Some will fall and some will live - will you stand up and take your chance?

feat. David

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    ANDROMEDA C. HASTINGS human/rebel



    Era un pomeriggio freddo; più freddo del previsto. Camminavamo spalla a spalla per le vie di Londra stringendoci tra le braccia il petto per riscaldarci, aumentando il passo sperando che la circolazione potesse migliorare. Era una delle prime missioni che compivo con David, nonostante la nostra lunga conoscenza; credo mi avesse fino a quel momento scartato per la mia scarsa propensione all’obbedire. Pensare di vestire i panni di David mi risultava arduo al sol immaginare. Vestirli davvero; quello sì che non doveva essere affatto semplice. Da quando ero nata non mi prodigavo molto a preoccuparmi per gli altri e mettermi nei loro panni quando era necessario; preferivo di gran lunga odiarli a prescindere da qualsiasi azione avessero compiuto, o avrebbero dovuto compiere in futuro. Questo era il mio atteggiamento in generale, la base dalla quale partivo nella conoscenza di chiunque: non mi piaceva. A prescindere odiavo persone che neanche si erano mai nemmeno a me presentate, semplicemente per non dover conoscere nessun’altro; che tanto già lo sapevo, chiunque altro sarebbe stato soltanto una delusione. Ecco cosa mi aspettavo: essere delusa dalle persone: miseramente, immancabilmente, enormemente delusa. Per questo motivo preferivo starmene da sola con quelle poche persone che già avevo conosciuto per forza di cose, e fingere che quelle fossero “amiche”. Anche l’amicizia era un’illusione alla quale speravo di credere; speravo un giorno di svegliarmi e credere fermamente nelle persone che mi stavano vicine, che si professavano mie amiche; ma mi conoscevo troppo bene per sperarci davvero; per credere che qualcuno di loro, a caso, uno qualunque, avrebbe dato la vita per me; io non l’avrei fatto per loro. Era un’amicizia di facciata, ci volevamo bene sin quando il voler bene si limitava a bere un paio di birre insieme, fare una partita a carte, e tenersi compagnia negli infiniti momenti morti che costellavano le giornate al covo dei ribelli. Quello non era volersi bene, era trovare qualcuno di vagamente accettabile col quale passare il tempo; e non era di certo amicizia. Però pareva che a quelle persone il definirsi “amico di qualcuno”, il pensiero di avere un amico accanto, giovasse; quasi come se senza amici, non avrebbero mai potuto affrontare l’enorme peso dell’esistenza dentro quel buco maledetto. Per me non era fondamentale; potevo benissimo cavarmela da sola, anzi, forse avrei preferito avere delle giornate interamente da passare in solitudine che dover accomodare le richieste dei miei “amici”. L’aspetto più peculiare di tutte queste baggianate era il morboso attaccamento che qualcuno aveva nei miei confronti nonostante la mia natura fredda, lunatica, anaffettiva e scostante. Non era raro che mandassi a quel paese la maggior parte dei ribelli, anche per motivi futili – soprattutto per motivi futili – eppure erano tante le ragazze che ci tenevano a divenire mie amiche, quasi si prendevano per i capelli. Per poi un’amicizia distaccata, fredda, completamente disumana ed a-sentimentale. Non abbracciavo mai nessuno, neanche per sbaglio; figurarsi poi i vari sentimentalismi quali “ti voglio bene” o “sei importante”; li avevo sempre reputati roba da femminucce; principesse. Con David niente di tutto ciò valeva. David era per me una cosa completamente diversa; non rientrava nelle categorie di amici, conoscenti, amanti o quant’altro. David se ne stava in un reparto a sé che non aveva etichette, e mai ne avrebbe avute; non ne aveva bisogno. Erano ormai cinque lunghi anni che ci conoscevamo, quando ci presentammo avevo solamente 12 anni, e nonostante fossero stati anni pesanti e lunghi, si scorgeva chiaramente la nostra diversa maturità; e costante era rimasto il dislivello nei cinque successivi anni. Eravamo due persone completamente diverse: l’un l’altro, ma anche da quei due ragazzini che si erano conosciuti cinque anni prima; eravamo cresciuti insieme per due strade divaricate; opposte. Il che non ci aveva comunque permesso di separarci totalmente. David, nonostante faticassi ad ammetterlo, per me era importante, se non fondamentale. Era una sorta di roccia – l’unica rimastami – alla quale mi potevo aggrappare durante la tempesta, che fosse interiore od esteriore. Lo guardai con apparente distrazione strofinando le mani sulle braccia; la sua espressione era sempre così seria. Sembrava perennemente che un martello gli fosse poggiato sullo stomaco, e non riuscisse a rilassarsi e respirare. Svoltammo l’ultimo angolo continuando a camminare velocemente a causa del freddo, ormai vicini alla nostra destinazione. Il sole era già tramontato, e le strade si facevano sempre più desolate, lasciando il selciato ben pulito sgombro. Eravamo nella zona bella ed alla moda di Londra; niente a che vedere rispetto a King’s Cross, dove eravamo ormai relegati; e ci eravamo per un preciso motivo. Dovevamo entrare a Westminster, la sede governativa regale, per prendere possesso di determinati documenti. A metà strada mi voltai verso di lui, spostandoci verso un lato del marciapiede, per non dare troppo nell’occhio. – Allora entro dentro, trovo quest’entrata secondaria, sperando che ci sia – dissi facendo una pausa e guardandolo negli occhi – tu aspettami lì. – Mi risultava strano dargli degli ordini; anche se alla fine erano gli stessi che mi aveva dato la mattina stessa David, ma non ero abituata ad usare un tono così rigoroso proprio con lui; mi faceva sentire potente. Senz’altro mi divertiva e non poco. Mi lasciai infatti sfuggire un piccolo sorriso a lato, che sperai non notasse per non attaccare immediatamente a discutere, e feci un piccolo segno d’assenso come per garantirgli che ero pronta per fare una cosa del genere. Mi voltai e continuai da sola la poca strada che rimaneva per arrivare all’ingresso principale di Westminster, mentre in lontananza i suoi passi si allontanavano dalla parte opposta. David era un volto troppo riconoscibile per poter passare inosservato i cancelli della sede governativa; così dopo aver trovato una mappa dell’edificio, ed aver notato un’entrata secondaria; la missione era parsa più fattibile. Adesso c’era solo da sperare che quella mappa fosse vera, e che quell’entrata secondaria fosse aperta, e non vecchia di migliaia di anni e piena di ruggine. Entrai con nonchalance nella sede di Westminster, senza neanche guardare le due guardie vestite di tutto punto all’ingresso, che non mi fermarono. D’altronde – per il momento – essere un umano non era un reato, e potevo essere in quel luogo per qualsiasi motivo; non potevano fermarmi. L’interno di Westminster era impressionante per la sua grandezza e maestosità; mi lasciò quasi senza fiato. Non pensando, mi ritrovai in pochi attimi con il naso rivolto all’insù nell’ammirare l’altezza di quelle sale e la loro decorazione sopraffina, non avevo mai visto niente del genere. Dall’esterno era ben chiara la grandezza di quel luogo, ma l’interno lo ribadiva con voce tonante. Scossi appena la testa tra me e me riportando l’attenzione su ciò che dovevo fare: trovare l’entrata secondaria. Avevo studiato quella cartina per ore intere, ed adesso dovevo mettere a frutto tutto lo spreco di tempo. Mi avviai sulla destra senza molta preoccupazione, se mi avessero fermato avrei semplicemente detto che mi ero persa e che avevo bisogno di un visto per abitare a Londra, essendo appena arrivata dal Belgio. Sfidavo che chiunque di quei coglioni riconoscesse l’accento belga. I miei passi risuonavano forti e chiari, come ticchettii di un orologio, e non mi disturbava granchè. Regalavo grandi sorrisi a chiunque mi guardasse in faccia incrociando la mia strada, e nessuno mi disturbò. Sapevo bene che al mio posto avrebbe voluto esserci David, non gli piaceva farmi rischiare la vita, ma era stata una decisione inevitabile. La mia faccia era molto meno conosciuta della sua, ed in più avevo la sensualità femminile dalla mia, se mai mi avessero beccato, dubitavo che un paio di moine ben mirate non sarebbero bastate a farmi liberare. Dopo aver oltrepassato tre stanze, voltai a sinistra, proprio come avevo visto nella mappa. A quel punto non dovevo essere molto distante, ed iniziavo ad agitarmi. Notai, però, che l’edificio era semi-vuoto: l’arrivare al calar del giorno era stata un’ottima idea, non c’era quasi più nessuno, che fossero addetti, o popolani. La stanza nella quale avevo svoltato, era stranamente più popolata rispetto alle altre, diverse persone sedute su sedie in legno aspettavano, in silenzio. Non mi soffermai molto e con passo costante attraversai anche la stanza successiva, per poi voltare nuovamente a destra. Era quella, ne ero certa; era la stanza che conteneva l’entrata secondaria. Si poteva sentire la differenza di temperatura rispetto alle altre, data dalla maggior esposizione all’aperto, data la sua posizione esterna. Ed essa era, grazie al cielo, vuota; completamente. Una porticina in legno spiccava tra le mura grigie, e mi avvicinai subito ad essa, senza perder tempo. David doveva già essere fuori da diverso tempo, almeno così speravo. Presi la maniglia nella mano destra e la voltai, convinta che si sarebbe aperta immediatamente, ma non accadde. La porta era chiusa a chiave. – Porca tro*a – mi lasciai scappare sussurrando tra me e me, cercando immediatamente il fil di ferro che avevo nascosto a lato del reggiseno. Me l’ero portato dietro per sicurezza; a dirla tutta, me lo portavo sempre dietro. Lo portai immediatamente alla serratura ed iniziai ad armeggiare tentando di fare meno rumore possibile, guardandomi continuamente intorno. Avevo aperto svariate porte in vita mia, e quella serratura non era diversa dalle altre, così in pochi secondi riuscii ad aprirla, e trovai David fuori, ad aspettare. Gli sorrisi istintivamente, rivederlo era stato un piccolo sollievo. – E’ quasi deserto – gli dissi facendogli posto per entrare ed informandolo di ciò che avevo notato poco prima.
