica. Era assurdo pensarlo considerando che la mia famiglia mi fosse stata portata via proprio di notte e la cosa non faceva che rabbuiare il mio sguardo, suggerendomi quelle scene ancora e ancora. Ma le ricacciai indietro, sforzandomi di mostrare un sorriso, di fingere che tutto quanto fosse a posto, così come facevo da anni ormai. Non volevo parlare di quello che era successo, non volevo far riemergere quel senso di colpa bruciante. Mi mossi lentamente, seguendo i passi di mio fratello senza tuttavia dire nulla, lasciandomi andare per qualche momento a quei tristi pensieri. Era quello che avveniva ogni volta che rimanevo in silenzio, ogni volta che, in qualche modo, mi sentivo avvolgere dalla solitudine. E chiunque altro probabilmente si sarebbe sforzato di avere sempre compagnia, per non pensare, per non soffrire, per non essere triste, ma non io. Io non volevo dimenticare, io non volevo chiudere quei sentimenti in un cassetto e lasciarli lì, per sempre, come se non fossero mai esistiti. Mi ritrovai tuttavia a sorridere, sinceramente divertito, quando lui parlò di nuovo, facendomi notare che avevo mancato la prima dell’opera soltanto per assecondarlo, dicendo che quello era un argomento di cui la gente avrebbe potuto parlare per poi darmi una leggera gomitata d’intesa, rendendo la situazione ancora più fraterna e colloquiale. -Dubito che qualcuno lo noterà Don, ma è meglio così, sai che detesto essere sulla bocca di tutti. – dissi, come se fosse necessario ripeterlo perché mio fratello ne fosse a conoscenza, anche se in realtà sapevo bene che lui doveva conoscermi meglio di quanto io stesso potessi fare. -Rimedierò con un altro spettacolo comunque, la prima è sempre troppo affollata. – aggiunsi, mentre il sorriso sulle mie labbra si faceva via via sempre più tranquillo, a mano a mano che quei pensieri scivolavano lentamente via dalla mia mente. -Donatien Duchamp che partecipa alla prima dell’opera, questa si che sarà una notizia. – aggiunsi poi, prendendolo io stavolta bonariamente in giro, mentre lentamente raggiungevamo uno dei ponti che permettevano una perfetta vista sul Tamigi. Mi piaceva quell’atmosfera tranquilla e silenziosa, spezzata solo dal rumore delle acque che scorrevano e dalle nostre voci, intervallate ai nostri passi. Londra sapeva sembrare incredibilmente quieta la notte anche se in realtà non era affatto così. i mostri più terribili si celavano nel buio, pronti soltanto a cogliere un attimo di debolezza, un momento di disattenzione.
    -Pensi che la nostra famiglia deciderà mai di tornare in Francia? – chiesi, di punto in bianco, portando la discussione su un argomento leggermente più serio. Mi mancava la Francia, mi mancava tutto della mia terra natia, eppure mi sarebbe dispiaciuto partire da solo, senza nessuno di loro, per bearmi di nuovo dei suoi profumi e dei suoi colori. Londra era il centro degli intrighi politici e io non riuscivo ad ambientarmi, avrei preferito poter tornare a casa, vivere di nuovo nella villa che mi aveva accolto subito dopo la mia trasformazione e passeggiare nei suoi giardini fioriti come la prima volta. Sapevo che Don mi avrebbe spinto a partire se lo avessi voluto, a trascorrere qualche tempo lì, di nuovo, per potermi sentire di nuovo a mio agio, ma non era questo che volevo. -Non parlo di un viaggio di qualche mese, credi che la nostra famiglia sarà tenuta a rimanere qui per tutto il regno dei Lancaster? – chiesi, spiegando un po’ meglio la mia domanda. Non volevo separarmi da loro, non lo avrei mai voluto, per questo volevo sapere quali dovessero essere le loro idee. Mio fratello era molto più informato di me sulle decisioni dei nostri genitori ed ero curioso di sapere se lui fosse già a conoscenza dei loro piani a riguardo, o se neppure loro avessero ancora deciso cosa fare.