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    David Morren » human
    Londra era una fortezza grigia e sferzata dal vento. In essa avvenivano le decisioni che avrebbero condizionato i suoi abitanti e non solo, perché da quando i vampiri erano saliti al potere, Londra era divenuta molto più che una semplice città. Essa era ora il fulcro di ogni cosa, del dominio dei vampiri, del governo, delle leggi che avrebbero piegato gli umani di questa città e di tutte quelle soggette agli eterni, ma soprattutto era divenuta il luogo in cui il destino di tutti noi veniva scritto, stabilito e messo in pratica, senza alcuna pietà, per chiunque. Quella volta era toccato alla popolazione di streghe e stregoni, ricercati e indagati per il sospetto di una collaborazione con noi ribelli, collaborazione che poi, per alcuni di loro, era più che fondata. Per quanto non mi fidassi e poco apprezzassi l’aiuto di creature come streghe, stregoni o licantropi, nel tempo avevo accolto tra le nostre fila alcuni di loro e sebbene mi pesasse ammetterlo, la loro presenza si era più volte rivelata più che utile, se non addirittura necessaria. Non avevo mai permesso a nessuno di entrare a far parte dei ribelli prima di accertarmi in merito alla loro identità, su quali fossero i loro pensieri, le loro posizioni e intenzioni e questo era avvenuto anche con qualcuna di queste creature, anche se con loro avevo mostrato un atteggiamento molto più cauto, attento e persino più rigido, perché il mio passato e la mia esperienza mi avevano portato a credere che non potessimo fidarci di loro, di nessuno di loro. Eppure, anche io avevo dovuto aprire gli occhi e mettere da parte il rancore e l’odio, riconoscere come noi umani non fossimo gli unici ad opporci al dominio dei vampiri e che anzi, c’era una buona parte della popolazione sovrannaturale di Londra che avrebbe fatto tutto pur di liberarsi dal loro giogo. Così avevo iniziato a cedere, a tentare di guardarli con occhi diversi, a concedere loro una possibilità, ad ascoltarli e mettere da parte i miei pregiudizi, fino ad arrivare a concedere la mia fiducia a qualcuno di loro, a chi aveva mostrato di meritarlo e a chi, entrando a far parte del nostro gruppo, alla fine non era divenuto altro che uno di noi, forse con molta più difficoltà di chiunque altro, incontrando più resistenze, soprattutto da parte mia, che ancora facevo fatica a rivolgermi a loro senza una palese freddezza, ma così di fatto era stato. Non erano molte le creature che facevano parte assiduamente delle nostre fila, anzi, erano davvero poche, alcune streghe o licantropi preferivano operare in proprio, in maniera distaccata, pur appoggiandosi a noi e viceversa quando necessario e in un modo che sinceramente preferivo, anche perché non tutti al covo erano così propensi ad accettare la presenza di queste creature e io non volevo dover sedare litigi né avere problemi e debolezze interne. Restava il fatto, però, che alcuni di loro collaborassero con noi, in un modo o nell’altro, risultando anche parecchio utili, dimostrandosi presenze necessarie e per questo da proteggere, da nascondere davanti ad un’ imminente retata da parte degli scagnozzi dei reali. Alcuni di loro inoltre erano divenuti infine nostri amici, qualcuno che, a prescindere dall’utilità, avremmo voluto tenere al sicuro, perché alla fine era questo che eravamo e questo che facevamo, così si comportava una famiglia. Era per quel motivo che avevo organizzato quella particolare spedizione al Palazzo di Westminster, perché nei giorni passati eravamo venuti a sapere di una importante riunione e proprio di quel controllo sulla popolazione di streghe e stregoni che era stato effettuato e i cui risultati dovevano essere proprio lì, nella sede governativa di Londra, in attesa di vedere organizzato un provvedimento adeguato o forse assieme a qualche documento legislativo che già prevedeva qualche terribile ordinanza. Per questo avevo deciso di recarmi lì, di tentare il tutto per tutto con lo scopo di stracciare quei documenti o magari anche solo di sapere chi dei nostri fosse sospettato e chi avrebbe dunque avuto problemi, così da poterci organizzare in tempo e avvertire tutti ed anche precederli in quella che poteva essere una nuova terribile legge. Essere un passo avanti a loro, questo ci serviva e per questo mi ero mosso. Normalmente avrei portato con me Femke per una missione simile o almeno lo avrei fatto in passato, anche se pian piano stava riacquisendo quel posto e quella fiducia che aveva compromesso andandosene via per così tanto tempo. Il fatto era però che Femke non sarebbe stata dei nostri per un bel po’ , non nel covo almeno, vista l’idea che le era venuta e che avevo dovuto accettare, sia perché ormai impossibile da cambiare sia perché effettivamente interessante e potenzialmente molto utile. Lady Alyssa sarebbe divenuta la dama di compagnia di Vasilisa Vladov. Inizialmente non avevo approvato, anzi, mi ero infuriato per ciò che aveva fatto, per non essersi consultata prima con me, per aver agito d’istinto e essersi messa in pericolo a quel modo, ma avevo dovuto cedere di fronte alla effettiva genialità della cosa e ora, sebbene continuassi a credere che fosse una cosa estremamente pericolosa, quel piano si era infine attuato. Avevamo passato i giorni dopo il ballo a pianificare ogni cosa, ad organizzarci, a prevedere ogni mossa e studiare ogni possibilità, niente poteva essere lasciato al caso e quando Femke aveva infine lasciato il covo nelle vesti di Lady Alyssa, diretta verso la dimora Vladov e quella che sarebbe stata la sua vita da quel momento, lo aveva fatto consapevole di tutto ciò che sarebbe potuto accadere e tutto ciò che avrebbe dovuto fare. Pur sapendo ciò, pur sapendo che avevamo fatto del nostro meglio e che lei sapeva il fatto suo, non avevo potuto fare a meno di sentirmi terribilmente nervoso e inquieto da allora, tanto che più di qualcuno al covo aveva iniziato a notarlo. Quella missione era anche un modo per distrarmi, infondo e per quel giorno al mio fianco avevo scelto di chiamare Andy che di sicuro avrebbe fatto in modo di distrarmi completamente da ciò che mi turbava, perché sapevo già che avrei dovuto fare attenzione a lei almeno tanto quanto alla situazione in generale. Era raro che la scegliessi per una delle missioni di un certo rilievo, non perché non mi fidassi, ma perché il suo carattere era sempre stato tra i più difficili da gestire tra quelli di tutti gli altri al covo. Era una delle poche persone ad opporsi spesso e volentieri ai miei ordini, a non seguirli e in generale a darmi non poche difficoltà nella mia posizione di leader dei ribelli. Non aveva mai davvero compromesso una missione, forse a causa di quel rispetto che, seppure dietro un atteggiamento quasi ribelle, sapevo avere nei miei confronti e verso ciò che facevo. Ci conoscevamo da molto ormai, cinque anni, da quando quella guerra era stata quella di mio padre e anche da prima di allora e in tutto quel tempo avevamo imparato a conoscere le rispettive personalità, i caratteri, a comprendere le motivazioni, a condividere la fiducia e quella nuova importante missione di cui ero divenuto capo, ritrovandola allora al mio fianco, come infondo non avevo mai davvero dubitato. Il suo atteggiamento non era facile da gestire e spesso e volentieri era riuscito a farmi saltare i nervi, ma dovevo anche ammettere che apprezzavo il coraggio che mostrava e che non tutti sembravano possedere, il coraggio di esporre le proprie idee e di affrontarmi con fermezza, era una cosa questa che infondo mi faceva piacere, perché pur essendo il capo, non agivo da solo e il parere altrui era qualcosa su cui avevo sempre contato, che avevo preso sempre in considerazione, anche se la decisione finale poi di fatto spettava sempre e solo a me. Molte volte mi ero chiesto il motivo dietro quel suo atteggiamento, perché si sforzasse tanto di mostrare di non aver bisogno di nessuno, nonostante tutti la cercassero e volessero al proprio fianco. Tutti noi avevamo un passato difficile alle spalle, ognuno aveva segreti, fantasmi e mostri da affrontare ed io dal canto mio non avevo mai chiesto a nessuno di rivelarli, perché quello che avevamo trovato e iniziato assieme era una nuova possibilità, per noi e per tutto il mondo. Andromeda era parte della famiglia che ognuno di noi aveva trovato nell’altro, ma il fatto di conoscerla da così tanto tempo, di sapere che lei aveva conosciuto anche il David prima della guerra, mi aveva portato a sviluppare un legame diverso con lei, più familiare in un certo senso, la sorella ribelle e irritante che non avevo mai avuto e che non ero neanche così sicuro di aver mai voluto. Quel giorno io e lei avremmo tentato di introdurci a Westminster, nelle sue stanze più segrete, dove ogni decisione veniva presa e riposava in attesa della sua messa in atto. Sarebbe stata lei ad entrare per prima e con una scusa plausibile in grado di farla arrivare fin dove volevamo, ovvero l’entrata secondaria che ci era stata rivelata da una preziosissima e antica mappa trovata scavando tra documenti di un tempo passato, accatastati e dimenticati, ritenuti forse poco importanti dai vampiri e da noi recuperati. Dovevamo entrare e ora sapevamo come fare, il punto era riuscirci. Non avrei voluto mandare Andy da sola, ma non avevo alcuna scelta visto che non avrei mai e poi mai potuto varcare l’ingresso principale senza trovarmi circondato da guardie in pochi secondi. Il mio volto era fin troppo conosciuto, proprio perché non ero solito mandare i miei uomini da soli e anzi spesso e volentieri mi univo io stesso a loro, come era giusto che fosse, perché avessero una guida e mi sapessero al loro fianco. Così avevo dovuto lasciarla andare, sperando con tutto il cuore di non vederla mandare all’aria tutto, cosa che considerato il suo carattere, non potevo del tutto escludere, anche se aveva sempre dimostrato di essere fin troppo scaltra e furba per farsi fregare così facilmente. Fortunatamente l’orario iniziava a farsi tardo e le strade si erano quasi del tutto svuotate, cosa che ci permise di avvicinarci alla sede governativa senza troppi problemi, solo dovendoci nascondere velocemente in un paio di casi, per evitare il passaggio di sparuti gruppi di vampiri o di alcuni soldati di ronda. Sarebbe entrata e avrebbe raggiunto il passaggio che avevamo scovato, l’avrebbe aperto per me e così saremmo stati dentro, questo era il piano, dopo avremmo dovuto muoverci cautamente, perché sebbene Westminster non fosse un luogo di svago, ma anzi, un posto dove nobili e potenti si recavano in caso di necessità, non era detto che saremmo stati tanto fortunati da trovare le sue stanze deserte. La guardai per un istante quando mi rivolse la parola dopo tanto che avevamo proceduto in silenzio e per un attimo rimasi in silenzio, osservandola con fare indagatore, quasi mi stessi chiedendo se avessi o meno fatto la scelta giusta per una questione tanto delicata. Credevo davvero fosse così, nonostante il suo carattere mi fidavo di lei, anche se non potevo fare a meno di augurarmi che non mi desse mai motivi per dubitarne - Precisamente e vedi di non combinare nessun casino, non possiamo permettercelo - replicai con voce seria, che non ammetteva repliche né errori, perché ero più che consapevole dell’importanza di ciò che stavamo facendo, ma soprattutto della sua pericolosità, dopotutto ci stavamo infiltrando in una delle tane del nemico. Alzai gli occhi al cielo nel vederla divertita a quel suo tono imperativo e che solitamente era possibile sentire da me e non da lei, ma che immaginavo potesse darle un senso di potere non indifferente, anche se quello non era affatto un gioco e glielo avrei volentieri ricordato se non fossimo stati particolarmente di fretta. La vidi voltarsi e iniziare ad incamminarsi e solo allora, quando era ancora abbastanza vicina da permettermi di non alzare la voce, parlai ancora - Andy! - la richiamai, tenendo la voce bassa ma sapendo che lei avrebbe udito ugualmente - Fa attenzione - era un piano dannatamente folle, lo sapevo bene, ma ancora una volta mi trovavo nella situazione di non potermi opporre, perché quella era la cosa più giusta da fare. La vidi allontanarsi sempre di più, fino ad arrivare all’ingresso del palazzo ed entrarvi senza problemi. Nonostante quel primo ostacolo fosse stato superato, non mi concessi di tirare un sospiro di sollievo e anzi, mi misi subito in azione, sistemando meglio il mantello logoro che avevo indossato quel giorno con lo scopo di non dare troppo nell’occhio, ma anzi, di passare come un semplice popolano desideroso di coprirsi il più possibile dal vento che sembrava preannunciare una notte gelida. Sistemai meglio il cappuccio sul viso, celandolo così alla vista, dopodiché mi incamminai, tirando dritto per la stessa strada che aveva preso Andy prima di voltare verso l’ingresso, così da poter arrivare nel punto in cui sarebbe dovuta trovarsi l’entrata secondaria. Sembrava che i reali avessero raddoppiato le guardie in quei giorni, proprio a seguito forse delle ultime riunioni e decisioni, quindi aspettandosi un’intrusione. Questo non ci facilitava le cose, ma non avevamo poi molta scelta, visto che non agire subito avrebbe significato arrivare troppo tardi. Continuai a camminare, senza neanche voltare lo sguardo verso Westminster, ma cercando di mantenere un’andatura e un’aria più tranquilla possibile, anche se di poco accelerata, come se fossi stato davvero un popolano che correva a casa per non dover rimanere fuori dopo il calar del sole. Raggiunsi il punto prestabilito in poco tempo e non mi sorpresi di veder guardie anche lì, Andy aveva avuto decisamente la via più facile passando dall’interno, paradossalmente. Mi infilai in un vicolo in cui gli ultimi raggi del sole già non arrivavano più e da lì studiai la situazione. C’erano guardie lungo tutto il perimetro del Palazzo, ma ciò che interessava a me era un punto ben preciso, uno che avevo notato giorni prima, facendo una preventiva ricognizione. Con il sole basso nel cielo, quello specifico angolo del Palazzo calava prontamente nelle tenebre, grazie anche ad alcuni alberi posti di fronte ad esso e fortuna voleva che fosse proprio in uno degli spazi vuoti tra due guardie, le quali facevano avanti e indietro, quindi ad un certo punto, voltando la schiena proprio a quel tratto di mura. Dovevo solo avvicinarmi un po’ di più e poi uno scatto mi avrebbe permesso di raggiungere la mia meta, da dove avrei dovuto compiere qualche metro muovendo in prossimità del muro esterno, fino a raggiungere quella che era l’entrata secondaria che avevamo scovato. In quel preciso tratto gli alberi fungevano da scudo ad occhi esterni e se tutto fosse andato come previsto e Andy avesse trovato la stanza nel limite di tempo concordato, sarei potuto entrare prima di vedere la guardia più vicina voltarsi e così accorgersi immancabilmente del sottoscritto. L’odore sarebbe stato un problema, fin troppo riconoscibile e individuabile a creature come vampiri e licantropi, per questo avevo indossato gli abiti di uno dei licantropi del nostro gruppo, che seppur stretti, facevano a dovere il loro compito o almeno così mi auguravo vivamente. Attesi pazientemente il momento giusto e quando infine la guardia più vicina si voltò, scattai verso gli alberi che avevo già notato in precedenza, fermandomi giusto un attimo accanto ad essi per controllare la situazione e poi raggiungere le mura del palazzo, agevolato dall’ombra che però sapevo non sarebbe stata di ostacolo agli occhi di un vampiro o licantropo. Scivolai lungo il perimetro esterno, contando quei passi che avevo calcolato da lontano e infine raggiungendo il punto prestabilito, presso quel passaggio dove Andy doveva già trovarsi, per forza o sarei stato spacciato. Con occhi nervosi scrutai la guardia ancora voltata nella direzione opposta e che sembrava non aver notato la mia presenza, vedendola avanzare lungo quel percorso ormai compiuto troppe volte e alla fine del quale avrebbe fatto dietro front. I secondi continuavano a passare e potevo quasi sentirli rintoccare contro di me, mentre quella porta segreta rimaneva chiusa, sbarrata, come invece non avrebbe dovuto essere. Imprecai in silenzio, non azzardandomi a proferire parola per non farmi udire, chiedendomi cosa potesse esserle accaduto e sentendo la preoccupazione crescere in me, perché sapevo che se le fosse successo qualcosa, non avrei mai potuto perdonarmelo, perché quell’idea era stata mia, perché quella volta avevo scelto lei. Fortunatamente però, il passaggio infine si aprì e dopo aver visto il volto di Andy, illesa e anche particolarmente soddisfatta per l’opera compiuta a dovere, scivolai dentro senza attendere un secondo di più, richiudendo la porta dietro di me - Perché ci hai messo tanto? - la mia voce fu severa, ma dettata principalmente dalla preoccupazione, anche se quello non era il momento adatto a niente del genere, motivo per il quale non aggiunsi altro, limitandomi invece ad ascoltare ciò che aveva da dirmi, il resoconto di ciò che aveva visto e quella che era la situazione all’interno. Rimasi un momento in silenzio, mentre elaboravo le informazioni ottenute e mi sfilavo il mantello dalle spalle, visto che in quell’edificio non sarebbe servito a nulle anzi, avrebbe solo attirato l’attenzione - Dobbiamo trovare un’altra strada allora, non possiamo passare come niente fosse in una sala piena di gente, sarebbe troppo rischioso. Prima di tutto ci serve sapere dove potrebbero trovarsi i documenti che cerchiamo e per questo abbiamo bisogno di un piccolo aiuto dall’interno - e un aiuto dall’interno lo avevamo davvero. Justin, uno dei licantropi facenti parte del corpo di soldati addestrati quotidianamente per fornire protezione e un esercito ai vampiri, ma soprattutto uno dei nostri, era stato lui a dirci che quel giorno sarebbe stato di guardia a Westminster e lui che si era offerto di aiutarci. Avrebbe passato dei guai per noi se solo ci fossimo fatti scoprire, lo sapevamo, lui lo sapeva, ma quello scopo che condividevamo era più importante e non dubitavo nemmeno che lui stesso fosse stato spinto ad agire da un legame particolare con qualche strega, magari una di quelle che avremmo trovato nella lista. Mi mossi nella sala, la quale non presentava un mobilio particolarmente pregiato né sembrava essere una delle stanze più frequentemente usate, cosa che per noi era senza dubbio un bene, per poi avvicinarmi ad una sorta di lungo mobile di legno antico a cassettoni, iniziando ad aprirne le ante polverose, alla ricerca di qualcosa di ben preciso, finché dopo qualche tentativo non lo trovai. Una sacca era stata sistemata in uno degli scomparti e da essa estrassi prontamente una giacca scura, ma dal tessuto pregiato, anche se si notava esserlo non tanto perché facente parte dell’abbigliamento di un nobile, ma perché doveva essere tale per rispondere al tenore dell’intero edificio: la divisa di un servitore. La infilai velocemente sopra la maglia prestatami, abbottonandola rapidamente, dopodiché tornai a frugare nella sacca. Non c’erano i pantaloni, ma non ne feci un problema, sarebbero andati bene quelli che indossavo, scuri come la giacca anche se di materiale assai meno pregiato, cosa che sperai non destasse occhiate sospette. Tuttavia però trovai un copricapo, qualcosa che si avvicinava in parte ad uno zucchetto e in parte a quasi una sorta di basco, da sistemare sulla nuca forse per contenere alla meglio i capelli, forse unicamente come accessorio, anche se decisamente di dubbio gusto. Scoccai un’occhiata a Andy, come ad ammonirla di non provare neanche a ridere, dopodiché estrassi l’ultima preziosissima cosa. Era un foglio ripiegato in cui erano state scritte veloci parole e su cui era stata disegnata una piccola mappa dell’ala che avremmo dovuto raggiungere e dove avremmo trovato la stanza che ci interessava: ala est, terzo piano, seconda porta del corridoio di destra. Considerando che ci trovavamo al piano terra, il tragitto non sarebbe stato semplice, non senza farsi notare - Se solo dovessero scoprire che una delle loro guardie è dalla nostra parte, inizierebbe una caccia all’uomo e se arrivassero a comprendere che è stato lui a farci entrare, Justin passerebbe dei guai seri per noi. Quindi facciamo sì di non sprecare questa occasione e di non mandare tutto all'aria, ok? - la mia voce fu dura, ma non perché ce l’avessi con lei, anche se quell’ammonimento era stato anche un modo per dirle che avrebbe dovuto fare come dicevo io, per una volta. La verità era che quel sacrificio e quell’atto di coraggio e fede nella nostra causa, anche se da parte di un licantropo, aveva ancora una volta acceso in me il senso di responsabilità che provavo nei confronti di tutti loro e dunque anche il senso di colpa, sebbene ognuno avesse deciso autonomamente di schierarsi al mio fianco e seguirmi nel mio scopo. Le passai il foglio che Justin aveva scritto per noi e che avrebbe potuto consultare con l’intera mappa, per poi risistemare la sacca con ora dentro il mantello lì dove l’avevo trovata. Fatto ciò, estrassi dalla tasca la piccola fiala di pozione datami da una delle streghe tra le nostre fila, la quale mi aveva assicurato che, bevendola, avrei ingannato gli occhi di chiunque, mostrando loro un aspetto e un viso diversi, anche se non per molto tempo. Per questo motivo non l'avevo assunta prima e per questo non potevamo sprecare neanche un istante. La bevvi di un fiato, spostando poi il mio sguardo su Andy e attendendo di trovare conferma anche solo nella sua espressione, dell'esito positivo di quella magia, che io non potevo vedere con i miei occhi, motivo per cui avrei dovuto fidarmi di lei e per quella volta anche dei suoi commenti divertiti. Dopodiché mi avvicinai alla porta, sbirciando oltre di essa e assicurandomi che non ci fosse nessuno, così da poterci muovere indisturbati e superare la stanza che aveva trovato occupata - Ricapitolando, sono uno dei servitori di palazzo e ti sto scortando da coloro che potranno fornirti il visto per soggiornare in città e ti sto accompagnando perché l’orario si è fatto tardo e per evitare dunque di farti gironzolare per il palazzo inutilmente - dissi ripetendo ciò su cui c’eravamo già accordati. Nessuno avrebbe prestato attenzione ad un domestico o almeno così mi auguravo. Con un ultimo sguardo le voltai le spalle, uscendo dalla stanza con passo calmo, calcolato e con quella formale rigidità tipica dei domestici. Non mi voltai per assicurarmi che lei fosse dietro di me, perché sapevo che avrebbe obbedito e si sarebbe attenuta al piano come concordato. Percorremmo il tragitto che aveva fatto fino a quel punto, tirando dritto oltre la stanza in cui svariate persone erano sedute in attesa, fortunatamente senza dare nell’occhio e raggiungendo un ampio ambiente da cui si dipartivano più corridoi e in cui trovammo un paio di vampiri intenti in una conversazione e che sembrarono non notarci, mentre prendevo con sicurezza il corridoio centrale del lato nord, dove la mappa riportava la presenza di una delle scalinate che conducevano al primo piano. Fino a quel momento tutto sembrava filare liscio e mi auguravo che continuasse ad essere così.