    Un fruscio leggero attirò la mia attenzione, portandomi a voltarmi in direzione delle rive del fiume, sotto di noi, notando un movimento tra i cespugli che mi fece inarcare appena le sopracciglia mentre il mio sguardo si faceva più serio e attento. -C’è qualcuno laggiù. – dissi, rivolgendomi a mio fratello nonostante il mio sguardo rimase sul punto in cui avevo visto quell’ombra che si era velocemente spostata per cercare di nascondersi. Chi c’era sulle rive del fiume? E perché si era nascosto?

    Oh brother I can't, I can't get through
    I've been trying hard to reach you
    'cause I don't know what to do

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    DONATIEN ZACHARIE DUCHAMP » vampiro
    Avevo provato, nel corso degli anni, a far diventare Jean più simile a me: sulle prime, mi ero mosso per orgoglio – lo avevo salvato io anni prima, sentivo quasi necessario quell'azione -, mentre in seguito lo avevo fatto per lui, per renderlo più sicuro della sua figura, per evitare che il prossimo potesse approfittarsi di quel suo sguardo così delicato e quei modi di fare che avrebbero messo a proprio agio chiunque. Le avevo tentate tutte ma, alla fine, avevo dovuto desistere: Jean non sarebbe mai cambiato nel verso che desideravo io e, forse, sarebbe stato meglio così. Possedeva ancora molte caratteristiche dell'essere umano che avevo incrociato anni prima, era come se si ostentasse a farle permanere dentro di lui, come se non fosse d'accordo sul lasciarle andare. Avevo accettato quella sua muta richiesta con altrettanto silenzio, comprendendo che non sarei stato in grado di potergli donare tutta la sfrontatezza e la sicurezza che, al contrario, contraddistinguevano me. Jean era pacato, ben disposto al dialogo e aveva una buona parola da dispensare a tutti. Al contrario di me, non amava essere sotto l'occhio attento e vigile della società, per questo, per molti eventi, la mia famiglia mandava avanti me – sebbene poi potessero tutti immaginare quante cose avrei fatto mormorare al resto della gente. Di Jean, invece, non si era mai sentito dire nulla: era come un'ombra, come se il suo passaggio non lasciasse né tracce né rumore. Quello che creava invece molto scalpore, tra i Duchamp, ero sempre stato io; non lo facevo con cattiveria, come molti pensavano, bensì sapevo che, nel bene o nel male, la gente avrebbe parlato di me, quindi tanto valeva lasciare che mormorassero dando sfoggio del mio carattere naturale, senza tanti fronzoli o finzioni. Capitava, certamente – soprattutto durante incontri di lavoro – che dovessi fingere interesse e quindi venissi forzato al dialogo: solo in quel caso sottostavo alla mia parte più ragionevole, solo ed esclusivamente perchè poi gli affari famigliari ne avrebbero risentito. In tutte le altre circostanze, invece, mi comportavo in maniera spontanea e, molto spesso, avventata. Anche quella sera a teatro avevo deciso di presenziare assieme a Jean solo per stare in sua compagnia. Sapevo bene quanto amasse le opere liriche e, dunque, ne avevo approfittato per stare un poco con lui: negli ultimi tempi importanti affari di famiglia mi avevano allontanato da lui e quella serata mi parve perfetta per riallacciare un poco il dialogo. Jean era amato e ben voluto da tutti noi in famiglia, ma sapevo bene quanto avesse un occhio di riguardo per me. Ne ero, ovviamente, lusingato, e quindi era anche per questo che tentavo di trascorrere almeno un po' del mio tempo libero assieme a lui, anche se questo significava assistere a un'opera lirica di cui non sapevo nemmeno il titolo.
    Per quello non ti devi preoccupare: il nome della nostra famiglia è già sulla mia coscienza e credo che vi rimarrà per i secoli a venire.