    Whatever you do, don't be afraid of the dark
    Cover your eyes, the devil's inside
    One night of the hunter
    One day I will get revenge

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    ciò che avevo in mente era qualcosa del genere x, anche se todo in black. Lo so che non è il periodo giusto ma chissene u_ù e si, è ridicolo con quella roba addosso XD


    Edited by lýkos. - 19/1/2014, 16:59
     
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    ANDROMEDA C. HASTINGS human/rebel



    Non sapevo se a David piacesse il proprio ruolo, e neanche me lo riuscivo ad immaginare, quando si parlava del ragazzo, spesso sapevo cose che nessun’altro al covo sapeva, ma leggere nella sua mente.. quella era tutta un’altra storia, un miraggio per qualsiasi essere umano. Che non avesse una vera e propria sete di potere era ovvio, non doveva essere facile essere il più esposto, il primo capro espiatorio al quale puntare il dito ogni qualvolta qualcosa andasse storto. Allo stesso tempo mi chiedevo però se sarebbe stato capace di sottostare agli ordini di qualcun altro che non fosse stato suo padre. Jack Morren aveva guidato i ribelli così a lungo che nessuno sapeva immaginarseli senza di lui; eppure ci eravamo rialzati uno ad uno scegliendo di fidarci di suo figlio, e di lui soltanto. David non parlava spesso di suo padre, non era mai stato ben predisposto ad aprirsi con nessuno, tantomeno con la mia lingua tagliente. Il nostro rapporto aveva sempre avuto alti e bassi; era l’unica persona che riusciva a tenermi testa quando volevo per forza prendere le decisioni per conto mio, ed era l’unico che sapeva come calmarmi quando l’irruenza prendeva il sopravvento. Dall’esterno i nostri caratteri parevano estremamente incompatibili: David era divenuto un uomo; razionale, riflessivo e pieno di responsabilità, io – da parte mia – mi rifiutavo di crescere: mi comportavo come una bambina la maggior parte del tempo, quando potevo davo problemi inutili per il semplice gusto di farlo, e mi rifiutavo di prendere anche un minimo di responsabilità per qualcuno che non fosse me stessa. Eppure tra noi era nata un’amicizia che andava oltre il dover stare nello stesso luogo forzatamente, l’avrei definita profonda, quasi viscerale; mi sembrava di conoscere David da quando ero nata. Nonostante ciò, non mi ero mai davvero aperta con lui: non sapeva praticamente niente del mio passato, non sapeva che mio padre era scappato lasciando mia madre squartata sul loro letto, di come mia nonna e mio nonno erano poi morti, e che non avevo mai più visto quel codardo di mio padre. Immaginavo che avesse evitato di chiedermi ulteriori informazioni sul mio passato perché non era strettamente necessario: ormai si fidava di me, e ficcare il dito nella mia più profonda ed aperta piaga non era il modo giusto in cui relazionarsi a me. Sentii la sua voce sfumare mentre i miei passi verso Westminster si facevano più concitati e frequenti, mi aveva gridato di fare attenzione, proprio come faceva sempre. Sorrisi appena tra me e me scuotendo con leggerezza la testa ed iniziando a fare ciò per cui eravamo andati in quel luogo così splendido alla vista, ma raccapricciante all’idea. Il solo pensiero che David riuscisse ancora a preoccuparsi per ognuno dei suoi uomini valeva la sua posizione; se fossi stata al suo posto, dopo poco avrei mollato tutto. Vedere così tanti ribelli, uomini, ma soprattutto amici andarsene giorno dopo giorno per una causa comune mi avrebbe reso completamente inumana e violenta; invece David era solo divenuto più accorto, fiducioso, altruista e solidale. Ogni qualvolta mi fermavo a pensare a tutto quello che aveva fatto e continuava a fare per noi, mi pentivo della mia lingua tagliente e delle mie pessime scelte di vita; ma nei momenti in cui le prendevo, neanche l’umanità di David poteva fermarmi. Gli volevo bene e lo rispettavo, ma mandare a put*ane la mia vita era l’unico modo che conoscevo per viverla. Anche quel giorno, stavamo affrontando la missione in due modi completamente diversi, opposti se possibile. David era previdente, aveva pensato ad ogni piccolo particolare, mentre io mi affidavo al caso ed alla mia sensualità, che fino a quel momento mi aveva sempre salvato. Ognuno faceva affidamento alle proprie armi migliori, sperando che in caso di pericolo sarebbero bastate. La via che dovevo percorrere era la più sicura, lo sapevo bene. All’esterno del palazzo c’erano ogni tipo di guardie – umane e non – a controllare il flusso di passanti per le vie del centro; lì come in tutta Londra. Ormai vivere in quella città non era molto diverso dal vivere in un accampamento militare, c’erano guardie dietro ogni angolo, pronte ad accusarti per qualsiasi cosa tu avessi o non avessi fatto o detto, e lasciare David da solo in quel campo minato mi faceva rabbrividire. D’altra parte era l’unica scelta che avevamo, se fosse entrato a Westminster l’avrebbero catturato, torturato ed ucciso in men che non si dica. Maledissi la porta, ed anche me stessa quando non riuscii ad aprirla immediatamente, ma vedere il volto di David illeso e preoccupato dietro di essa mi lasciò tirare un sospiro di sollievo. Entrò immediatamente nella stanza senza perdere tempo per rimbrottarmi all’istante. Aggrottai le sopracciglia guardandolo muoversi e scossi appena la testa tra me e me – Prego, David – risposi alla sua domanda sul perché ci avessi messo tanto. Solitamente avrebbe voluto sapere esattamente il motivo per il quale non ci avevo impiegato esattamente i minuti ed i secondi che avevamo stabilito, spiegandomi tutti i rischi ai quali avevo esposto sia me che lui, ma quella volta passò oltre, lasciandomi leggermente stupita. Non conoscevo il David in missione, dal momento che preferiva sempre altri partner a me, e quella sua versione sbrigativa e razionale fino al midollo mi suonava strana. – La sala qui accanto è piena di persone, non so cosa stiano esattamente facendo, sembra quasi che aspettino qualcuno o qualcosa.. Come se aspettassero il loro turno. – gli spiegai indicandogli con un cenno della testa l’unica altra porta della stanza. Annuii seria quando disse che dovevamo trovare un’altra strada, aggiungendo che passare per una stanza piena di gente sarebbe stato troppo rischioso. In realtà sapeva bene che io c’ero appena passata senza che nessuno facesse un fiato; ma lui, lui non poteva passare. Accennò nuovamente al nostro aiuto interno, del quale avevamo a lungo discusso al covo. Io non mi fidavo dei licantropi, di nessuno di loro; che fosse o non fosse dalla nostra parte per una semplice questione di istinto. Mia nonna mi ripeteva sempre che non potevo giudicare qualcuno senza conoscerlo, anche il peggiore degli uomini poteva agire per le giuste ragioni. Io non la pensavo più come lei, ero cresciuta in un mondo di odio, repressione e paura, una paura così profonda che non riusciva più a staccarsi dalle tue ossa, dovevi conviverci, prenderla a braccetto e portarla continuamente a spasso con te; dovevi cullarla di notte, quando decideva di procurarti i peggiori incubi che tu avessi mai avuto, e dovevi amarla come parte di te, perché la paura non se ne sarebbe mai andata dai nostri corpi. Quel nostro ‘piccolo aiuto dall’interno’, come l’aveva chiamato David, altro non era che una pedina che aveva aiutato ad instaurare quel regime di paura. Mi chiedevo come potessimo essere così ciechi da fidarci di loro, delle guardie reali; David diceva sempre che non avevano avuto altra scelta, si erano dovuti arruolare a costo della loro stessa vita. Eppure una scelta ce l’avevano, era la stessa scelta che avevamo preso noi nello stesso identico periodo: soccombere o lottare. Quel licantropo, quell’aiuto dall’interno, aveva scelto la strada sbagliata, semplice. Feci un profondo respiro per evitare a me stessa di vomitare quel flusso di parole che avrebbero rovinato la missione in partenza, e mi limitai a guardarlo mentre cercava la divisa da servitore che Justin gli aveva promesso essere in quella lunga sottospecie di cassapanca. Rimasi in piedi mordendomi l’interno della bocca e guardandolo vestirsi, indumento dopo indumento. Si abbottonò la giacca, e in rapida successione tirò fuori dalla sacca uno strano copricapo, almeno pensai che fosse un qualcosa di simile. Vidi nei suoi occhi la stessa confusione che provavo nella mia mente, e poi lo mise in testa. Sembrava, onestamente, che si fosse appena messo in testa un piatto. Nello stesso momento in cui aprii la bocca per canzonarlo, una sua occhiata mi brontolò senza bisogno di parole. Mi limitai ad annuire e portare la mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere, provando in ogni modo a combattere quella risata che così spontaneamente voleva prenderlo in giro. Non è che stesse particolarmente male – anche, stava anche particolarmente male – ma era proprio il vederlo vestito da servitore, per di più un servitore con uno scarso gusto in fatto di indumenti, che trovavo esilarante a livelli impensabili. – Sei.. No, stai bene – dissi con un sorriso a fior di labbra che tentavo in tutti i modi di non far sfociare in una sonora risata continuando ad annuire con convinzione ed incrociando le braccia sotto il seno, guardandolo. Guardò la piccola mappa che il licantropo ci aveva promesso di disegnare con attenzione, per poi voltarsi verso di me. Tornai seria con un profondo sospiro ed annuii – Sempre se Justin è davvero dalla nostra parte. In caso contrario arriviamo nella stanza, veniamo catturati, e buonanotte ai suonatori – dissi ruotando leggermente gli occhi verso il soffitto per poi tornare ai suoi. Mi schiarii velocemente la gola, come se le parole appena dette fossero uscite dalle mie labbra senza il mio permesso, e sospirai nuovamente, guardando il pavimento con aria leggermente colpevole. Non dovevo esagerare con David, o almeno, non in un’occasione del genere. Al covo gli avevo ripetuto già miliardi di volte che non mi fidavo di Justin, così come non mi sarei fidata di nessun licantropo, di nessun lavoratore della corona. Era lo stesso motivo per il quale non mi fidavo di Femke. Femke.. Un argomento praticamente intoccabile ultimamente; David, ogni qualvolta provavo a farlo ragionare, scattava come una molla, non riusciva a sentire altre ragioni che le proprie. Forse aveva bisogno di silenziare ulteriori pareri per non aumentare i propri dubbi, ma esso era l’unico argomento per il quale diveniva cieco. – Ok, si.. Va bene. Non sprecare quest’occasione e non mandare tutto all’aria – dissi, ripetendo ciò che aveva appena detto con un’aria stanca ed annoiata, guardandolo negli occhi. Presi il foglietto dalle sue mani dandogli un’occhiata veloce, mi lasciai scappare uno sbuffo quando lessi che la stanza in cui dovevamo arrivare era al terzo piano, praticamente era il luogo più lontano dall’edificio rispetto a dove ci trovavamo in quel momento. Morsi il labbro inferiore studiando a mia volta il percorso e mi lasciai scappare, in un mormorio – Mai una volta che le cose fossero semplici, caz*o – ripiegai la mappa velocemente, e senza pensarci due volte la infilai nel reggiseno, esattamente dove mettevo le cose importanti. Se avessero scoperto uno dei due, sarebbe con ogni probabilità stato David, ed una volta presa la mappa non ci sarebbe voluto molto per risalire alla calligrafia di Justin, scriveva come una maledetta gallina. Mi ricordò nuovamente il piano, che in quel momento, per via della tensione, mi sembrò estremamente stupido, molto più pericoloso di quanto non sembrasse pronunciato al covo. Ma annuii anche se ben sapevo che ormai David non mi stava più guardando. Lo seguii con calma quando uscì dalla stanza con passo sicuro, mostrandomi interessata ai vari quadri appesi alle pareti, come se fosse la prima volta che vedevo un palazzo inglese. Se qualcuno mi avesse chiesto da dove provenivo, non l’avrei sparata esageratamente grossa, avevamo concordato che avrei risposto che la mia casa era a Liverpool, e dovevo restare in città per un paio di mesi da mia zia, gravemente malata. D’altra parte non sapevo altre lingue, quindi non potevo fingermi facilmente francese o tedesca, e Liverpool sembrava una scelta non troppo ardimentosa. Continuando a camminargli dietro non potei non notare quanto male gli stava quel cappellino, era davvero una cosa obbrobriosa. Sorrisi a lato tra me e me lasciando i commenti per il post-missione. E non ce ne sarebbero stati pochi. Ripercorremmo la strada che avevo fatto all’indietro, ed alla fine arrivammo in un vasto atrio con diversi corridoi, ed un paio di vampiri impegnati nelle loro chiacchiere. Sospirai silenziosamente continuando a seguirlo e senza degnare i due di un’occhiata, imboccando il corridoio centrale rispettando la solita regolare cadenza dei passi di David. Avevamo fretta entrambi, ma l’ultima cosa di cui avevamo bisogno era mostrarlo. Morsi il labbro inferiore violentemente a causa del nervosismo quando finalmente imboccammo la prima rampa di scale. Sospirai guardandomi intorno con finto fare curioso, volendo in realtà controllare che non ci seguisse o spiasse nessuno. Per il momento stava filando tutto liscio, ma eravamo così lontani dal vedere la missione compiuta. Arrivammo in un altro vasto atrio, costellato di svariate porte, dal quale però si snodava un solo corridoio, esattamente di fronte a noi. Senza esitare David lo imboccò senza cambiare il proprio passo, ed in men che non si dica arrivammo alla seconda rampa di scale, la quale si rivelò essere leggermente più popolata della prima. Un altro paio di servitori stavano scendendo con in mano vassoi o piatti, ma anche questi non degnarono né me né David di un’occhiata; tutti sembravano completamente persi nei propri compiti. Mentre il nervosismo iniziava a nascere e radicarsi in me, il finto servitore davanti a me sembrava completamente immerso nel proprio ruolo, non un passo di esitazione, non un sospiro di troppo. Arrivammo finalmente al secondo piano e lo spettacolo non fu dei migliori. Stavano uscendo da una sala diverse persone, sembravano nobili dai loro indumenti, per lo più vampiri immaginai. Sembrava quasi che fosse finita una qualche sorta di riunione, riuscivo a vedere strette di mano e larghi sorrisi – Caz*o – mi lasciai sfuggire lanciandogli una fugace occhiata per poi tornare a fissare le spalle di David. Quella porta stanziava esattamente nel corridoio che dovevamo attraversare, riversando in esso ogni sorta di minaccia.
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    DAVID MORREN » capo dei ribelli
    Non ero sempre stato così, non c’era sempre stato il dovere, le responsabilità, non c’era sempre stata la consapevolezza che ogni uscita sarebbe potuta essere l’ultima, non c’erano sempre state morti e violenze impunite e scellerate, mostri che camminavano alla luce del giorno, prima che il mondo che credevamo fosse reale andasse in fiamme le cose erano state molto diverse da come erano ora. C’era stato un tempo in cui anche io avevo saputo divertirmi, svagarmi come ogni altro ragazzo della mia età, passare le serate tra amici, una birra e ragazze da corteggiare. Anche per me la vita era stata normale, un tempo, prima che gli incubi si trasformassero in realtà, prima della guerra, del terrore e della distruzione. Gli allenamenti di mio padre erano stati, per un periodo, solo il desiderio di un figlio di voler accontentare un genitore, il desiderio di poter avere qualcosa di particolare, un tratto interessante, un’abilità sorprendente, c’era stato un periodo in cui non avevano avuto un vero e proprio senso per me se non di questo tipo, come privi di senso erano apparsi al principio i farneticamenti di mio padre in merito a creature sovrannaturali e leggendarie. Le cose erano iniziate a cambiare da quella notte di qualche anno prima, quando mio padre, il famoso Jack Morren, era tornato a casa fradicio di pioggia e sporco di sangue, blaterando di demoni risputati dall’inferno, di un’apocalisse che stava arrivando, proprio come lui aveva sempre saputo. Era sempre stato un convinto credente, così come mia madre, ma era sempre stato guardato con preoccupazione e scetticismo per alcune sue idee particolari, ritenute folli ai più, persino al sottoscritto in un primo tempo. Creature che vivevano nelle favole, nelle leggende e nelle storie del terrore, secondo lui erano reali e si muovevano tra noi nell’oscurità, erano demoni che l’inferno aveva inviato a corrompere e piegare l’uomo che invece avrebbe dovuto combattere e opporsi. Estremista, esaltato, qualcuno lo aveva definito persino pazzo inizialmente e anche io non avevo mai davvero creduto possibile che gli allenamenti che aveva deciso di impartirmi un giorno sarebbero potuti essermi utili contro creature inumane. Nessuno avrebbe immaginato al tempo ciò che poi era accaduto. C’erano sempre state morti strane, sparizioni improvvise, avvistamenti assurdi, ma erano sempre state per lo più storie da raccontare davanti una birra, cose che capitavano, niente per cui la gente dovesse davvero preoccuparsi, confortata dal caso e dalla probabilità, perché quante probabilità c’erano che potesse capitare proprio a te? Un rapimento, un incidente, un’aggressione, bastava stare attenti, bastava difendersi, così si era pensato inizialmente. Poi le cose erano cambiate ed erano iniziate a farsi più strane, più violente, più assurde. Pian piano qualcuno aveva iniziato a dare retta a mio padre, finché non lo avevo fatto anche io, quando infine avevo visto la verità come lui aveva fatto molto prima di me e di molti altri. Mi ero reso conto di quel che stava succedendo davvero e allora mi ero schierato completamente al fianco di mio padre, come erano andate facendo sempre più persone, finché non aveva costituito il primo originale gruppo di ribelli, gli stessi che erano andati in guerra troppo in fretta e troppo presto, venendo decimati. Avevo compreso che avrei seguito le orme di mio padre già da molto prima del termine della guerra, già prima di perdere ogni cosa e così avevo poi fatto, riunendo attorno a me i sopravvissuti che avevano ancora speranza e forza per combattere, spinto da molte idee e motivazioni, tra le quali non potevo escludere la vendetta. Con il passare del tempo, però, in me si era fatto sempre più forte il desiderio di combattere per l’umanità, per la libertà, per tutti noi, per riprenderci ciò che ci era stato strappato e allora avevo pian piano abbandonato gli intenti più egoistici e personali, ritrovando un’autentica motivazione in quel gruppo. Avrei dato la mia vita per loro, per ognuno di loro e sì, anche per coloro che stavamo tentando di aiutare con quella nostra folle incursione a Westminster. Annuii solamente quando Andy mi riferì della stanza accanto, registrando la cosa e catalogandola come un potenziale problema, ma per il momento limitandomi a muovermi così come avevo previsto, recuperando ciò che era stato preparato per noi e concentrandomi su quei primi fondamentali passi, senza l’accuratezza dei quali anche tutto il resto sarebbe stato un disastro. Sapevo che non si fidava del nostro infiltrato, Justin, per la sua natura e sapevo anche che non era l’unica a farlo, più di un ribelle al covo credeva che alle creature come lui non dovesse essere permesso di far parte delle nostre fila, conoscere i nostri segreti e in generale stare a contatto con noi, io stesso in un primo momento non avrei mai accettato niente di simile, ma con il tempo avevo imparato a mettere da parte i pregiudizi in favore di uno scopo e di un bene più grande: la nostra missione. Avevo allontanato il più possibile la rabbia e il cieco desiderio di vendetta per potermi dedicare a qualcosa di più importante e avevo poi semplicemente capito che il pregiudizio sarebbe stato la nostra rovina, perché avere dalla nostra parte individui come loro, licantropi, streghe, persino angeli se ve ne erano davvero in quell’inferno, non avrebbe potuto far altro che giovarci, poiché dopotutto noi non eravamo gli unici a combattere. Era stata dura da accettare, ma lo avevo fatto e così avevo preteso da chiunque altro al covo, non sarei mai riuscito a cancellare rancori e odi, questo lo sapevo bene, ma avevo preteso da tutti una pacifica convivenza tra le nostre schiere e una collaborazione, prima di ogni altra cosa, e poi fiducia, anche se sapevo che per molti ciò era decisamente più difficile. Molti si erano lasciati andare, avevano ritenuto il mio dare a quelle creature fiducia una motivazione più che valida per poter tentare a loro volta, qualcuno era riuscito a concedergliela senza troppi problemi, integrandoli nel gruppo, ma altri ancora avevano difficoltà e dubbi e questo potevo leggerglielo negli occhi ogni giorno, nei loro così come in quelli di Andy, anche se fino a quel momento non c’erano stati particolari problemi, niente che non fossi riuscito a tenere a bada comunque. In quel caso, io mi fidavo di Justin e così avrebbe dovuto fare anche