    Commentai ridacchiando verso mio fratello. Ero al corrente di quanto i miei comportamenti risultassero sgraditi ai nostri genitori, ma oramai anche loro si erano abbandonati all'idea di vedermi perennemente sulla bocca di tutti, ogniqualvolta vi fosse un evento di rilevante importanza. Jean, ancora una volta, era la mia antitesi in quel caso: di lui nessuno si sarebbe mai lamentato, i nostri genitori non perdevano occasione di lodare i suoi modi di fare raffinati ed educati, non mancando di lanciarmi occhiate assassine, come fossi stato un cane sorpreso con la nuova tovaglia di seta tra le fauci. Finalmente quella tortura finì, almeno il primo tempo e, dopo l'intermezzo dell'uccellino di carta che mi fece un attimo risvegliare dalla noia della rappresentazione, mi alzai, iniziando a osservarmi attorno. Quell'ambiente era divenuto estremamente piccolo e stretto, inoltre non avrei perso occasione per stare un po' con Jean e movimentare un poco la serata, dunque decisi di uscire dalla stanza a noi riservata presso il teatro. Non appena mettemmo piede fuori, i volti di tutti i presenti iniziarono a solcare i nostri corpi: per me oramai era divenuta una semplice quanto odiosa circostanza quella di sorridere a tutti. La maggior parte di loro rappresentavano nobili bigotti senza alcun preciso ideale, che si divertivano a dare sfoggio delle loro ricchezze, credendo che il periodo di prosperità nel quale stavamo vivendo avrebbe continuato in eterno. Vedevo, nei loro volti, invidia, rancore, qualche volta rabbia, oppure curiosità sincera. Un miscuglio di emozioni che sapevo non sarebbero piaciute a mio fratello Jean, abituato a starsene calmo e tranquillo, non sotto una lente d'ingrandimento.
    Non mi confondo mai, Jean, e tu lo sai. Come potrai mai trovare una graziosa dama con la quale condividere la tua vita se non ti guardi nemmeno attorno? Questa sera la fauna, effettivamente, non è ai massimi livelli, te lo concedo, quindi capisco se vorrai soprassedere. In ogni caso, anche nei circoli privati vi sono gentili dame molto carine e cortesi, casomai volessi dare un occhio... Anche se so che dovrò accompagnarti per darti una spinta.
    Jean non era mai stato oltremodo sicuro della sua persona e soprattutto con il gentil sesso aveva particolari problemi di approccio. Non capivo perchè fosse così titubante, d'altronde era un ragazzo dall'aspetto superbo, con un carattere che moltissime donne avrebbero adorato. Durante i balli e qualche evento mondano al quale dovevamo presenziare come famiglia, notavo gli sguardi interessanti delle dame, ma Jean sembrava proprio non calcolarli. Sicuramente lui avrebbe desiderato una relazione stabile e duratura, al contrario di me, per questo tentavo sempre di offrirmi di accompagnarlo da qualche parte – un poco lo facevo anche per divertimento mio personale, adoravo fare nuove conoscenze femminili. I nostri genitori sapevano alla perfezione quanto mi sarebbe stato impossibile combinare un matrimonio duraturo: non ero fatto per le relazioni stabili, non ero il tipo in grado di prendersi cura di una donna per più di due settimane di fila. Almeno, non la stessa donna.
    Vorrà dire che dovrò farti un corso accelerato inerente le occhiate languide delle dame interessate a te.
    Aggiunsi con un sorriso vivace, prendendolo bonariamente in giro. Ci allontanammo dalla folla e chiesi i nostri cappotti al giovincello sistemato all'ingresso, il quale chiese se fossimo anche interessati a una carrozza. Dopo essere usciti a piedi, col Tamigi come proposta, ci immergemmo nel buio della notte londinese. L'aria non era ancora tornata delle più miti ma non sentivo alcun genere di freddo, data la mia natura. Camminammo per un po', diretti verso le rive del fiume, mentre Jean si perdeva nei suoi pensieri. Era una caratteristica che avevo imparato a capire col tempo: Jean, di tanto in tanto, si estraniava dal mondo esterno e si perdeva nei meandri della propria mente.
    Tutto bene, Jean? Non dirmi che hai cambiato idea e vuoi tornare a chiedere alla dama di poco fa di presenziare a un qualche ballo con te.
    Spezzai quel silenzio. Odiavo essere all'oscuro dei suoi pensieri, perchè pensavo che, magari intercettandoli in un qualche modo, avrei potuto aiutarlo. Purtroppo, però, non sempre Jean mi rivelava tutti i suoi problemi e le sue paure e io avevo imparato ad accettarlo. Ognuno di noi possedeva un lato intimo, conosciuto solo a lui, e Jean non era da meno.
    Ah, un altro spettacolo. Giusto, magari per la prossima volta mi impegnerò di più. Potrei apparire direttamente sul palcoscenico e non fare solamente un uccellino di carta.
    Apprezzai quella sua leggera ironia, segno che i pensieri che avevano affollato la sua mente poco prima se ne stavano andando. Feci una smorfia alle sue successive parole, quando aggiunse della mia presenza alla prima dell'opera. Allungai una mano in aria, sventolandola blandamente, come a voler sottolineare che la cosa era di poco conto.
    Sai bene quanto la nostra famiglia ami la cultura: siamo tra i maggiori finanziatori del teatro, qualcuno dovrà pur presenziare alle prime, no? Anche se sono sicuro che l'uccellino di carta apparirà sulle prime pagine dei quotidiani di domani mattina.
    Ridacchiai debolmente, proseguendo verso uno dei ponti sul Tamigi. Mi fermai esattamente al centro di esso, corrugando la fronte quando Jean mi fece una domanda. Ruotai il capo scuro verso di lui, osservandolo con aria interrogativa e seria allo stesso tempo. Non avevamo mai parlato apertamente di un possibile ritorno in patria, nella nostra Francia, e non avevo nemmeno pensato – almeno sino a quel momento – a quanto il nostro paese d'origine potesse mancare a mio fratello. Lui, parlando di quantità di tempo, aveva ricordi molto più vividi di me circa la sua vita umana, dunque essi erano maggiormente legati a quella terra. Io, laggiù, non avevo più nulla, nemmeno una dimora vecchia nella quale fare ritorno – era stata bruciata dagli stessi infami che avevano posto fine alla vita dei miei genitori naturali, secoli prima. Continuai a osservarlo, chiedendomi quanto potesse mancargli la Francia: se solo me l'avesse apertamente chiesto, avrei trovato modo di organizzare un viaggio assieme a lui, noi due soli, senza tanti rompiscatole nei paraggi.
    È un discorso molto complesso, Jean. Risiediamo qui perchè la nostra razza ha maggiori privilegi in questa nazione che in qualsiasi altra zona dell'Europa, Francia compresa. Qui possiamo muoverci come meglio desideriamo, i nostri affari sono anche sostenuti da una fitta rete di amicizie e conoscenze. Amicizie e conoscenze che, in Francia, sicuramente sarebbero minori. Manteniamo ancora dei rapporti col nostro paese d'origine, ma i nostri genitori non hanno molto da spartire con quella bandiera. Personalmente, poi, non è che abbia grandi volti da ricordare o soggetti dai quali tornare.
    Essere un vampiro, per di più sostenitore dei Lancaster, a Londra, significava veramente moltissimo. La nostra famiglia si era trasferita dalla Francia e, con l'avvento di membri vampirici al potere londinese, avevamo goduto di grandi privilegi. Se tutto fosse continuato a quel modo, l'idea di tornare in Francia sarebbe stata ancora una volta messa in secondo piano, in quanto oramai la maggior parte delle nostre radici erano state sistemate proprio in territorio inglese. In Francia avevamo ancora svariate conoscenze, tuttavia il clima di rivoluzione razziale che si stava instaurando anche da quelle parti non ci avrebbe permesso un ritorno indolore. Infine, non avrei amato tornare a convivere coi fantasmi del passato, anche se non l'avrei mai detto a nessuno, troppo orgoglioso e perfezionista per avere delle macchie.
    Credo che la nostra famiglia se ne starà qui ancora per un po', se è questo che vuoi sapere, Jean. Oramai il cuore del nostro commercio e delle nostre relazioni è proprio qui. Tuttavia, se tu volessi tornare là, ti accompagnerei volentieri per un viaggio. Effettivamente, il profumo della lavanda in fiore, quelle immense distese viola nei campi, mi manca un po'. E poi c'è da dire che le signorine francesi sono molto meno frigide delle loro compagne inglesi.
    Non era mia intenzione far sentire Jean fuori luogo, non desideravo che provasse simili sensazioni. Non potevo fare nulla per combattere i mostri del suo passato o i suoi ricordi, ma potevo ricucire qualche ferita ancora non sanata. Sarei stato davvero in grado di accompagnarlo in Francia, bastava solamente che me lo dicesse e lo avrei fatto.