lei, ma soprattutto, avrebbe dovuto fidarsi di me. Le scoccai un’occhiata truce e d’avvertimento, quando provò a commentare l’abbigliamento che il licantropo mi aveva fatto trovare, di modo che potessi muovermi senza attirare troppo l’attenzione per le sale di quell’edificio - Se non fosse stato con noi, a quest’ora saremmo già morti, non ci avrebbero mai permesso di arrivare da nessuna parte, stanne pur certa. So che non ti fidi di lui, ma io sì, quindi il punto è questo. Pensi di poterti fidare almeno di me? - conoscevo la risposta anche senza che lei la pronunciasse e in verità il modo intransigente in cui avevo pronunciato quelle parole era stata più una maniera per dirle di non insistere sulla cosa, semplicemente perché non ne avevamo il tempo ed io non volevo sentire lamentele dettate su niente più che motivazioni personali, perché non erano quelle che ci avrebbero permesso di andare avanti ed avere successo in tutto ciò che stavamo facendo. Se ci fossimo affidati solo a rancori, giudizi dettati da odio e rabbia o simpatie, non saremmo arrivati da nessuna parte. Mi conosceva, sapeva quanto scrupoloso fossi nell’accettare o meno qualcuno tra noi, soprattutto quando costui non era umano e se ero arrivato a fidarmi di Justin lo avevo fatto per un motivo e avrei voluto che almeno lei si fidasse di questo. Non ero infallibile, non ero un giudice perfetto, la possibilità che potessi sbagliarmi non era affatto esclusa, ma mi fidavo del mio istinto, del mio giudizio e non ero così stolto da non fare ricerche e cercare delle prove, ma soprattutto se avessi iniziato a soffermarmi sulle tante possibilità, allora non avrei mai ottenuto nulla. Ignorai la sua imprecazione quando le passai la mappa con riportato il luogo a cui dovevamo giungere, segretamente ritrovandomi d’accordo con lei, anche se non avevo davvero immaginato che lo sarebbero state. Non sarebbe stato facile, affatto, considerando chi eravamo e ciò che stavamo cercando, c’era la più che plausibile possibilità che ci scoprissero e arrestassero, ma il punto era che spesso dovevamo rischiare per ottenere qualcosa e anche solo la nostra stessa scelta di vita implicava di per sé un enorme rischio. Avevo organizzato un piano di fuga in caso fossimo stati scoperti, un gruppo dei nostri doveva già aver preso posizione nei pressi di Westminster, in attesa del segnale, pronti a distrarre le guardie e ad attirare l’attenzione su di loro, per riuscire a far scappare noi, anche se per farlo avremmo dovuto necessariamente tornare al pian terreno. Con loro ci sarebbe stata una delle streghe che faceva parte dei ribelli, Amanda, sorella di uno dei cacciatori di ribelli, la cui presenza tra le nostre fila era per noi un vantaggio tanto quanto un pericolo. La sua identità e natura mi avevano portato ad essere sospettoso e diffidente al principio e ci avevo messo del tempo a fidarmi di lei e a permetterle di unirsi a noi, ma da quando lo aveva fatto aveva sempre mostrato dedizione alla causa e affidabilità ed era dunque a lei che mi ero rivolto per quella volta, sapendo che sarebbe intervenuta prontamente, dandoci una mano a fuggire non appena l’avessi avvertita tramite la piccola pietra incantata che avevo riposto nelle tasche dei pantaloni, la quale sarebbe divenuta bollente se solo l’avessi stretta tra le mani, dandole dunque il segnale. Sarebbe stato semplice per lei spiegare la sua presenza nei dintorni di Westminster e dentro l’edificio, per i suoi legami con il cacciatore di ribelli, almeno quanto sarebbe stato rischioso portarla con me, motivo per cui non lo avevo fatto. Ci eravamo organizzati il meglio possibile, viste le circostanze, il resto sarebbe toccato a me e Andy, era da noi che dipendeva la sicurezza, ma anche le vite, di molti della nostra schiera e in cuor mio mi auguravo potesse andare tutto liscio, in modo da non coinvolgere nessuno di loro. Erano quelli i pensieri che continuavano a riempirmi la mente mentre procedevamo spediti ma cauti verso la nostra meta, un servitore che scortava una giovane ragazza verso la sua meta tra le sale e i corridoi di Westminster, un volto mutato dalla magia e uno non troppo conosciuto, nella speranza che nessuno vi facesse troppo caso. Riuscimmo a compiere buona parte del tragitto senza problemi, raggiungendo così il secondo piano indisturbati e senza che nessuno badasse a noi, ma fu qui che le cose si fecero improvvisamente più complicate. Sentii l’imprecazione di Andy, la quale fece eco a quella che risuonò nella mia mente, mentre i miei occhi correvano veloci a calcolare il numero dei vampiri che si erano appena riversati nel corridoio che dovevamo percorrere, intenti a chiacchierare tra loro, stringersi le mani e rivolgersi sorrisi palesemente finti anche a me, che mi trovavo ancora ad una certa distanza da loro. Voltai appena il capo, intercettando nervosamente lo sguardo di Andy e poi tornando a puntarlo sui vampiri che ci erano davanti, mentre una mia mano scivolava piano e istintivamente verso la pistola che avevo sistemato dietro la schiena, tra i pantaloni e la divisa da servitore, per poi interrompere quel gesto e cercare di tornare alla calma e impassibilità ostentata fino a poco prima, la stessa che avrebbe mostrato un servitore che non aveva nulla da nascondere. Peccato che nel mio caso entrambe le cose fossero false. Non avevamo altra scelta se non quella di passare tra loro cercando di non attirare troppo lo sguardo, poiché dal punto in cui eravamo non avevamo altra via per arrivare alle più vicine scale che ci avrebbero condotto al terzo piano e di lì alla nostra meta e girare i tacchi ed andarsene sarebbe stato ancora più rischioso in quel momento. Non potevamo neanche rimanercene fermi lì, dunque mossi un passo in avanti, lentamente, facendo segno ad Andy di seguirmi e sperando avesse il buon senso di non attirare l’attenzione, come cercai di fare io stesso, mantenendo lo sguardo basso come sapevo essere obbligatorio per un servo, avanzando verso i personaggi che non sembravano ancora intenzionati a spostarsi da quel corridoio. Superai i primi gruppi tenendomi distante da loro, vicino al muro e lontano dai loro sguardi, per quanto fosse possibile, sentendo il nervosismo crescere ma cercando di tenerlo a bada, così come anche la rabbia, l’odio e il battito del mio cuore, che sapevo avrebbero colto facilmente. Continuai a procedere in silenzio, senza compiere un movimento di troppo o un passo sbagliato, muovendomi con decisione verso la fine del corridoio. Fu quando ci apprestavamo a superare anche l’ultimo gruppetto che una voce mi gelò il sangue, per un attimo fermando il battito del mio cuore e facendomi spalancare di poco gli occhi, l’unico indizio percepibile sul volto che mostravo, del panico che era scivolato in me quando mi ero sentito richiamare, voce che mi aveva obbligato ad arrestarmi sul posto - Ti ho chiamato, servo, sei forse sordo? - il tono viscido, gelido e irritato del vampiro fece montare in me un odio incontenibile che però non mi era permesso mostrare, neanche quando mi voltai lentamente nella sua direzione, intercettando la sua espressione superba e compiaciuta che non fece altro che farmi serrare la mascella e accrescere in me la rabbia e il nervosismo - A quanto pare i Lancaster non riescono neanche a procurarsi una servitù decente o ad insegnare loro a rispettare chi gli è superiore - le sue parole furono seguite dalle risate dei due uomini che gli erano accanto e che scrutavano me ed Andy con una luce famelica nello sguardo. Non dissi niente, limitandomi ad abbassare lo sguardo e frenare il tumulto di sensazioni che mi aveva assalito, nessuna delle quali pacifica o benevola - Che cosa pretendi da loro Arthur? Sono solo topi di fogna. Non lo senti? Probabilmente potrebbero farsela sotto da un momento all’altro - ancora risate, a quelle parole che mostravano chiaramente come avessero udito il battito dei nostri cuori, accelerati entrambi, il mio, come immaginavo anche quello di Andy, cosa che a quanto pareva non doveva essere considerata neanche poi troppo sospetta, ma anzi perfettamente normale, fortunatamente. Colsi lo sguardo di quello che avevano chiamato Arthur scivolare su di me con attenzione e poi concentrarsi su di Andy, alle mie spalle, con quello che fu uno sguardo disgustosamente lascivo - E dov’è che stavi andando, topo? - il suo sguardo tornò sul mio dopo qualche istante, accompagnato da un sorriso divertito e fin troppo eloquente. Sapevo cosa dire, era quello su cui ci eravamo accordati e quello che sapevo di dover riferire senza mostrare tutto l’astio e la rabbia che stavo provando, scatenata non solo dalla loro natura e da quelle parole, ma dal pericolo a cui stavo rischiando di esporre tutti quanti, dal pensiero di tutto quello che sarebbe potuto accadere, per colpa di quei succhiasangue e una mia o nostra mossa falsa. Non potevo permettermi di sbagliare, in alcun modo - La signorina deve recarsi immediatamente a far registrare il suo arrivo in città, così che possa esserle rilasciato il permesso per il suo soggiorno, come stabilito dalla legge, mio Signore. Aveva perso la strada e ho pensato fosse meglio scortarla io stesso, vista l’ora. La sua presenza è già stata annunciata, la stanno aspettando - aggiunsi quell’ultima falsa affermazione perché avevo letto nel suo sguardo l’idea che le mie parole avevano acceso in lui e il pericolo a cui Andy sarebbe stata esposta altrimenti, non che così in realtà le cose cambiassero poi molto - Signorina? - la sua disgustosa voce di scherno diede vita a nuove risate - Una giovane umana appena arrivata in città, ancora non ufficialmente registrata, si potrebbe dire un fantasma, quasi. Dimmi, signorina, che ne pensi di Londra? - lo vidi fare qualche passo verso Andy, avvicinandosi a lei, mentre anche gli sguardi degli altri due erano impegnati ad osservarla in un modo che mi fece serrare i pugni lungo i fianchi e digrignare appena i denti, mentre il pensiero di raggiungere la pietra nella mia tasca e avvertire Amanda si faceva sempre più insistente. No, non potevamo mandare tutto all’aria così, non potevamo fermarci adesso, non ancora, perché forse avevamo ancora speranza di poter uscire da quella situazione in qualche modo. Tutto ciò che potevo fare, ora, era sperare che la pozione che avevo bevuto durasse abbastanza da continuare a trasfigurare il mio aspetto e farci arrivare dove volevamo, ma soprattutto che Andy non facesse qualcosa di terribilmente stupido.
    One night of the hunter
    One day I will get revenge

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    Non mi fidavo di nessuno che non fosse umano, perché pensavo a come ognuno di loro ci avesse profondamente tradito durante la guerra civile, e non ero disposta a perdonare una simile negligenza; un tempo David era esattamente come me, ma nel tempo aveva apparentemente capito che non potevamo fare a meno di un aiuto sovrannaturale, perché da soli avevamo già perso non solo la guerra, ma anche molte persone che nessuno ci avrebbe mai ridato. Aveva provato a farmelo capire in mille modi, ed ogni volta litigavamo per ore: era una di quelle questioni sulle quali non volevo sentire ragioni, e non accettavo che lui la pensasse diversamente da me, dunque alle volte avrei preferito non parlarne direttamente. Anche in quell’occasione le sue parole furono lapidarie, e mi lasciarono scarsa alternativa; il volto che mi trovavo di fronte era differente, e mi restava difficile dire a quel ragazzo che io non conoscevo che mi fidavo di lui, dunque dopo aver aggrottato le sopracciglia preferii abbassare lo sguardo e lasciare alla sua consapevolezza quella risposta. Quel ragazzo aveva i capelli scuri, di un castano quasi ramato, ed occhi altrettanto scuri; la linea particolare del suo naso aveva lasciato il posto ad un naso più infantile, a patata, che gli dava un’aria meno minacciosa e più affidabile; sembrava più giovane di quanto non fosse, e le sue labbra erano piene e rosate; era senza dubbio meno attraente del David che conoscevo. La prima volta che l’avevo visto mi aveva colpito: avevo appena dodici anni, e non avevo visto molti ragazzi nella mia breve vita; lui era bellissimo, aveva sette anni più di me – all’epoca diciannove - ed era estremamente affascinante. Ero rimasta a fissarlo per qualche secondo, prima di distogliere lo sguardo e rimanere muta per tutta la giornata, ed anche quella successiva. Per qualche mese lo guardavo come fosse un principe, il ragazzo più bello dell’universo, ciò che desideravo per il mio futuro, ma non erano altro che i sogni di una bambina. Loro avevano salvato me e mia nonna, che alle volte passava intere serate con il padre di David: con il senno di poi, avevo pensato che la donna fosse una delle sue consigliere, non di certo importante, ma la sua esperienza poteva essere servita al capo dei ribelli più volte. Io, da parte mia, non avevo voglia di stringere amicizia con nessuno, pensavo che ce ne saremmo andate presto ed avrei dovuto abbandonare tutto un’altra volta: non avevo voglia di soffrire ulteriormente. Quando avevamo lasciato la campagna per me era stato un vero trauma, nonostante all’epoca quasi non parlassi: avevo in quelle stanze tutto ciò con cui ero cresciuta, il ricordo di una madre che non avevo mai conosciuto e tanti piccoli oggetti che mi rendevano ciò che ero. Il mio essere era fragile: per avere dodici anni, mi comportavo in maniera assurda; non parlavo con anima viva, non mi piaceva giocare e non ridevo mai. Portavo a termine i compiti leggeri che mio nonno mi affidava e poi restavo in camera, aspettando che o lui o mia nonna arrivassero per raccontarmi le loro favole, attinte dalla mitologia o completamente inventate; erano le uniche persone che mi avevano mai dimostrato qualcosa. Anche loro non erano estremamente affettivi, ed era raro che mi abbracciassero e mi dicessero che mi volevano bene, ma lo preferivo; preferivo che mi dimostrassero con i gesti quanto erano felici di avermi con loro, nonostante ricordassi ad entrambi la perdita inspiegabile e mai risolta di una figlia nel fiore dei suoi anni. Non mi lamentai quando mia nonna mi disse che dovevamo trasferirci, perché sapevo che le mie lamentele non avrebbero ricevuto ascolto, eravamo rimaste solo e mio nonno era stato arruolato nelle truppe dei Lancaster, e mia nonna non mi raccontò mai frottole: mi disse che probabilmente non sarebbe mai tornato, e dovevamo trovare un modo per tirare avanti, trovare del cibo, trovare una casa sicura, trovare il modo di vendicare l’unico uomo che mi aveva mai fatto da padre. Con un piccolo fagotto, contenente un paio di maglie ed un paio di pantaloni da contadina, mi trasferii con lei a Londra, ed in pochi mesi i ribelli si misero a contatto con noi chiedendoci se avevamo bisogno di aiuto: la mia nonna li vedeva come dei santi, la provvidenza; io ero più restia ad accettare il loro aiuto. Al covo all’epoca non c’era nessuno della mia età, ero decisamente un peso per i combattenti che iniziavano ad arruolarsi, ed in pochi fecero caso alla mia presenza, con mia grande gioia. Mi ci vollero ancora diversi mesi per prendere confidenza con il luogo e con le motivazioni che muovevano non solo mia nonna, ma anche tutti i presenti; non sapevo granché della guerra civile che si era scatenata a Londra, ed iniziai a farmi un’idea ascoltando le conversazioni altrui, fingendo di non capire una sola parola. C’erano due diversi filoni di pensiero, chi voleva uccidere i nuovi oppressori, dal primo all’ultimo, e chi – come mia nonna – era per la libertà di redenzione; si lamentava spesso dell’eccessivo rigore con il quale Jack Morren ed i suoi consiglieri suggerivano e desideravano l’estinzione totale del sovrannaturale; capiva il loro spavento, ma non concepiva tanto terrore. L’anno successivo mi fu portata via, e rimasi completamente sola in un luogo che non amavo e nel quale non desideravo stare, circondata da totali sconosciuti, che mi trattavano alla strenua di una mosca. La situazione cambiò con la mia crescita, la scoperta degli alcolici, e la bellezza che iniziavo a vestire con un numero maggiore di anni sulle spalle; i ragazzi cominciavano a notarmi, e le ragazze al covo si facevano sempre più numerose, e cercavano in me un appiglio da veterana del luogo. Io desideravo comunque la solitudine; era tutto ciò a cui anelavo con tutta me stessa, all’epoca non mi interessava della libertà, o delle razze, volevo solo stare sola; tornare nella mia casa di campagna e non parlare con nessuno per il resto della mia vita. Giudicavo tutti indegni di conoscere la mia storia, non volevo spartire niente con alcuno di loro, perché consideravo una debolezza il lamentarsi ed il lagnarsi per cose già accadute; ma non potevo andarmene, non nel bel mezzo della guerra civile. David fu uno dei pochi ad essere gentile con me, avrei potuto contare sulle dita di una mano i ragazzi che si erano dimostrati educati senza pretendere niente in cambio, e lui era sempre stato tra quel numero esiguo; ovviamente non mi fidavo, ai tempi, di lui. Era contornato da ragazze splendide, era il principino di quel regno sotterraneo, una strana figura che agli occhi di alcune avrebbe poi preso lo scettro del padre come paladino della giustizia; a me l’idea non eccitava più di tanto, e non provavo neanche più l’attrazione fisica che da piccola avevo dipinto come amore nei suoi confronti, e soprattutto non credevo nell’amicizia – e ciò non sarebbe mai cambiato. David mi trattava da bambina, e all’epoca non riuscivo a capirlo, nonostante avessi quattordici anni; mi sentivo infinitamente vecchia dentro, e non sapevo come scuotere quella sensazione di dosso; lui con estrema calma e gradualità era riuscito a farmi capire che non tutti volevano farmi del male, e non tutti avevano secondi fini. Iniziai a fidarmi silenziosamente di lui, pur non esponendomi mai eccessivamente; e quasi senza che me ne rendessi conto il nostro rapporto diventò stretto, ingranando una marcia differente quando suo padre morì, e con la mia presenza quieta alle volte mi sedevo nella sua camera leggendo, senza dire niente, facendogli una compagnia che sapevo non l’avrebbe offeso o disturbato. Per quanto si sforzasse di farmi capire le nostre differenze, io e David eravamo intrinsecamente simili: a nessuno dei due piaceva parlare dei propri problemi, o in generale della propria vita, ed entrambi eravamo mortalmente soffocati dall’oppressione dell’esterno. Ciò che ci distingueva era il modo di affrontare questa oppressione. Era difficile trovare il suo sguardo nascosto sotto quegli occhi scuri, eppure notai del nervosismo in quel volto a me sconosciuto, mentre un’occhiata fugace colpiva il mio sguardo; per una volta mi sembrò che non volesse rimproverarmi, ma fosse solo preoccupato per me, ed a disagio per la situazione in cui ci eravamo messi. La mancanza di rimprovero nel suo cipiglio mi fece paradossalmente temere che i minuti successivi sarebbero stati duri da affrontare, e per qualche secondo abbandonai la mia proverbiale spavalderia; deglutii rumorosamente mentre un fremito d’aria calda uscì dalle mie narici. Il ragazzo mosse un passo in avanti, ed io lo seguii abbassando la testa, pensando che quello non sarebbe stato il momento adatto per sfidare una trentina di vampiri, per di più nel loro territorio; portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio per evitare d’inciampare per l’ansia, e continuai a seguire con calcolata lentezza David, senza riempirlo di sguardi, per non destare sospetti. Superammo i primi gruppi senza grande difficoltà: i nostri passi erano leggeri, e guardando in basso potevo solo notare le gambe dei primi vampiri, le une voltate verso le altre, intenti in chiacchierate di circostanza. Provai ad immaginare cosa provasse David in quei momenti; non pensavo che avesse paura come me, forse era ciò a cui era esposto ogni giorno, e per lui non era altro che una passeggiata di