    Se hai un problema, Jean, o se anche sei solo dubbioso, non esitare a parlarmene. Al diavolo le recite, il teatro e il galateo: sono tuo fratello, sono qui per aiutarti in ogni caso.
    Lo spronai a quel modo, sebbene poi il mio discorso scemò perchè le sue successive parole mi fecero andare a osservare lo stesso identico punto che stava fissando Jean. Avevo intravisto, con la coda dell'occhio, un movimento repentino. Strinsi i pugni, riducendo gli occhi a due fessure. Non eravamo soli, laggiù, dunque era meglio starsene guardinghi. Campanelli d'allarme mi risuonarono nella mente, mentre mi allontanavo dal ponte in favore di una scaletta che scendeva verso la riva incriminata.
    Stai indietro, voglio assicurarmi che non ci sia nessun genere di pericolo. Se c'è qualcosa che non va, stai indietro e vattene. Sono stato chiaro, Jean?
    Dissi in direzione di mio fratello, lanciandogli un'occhiata severa che aveva ben poco da ricevere in replica, se non un assenso risoluto. Non mi era mai piaciuto essere osservato senza che lo sapessi, inoltre quell'ora notturna avrebbe potuto dar luogo alla presenza di soggetti poco raccomandabili. Vi era poi mio fratello con me e se gli fosse accaduto qualcosa non me lo sarei mai perdonato. Dopo essermi assicurato che Jean fosse dietro di me, sul ponte, iniziai a scendere la scaletta, gli occhi fissi verso il cespuglio. Sentii all'improvviso un ulteriore movimento e arcuai le labbra all'ingiù. C'era qualcuno nascosto in mezzo alle foglie e a breve l'avrei scoperto. Sentivo odore di sangue, sangue caldo, dunque chiunque fosse era un essere vivente, non appartenente alla razza mia e di Jean. Sbattei le palpebre un paio di volte e, alla fine, con voce ben udibile e minacciosa parlai in direzione del cespuglio.
    Spiare qualcuno è un'azione davvero riprovevole. Chiunque tu sia, esci e non fare brutti scherzi, oppure ti ritroverai a finire la tua scorta di aria direttamente nelle acque del Tamigi.
    Ero abituato ai combattimenti e alle lotte, la mia nobiltà sociale non mi aveva mai impedito di venire alle mani con nessuno e avevo avuto molti scontri con soggetti dalle più svariate razze di appartenenza. Se quel soggetto avesse fatto anche solo una mossa falsa, sicuramente se ne sarebbe pentito.
    Pietà... pietà...
    Farfugliò una voce maschile, prima che il cespuglio si muovesse ancora. Rimasi guardingo, indietreggiando di un paio di passi per sicurezza, per poi lasciare che i miei occhi andassero a osservare quello che appariva come un umano di mezza età, mal vestito e da un olezzo nauseabondo. Pareva a tutti gli effetti essere un vagabondo, anche i suoi denti testimoniavano quella realtà. Gli occhi erano verdi e vispi, in netto contrasto con la carnagione olivastra e sporca che si portava dietro e i capelli unti.
    Il tuo bisogno di denaro ti ha spinto a seguire due uomini soli durante la notte. Avevi forse il desiderio di rapinarci e prendere possesso dei nostri averi? Forza, parla, prima che io perda definitivamente la pazienza e ti renda ancor meno presentabile di quanto tu non sia già.
    Parlai con sveltezza e tono acre, squadrando da capo a piedi quell'uomo. Ero sempre guardingo, non avevo mai abbassato la guardia. Sapevo bene, soprattutto di quei tempi, quanto le finzioni fossero all'ordine del giorno, e non era mia intenzione cadere in un tranello, a maggior ragione perchè vi era Jean assieme a me quella sera ed ero responsabile della sua incolumità. Ruotai appena il capo verso mio fratello, osservandolo e sincerandomi della sua distanza da quell'incontro poco comune. Chi era quel soggetto e, soprattutto, quali intenzioni aveva?

    These lessons that we've learned here have only just begun.

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