piacere, o forse era in ansia come ero io; ma in quel caso non avrei voluto saperlo, il pensare a lui impaurito per qualcosa mi avrebbe fatto rovinare tutto; avevo questa immagine del ragazzo nella mente come invincibile, e sempre atto a fare la cosa giusta, al momento giusto, non poteva avere paura di quei buffoni. Morsi il labbro tentando di regolare il battito del cuore, perché sapevo che se avessero prestato attenzione, tutti i vampiri avrebbero potuto notare quanto esso fosse irregolare, e continuai a seguirlo in religioso silenzio; ma una voce parve richiamare proprio noi. Mi bloccai istantaneamente, continuando a fissare il pavimento lastricato. E’ finita. E porca troia volevo morire ubriaca. Mi decisi: era l’ora di vestire la maschera che riuscivo a portare meglio. Passai la lingua su entrambe le labbra, quasi le volessi oliare a causa della lunga pausa dall’ultima chiacchierata, e tirai su la testa lentamente, prima di voltarmi verso il proprietario di quella voce; portai la mano destra alla testa, e tirai indietro i capelli neri e mossi con un movimento fluido, osservando negli occhi il vampiro senza timore. Non potevo vedere David, o la sua reazione; era rimasto mezzo passo davanti a me, a causa dell’uomo che aveva richiamato la nostra attenzione dietro di noi, ma immaginai che probabilmente avrebbe scavato una buca nella mia nuca con lo sguardo se avesse potuto, sperando che questo potesse indurmi alla combustione spontanea; non mi importava, questo non era il suo campo. Lui si occupava di pugnali, armi e cianfrusaglie varie, ma le parole, i movimenti, la seduzione: quello era il mio terreno di gioco, e sperai che l’idea si ficcasse bene in quella sua capoccia testarda. Tuttavia rimasi in silenzio, proprio per far credere all’uomo che fosse lui a condurre il gioco, e che le nostre menti e vite pendessero dalle sue parole; l’unica cosa che non mi convinceva era la presenza dei due uomini alle sue spalle; se fosse stato da solo avrei affrontato il tutto come un divertimento, ma così le variabili in campo erano differenti, e sarei dovuta stare bene attenta. Il vampiro commentò il silenzio di David con sarcasmo, e per non compiacerlo eccessivamente non cambiai espressione, inclinando di pochissimi gradi la testa e continuando a guardarlo negli occhi, nonostante la sua attenzione non fosse ancora completamente catalizzata su di me. - Che cosa pretendi da loro Arthur? Sono solo topi di fogna. Non lo senti? Probabilmente potrebbero farsela sotto da un momento all’altro - fu il turno di uno dei due uomini dietro di lui; anch’esso si fece gioco di noi, o meglio, di lui. A quel commento sgradevole abbassai lo sguardo, tagliando fuori dai miei pensieri ogni sorta di odio o intolleranza nei loro confronti – non era il momento di sfoggiare la mia misantropia – e con un battito di ciglia lascivo lo rialzai nuovamente su quello che doveva chiamarsi dunque Arthur, intrecciando le mani sul grembo, con fare quasi infantile ed innocente, ma che nascondeva un interesse. Finalmente per qualche secondo catalizzai la sua attenzione, ed il vampiro mi squadrò con attenzione, con apparente soddisfazione, prima di chiedere a David dove stessimo andando; io non mi mossi di un millimetro e continuai a fissarlo negli occhi, mentre con apparente naturalezza ed un timore reverenziale che non era suo, ripetè la storia che ci eravamo inventati, ed entrambi avevamo ripetuto allo sfinimento. Il vampiro con un tono tra l’ironico e l’offensivo ripeté la parola signorina, e per un attimo sul mio volto si dipinse una smorfia d’odio incontrollabile, mentre le mascelle si serravano in una morsa che avrebbe potuto spezzare il braccio ad un umano; ma riacquisii il controllo quando Arthur si avvicinò a me con cautela, riacquisendo quell’innocenza condita da un pizzico di malizia. Rimasi in silenzio per qualche secondo alla sua domanda, fissando il vampiro in quegli occhi di un verde lascivo, sporco, mellifluo; eppure gli sorrisi con le labbra strette, lasciando che gli zigomi si colorissero di rosso e si gonfiassero, quasi fossi imbarazzata e grata per l’attenzione che mi si stava rivolgendo. Gli uomini, umani o sovrannaturali che fossero, erano estremamente prevedibili; era raro che qualcuno non reagisse nel modo in cui volevo che reagissero alle mie attenzioni ed ai miei gesti. – E’ molto.. dispersiva mylord – dissi con un tono confuso e delicato, come se non sapessi bene come descrivere la città. Le mie parole erano fortemente marcate da un tipico accento che lasciava intendere una scarsa conoscenza dell’inglese, così il mio atteggiamento non era troppo spavaldo. Gli sorrisi con un accenno di imbarazzo e con entrambe le mani stirai il profilo della gonna, non dando a me stessa neanche un attimo per pensare al pericolo al quale ero possibilmente esposta. – Ma credo che mi fermerò per qualche mese; ho scarse doti, e non so proprio cosa potrò fare per campare.. – drizzai la schiena, inclinando la testa ed esponendo il seno, con un sorriso docile ed imbarazzato sul volto, mentre indugiavo con lo sguardo sul volto del vampiro, come se improvvisamente mi vergognassi di guardarlo negli occhi. Notai con la coda dell’occhio che i due dietro di lui si scambiarono un’occhiata di approvazione, prima di tornare a guardarmi con interesse, tralasciando completamente David al mio fianco. Lo sguardo del vampiro indugiava sulle mie forme, in quel momento ancor più accentuate dei minuti precedenti, ed un sorriso malizioso si allargò sulle sue labbra, pur non nascondendo il disprezzo che provava per noi entrambi, fragili umani, topi, come ci avevano definito. - Allora cosa l’ha portata a Londra, signorina.. ? - voleva conoscere il mio nome, e gli sorrisi con gentilezza prostrandomi in un piccolo inchino con la testa, prima di tornare a guardarlo. – Peeters, Olga Peeters – gli risposi con un filo di voce, ripetendo lo stesso nome che David mi aveva ripetuto centinaia di volte; era un nome chiaramente belga, ed io lo pronunciai con le ‘e’ aperte, cosicché non somigliasse troppo al cognome inglese. Sperai ardentemente che nessuno degli uomini presenti fosse mai stato circuito da me, per dovere o anche solo per piacere, in una delle notti nelle quali sulla scarsa razionalità vincevano alcool ed oppio. Il vampiro aspettava pazientemente che gli spiegassi perché ero a Londra, e lentamente il suo sguardo si faceva meno astioso e più interessato; questo era ciò che creava interesse negli uomini: l’attesa. – Affetti personali mi hanno condotto qui, la mia famiglia è stata dispersa negli ultimi anni ed ho scoperto che mia cugina ha trovato lavoro presso una nobildonna, almeno così mi ha scritto nella missiva. – Mi strinsi con tenerezza nelle spalle, mordendo per un attimo il labbro inferiore prima di tornare sugli occhi del vampiro, con rinnovata giovialità. Uno dei due uomini dietro di lui perse la pazienza, e con uno sbuffo richiamò Arthur – Smetti di parlare con loro, cosa ti importa di cosa ci fanno qui, abbiamo cose ben più importanti di cui discutere! – Abbassai lo sguardo risentita, ed annuii flebilmente. – Il vostro amico ha ragione, non voglio farvi perdere tempo, Mylord – commentai celermente, quasi in un sussurro. Il vampiro sembrò indeciso sul da farsi, voltandosi per qualche secondo indietro e fissando l’altro uomo, prima di tornare con il suo sguardo lascivo sul mio, sorridendomi con malizia, e rimanendo in silenzio per qualche secondo. Io sbattei le palpebre con lentezza un paio di volte, fingendomi interessata al suo finale responso. Potevo quasi sentire David al mio fianco fremere, nonostante si fosse voltato verso di noi solo un paio di volte, con uno sguardo truce, da ciò che avevo potuto constatare con la coda dell’occhio, e sperai che non mettesse fretta a quella sottospecie di trattativa che si stava svolgendo tra me ed il vampiro. Lui annuì con aria grave, e fece un passo indietro con una fluidità disarmante. – Torna qui dopo aver ottenuto il tuo permesso di soggiorno, Olga. Ti aspetterò senza i miei.. amici, come tu li chiami, e ti porterò a fare un giro di Londra, ci divertiremo. – Le sue parole melliflue più che un invito mi erano suonate come un ordine, e decisi di non commentare, ma rivolgergli semplicemente un inchino gentile e grazioso prima di voltarmi con lentezza verso David, ed avviarmi di conseguenza lungo il corridoio che ci avrebbe portato alle scale, senza proferir parola. Potevo finalmente respirare di nuovo, ed un peso scivolò dalle mie spalle quasi fosse stato lì per delle ore intere, ed abbassai la testa verso il pavimento per non scoppiare a piangere a causa della tensione che avevo accumulato e trascurato per quegli interminabili minuti. Lo sguardo dei tre vampiri ci seguì per tutto il corridoio, mi sentivo osservata e sapevo di non poter ancora abbandonare la recita della giovane donna sopraffatta dalla grandezza di Londra e desiderosa di scoprire la città; entrambi sapevamo che non mi avrebbe portata a fare un giro, ma direttamente in una squallida camera d’ostello, e magari si sarebbe anche nutrito grazie al mio corpo, ma speravo che David capisse che a quel punto non potevo rifiutarmi, né sparire nel niente, se quell’uomo era a Westminster era perché aveva potere, e non gli sarei sfuggita tanto facilmente.
    with every broken bone
    I swear I lived

    « swän » code esclusivo del London gdr. Non usare senza il mio permesso.

     
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